Recensione il cacciatore regia di Michael Cimino USA 1978
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Recensione il cacciatore (1978)

Voto Visitatori:   8,70 / 10 (287 voti)8,70Grafico
Voto Recensore:   9,50 / 10  9,50
Miglior filmMiglior regiaMiglior attore non protagonista (Christopher Walken)Miglior montaggioMiglior sonoro
VINCITORE DI 5 PREMI OSCAR:
Miglior film, Miglior regia, Miglior attore non protagonista (Christopher Walken), Miglior montaggio, Miglior sonoro
Miglior regista (Michael Cimino)
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior regista (Michael Cimino)
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locandina del film IL CACCIATORE

Immagine tratta dal film IL CACCIATORE

Immagine tratta dal film IL CACCIATORE

Immagine tratta dal film IL CACCIATORE

Immagine tratta dal film IL CACCIATORE

Immagine tratta dal film IL CACCIATORE
 

Michael, Nick e Steven stanno per partire per la guerra in Vietnam. Prima di partire, Steven si sposerà con Angela e Michael e Nick, insieme agli altri amici del gruppo, andranno a rilassarsi con una battuta di caccia.
Durante la guerra i tre amici verranno sottoposti a pratiche disumane da parte dei Vietcong e ognuno di loro, distrutto mentalmente più che fisicamente, reagirà in maniera diversa.

Seconda pellicola di Michael Cimino, dopo il bellissimo "Una calibro 20 per lo specialista", "Il cacciatore" è non solo uno dei più grandi film mai girati sulla guerra del Vietnam - inutile rimarcare che a completare il quadro ci sono sicuramente "Apocalypse now", "Full metal jacket" e "Platoon" - ma uno dei più grandi film girati in assoluto.
Una pellicola di tre ore che riesce nell'intento di non annoiare mai e di coinvolgere minuto dopo minuto lo spettatore nelle vicende dei protagonisti, del Vietnam, dell'America. Una regia che rimane impressa per la sua estrema qualità oltre al fatto che offre delle sequenze indimenticabili e straordinarie, girate con una mano ferma che ci accompagna con la telecamera all'interno dei volti dei protagonisti, all'interno dei paesaggi che fanno da sfondo alle loro vicende, all'interno del cuore di una guerra come quella del Vietnam che è poi metafora di qualsiasi guerra.
Ed è così che i piani-sequenza, le carrellate verticali e orizzontali, la dilatazione dei tempi, i primi piani, le panoramiche, non ci sembrano solo degli espedienti tecnici vuoti e sterili, ma si riempiono di significato e soprattutto si traducono e trasformano in grandi emozioni e sensazioni.

Tacciato addirittura di fascismo, soprattutto al festival di Berlino dove venne fischiato da alcuni spettatori di sinistra, perché Cimino aveva osato mostrare la cattiveria inumana dei Vietcong piuttosto che la crudeltà dei soldati americani, "Il cacciatore", al di là di queste accuse più o meno infondate, va visto e apprezzato soprattutto in quanto pellicola dall'estremo valore formale, oltre che narrativo, che si unisce ad una potentissima carica emotiva che non lascia spazio allo spettatore di impelagarsi in elucubrazioni etiche, politiche o moralistiche.
Una è la considerazione di fondo che scaturisce a fine visione e cioè quella del totale abominio di qualsiasi guerra, della capacità di ogni guerra possibile ed immaginabile di rendere crudeli e inetti coloro i quali vi partecipano indipendentemente dalle fazioni, dai vinti o dai vincitori.
Per questo motivo e per molti altri, come l'immensa recitazione di tutto il cast (un Robert de Niro che giganteggia e ci regala una tra le sue interpretazioni migliori in assoluto, un Christopher Walken da brividi e pelle d'oca, una Meryl Streep alle prime armi ma già grandissima interprete, un John Savage molto intenso e comunicativo e un John Cazale che non avrebbe potuto assaporare il successo della pellicola a causa della sua prematura morte), la strabiliante fotografia di Vilmos Zsigmond (soprattutto durante le sequenze della caccia al cervo), la toccante, ma mai stucchevole o strappalacrime colonna sonora di Stanley Meyers (che viene inframmezzata da alcune sequenze con l'audio in presa diretta), "Il cacciatore" può essere considerato a tutti gli effetti un vero e proprio capolavoro, una pellicola indimenticabile anche grazie alla sua estrema intensità e profondità, non solo di contenuti, ma anche di riflessioni.

Suddiviso in tre tronconi, della durata complessiva di circa un'ora ciascuno (prima, durante e dopo la guerra), la pellicola ci mostra quali possono essere gli stati d'animo e le sensazioni provate da coloro i quali sono chiamati ad affrontare gli orrori e i dolori causati dalla guerra.
Ed è così che nella prima parte possiamo assistere alla gioia di vivere dei ragazzi che ancora non sanno cosa li aspetta, che ingenuamente credono di andare a difendere la loro patria considerata ancora un valore importantissimo, che si interrogano sul loro futuro, il tutto espresso da tre sequenze straordinarie: quella di Nick, Mike e Steven che con gli amici si recano ubriachi al biliardo e tra una birra e l'altra cominciano a cantare "Can't take my eyes off you", restituendoci simpaticamente ma anche profondamente il valore dell'amicizia; quella del matrimonio durante il quale i ragazzi incontrano un veterano che porta lampanti sul volto i segni della guerra a cui ha partecipato; quella della caccia al cervo con Mike che insiste sul fatto che bisogna catturare i cervi con un colpo solo, oppure lasciarli andare.
Quest'ultima sequenza rimanda antiteticamente, nel suo significato di rispetto per la vita, a quell'altra grande sequenza situata nel troncone centrale della pellicola, quella famosissima della roulette russa nella quale i prigionieri dei Vietcong sono costretti a sottoporsi alle scommesse dei loro nemici e a puntarsi la pistola alla tempia, sperando che l'unico proiettile in canna non li colpisca.
Nella parte finale della pellicola, la più riuscita forse nel descrivere quali sono le reali conseguenze devastanti della guerra, i tre amici verranno divisi dal caso, ognuno con un peso enorme da sopportare e con ripercussioni fisiche e mentali di non poco conto.
Anche in questo troncone sono inserite due meravigliose sequenze che richiamano sia la prima che la seconda parte: la caccia al cervo di Mike che solitario si reca sui monti senza più voglia di sparare nemmeno ai cervi e quella della roulette russa con un faccia a faccia memorabile (anche per la recitazione "astronomica" di de Niro e Walken), che termina in maniera davvero scioccante.

A chi rimane non resta altro che piangere su chi non c'è più onorandolo come meglio può e ringraziandolo per aver "fatto la sua parte", così come avviene alla fine di questo capolavoro che ci lascia con i suoi protagonisti riuniti intorno alla tavola e intenti a cantare "God bless America". Una scelta, questa di Cimino, apparentemente fin troppo patriottica che in realtà costituisce il finale perfetto a questa tragica storia d'amicizia e d'amore, prima che di guerra.

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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 10/03/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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