Recensione il gattopardo regia di Luchino Visconti Italia, Francia 1963
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Recensione il gattopardo (1963)

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locandina del film IL GATTOPARDO

Immagine tratta dal film IL GATTOPARDO

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"Il Gattopardo" venne scritto da Giuseppe Tomasi Di Lampedusa a cavallo tra il 1954 e il 1957, e successivamente distribuito, dopo la morte dell'autore, grazie all'aiuto di Giorgio Bassani che ne editò un'appassionata prefazione.
Ancor oggi è un'autorevole testo su cui si confrontano i rigidi schemi letterari scolastici, probabilmente per predisporre i giovani all'attualità del tema trattato.
E' un grande affresco storico, scritto attraverso una meditata e scrupolosa documentazione sulle origini familiari dello stesso autore, di cui il Principe protagonista della vicenda fu un illustre ascendente. Lo stesso titolo, "Il Gattopardo" riguarda lo stemma che rappresenta la famiglia dei Tomasi, anche se involontariamente, e in seguìto anche alla popolarità del film, qualcuno ne trasse interpretazioni più metaforiche e politiche. Nel 1963, Luchino Visconti decise di trarre un film dal celebre romanzo.

La storia si svolge in Sicilia tra il 1860, anno della spedizione dei Mille di Garibaldi, e il 1910.
Don Fabrizio Corbera, Principe di Casa Salina (Burt Lancaster nel film), uomo affascinato dall'astronomia e della matematica, sposato e padre di sette figli, assiste alle brusche mutazioni sociali e, quando Garibaldini e Piemontesi assaltano Palermo, alla fine del suo Regno. Molti si appropriano indebitamente di questo clima Rivoluzionario, a cominciare dall'amato nipote Tancredi, che cerca di convincere lo zio ad appoggiare la sua causa, ma i moti rivoluzionari di Palermo, con le truppe che assediano la città fino a ridurla in cenere, costringono la famiglia Salina a temporeggiare nella dimora estiva, a Donnafugata, nel Ragusano. Nella cittadina Don Fabrizio scopre che un uomo "del popolo", rozzo e poco istruito, ma soprattutto poco affidabile, Don Calogero (Paolo Stoppa), è diventato Sindaco della città.
L'uomo presenta al Principe la bellissima figlia Angelica (Claudia Cardinale), che viene ben presto attratta dal bel Tancredi il quale - già promesso sposo di Mafalda - si invanghisce a sua volta di lei.
Se Don Calogero è un uomo losco per il quale Don Fabrizio non prova alcuna simpatia, l'occasione di far sposare il nipote con la figlia dell'uomo si rivela invitante: venuto a conoscenza degli averi del rivale da parte del servitore Ciccio (Serge Reggiani) e innamorato segretamente di Angelica, Don Fabrizio decide di intercedere presso il padre di lei per combinare un matrimonio storicamente rilevante tra il nobile neo-rivoluzionario Tancredi e la figlia di un neo-borghese.
Del resto lo stesso Tancredi, fedele alla trasformazione culturale e politica in atto, diventa ufficiale e mette in discussione i suoi princìpi tardo-.rivoluzionari arrivando a compiacersi dell'esecuzione di alcuni disertori ("Una volta non avresti mai parlato così" lo sconfessa la delusa e disperata Mafalda in lacrime).
A detta del Principe, benchè titubante e confuso ("Un cavallo tra due pugni, e a disagio in tutti e due") questo "compromesso" s'ha da fare, cercando di riabilitare questa falsa certezza con la speranza illusoria e l'amarezza di una Resa alla Modernità vigente.
Don Fabrizio dimostra poca fiducia nel futuro della "sua" Terra ("Non vorranno mai migliorare perchè si considerano perfetti. La loro viltà prevale sulla miseria"), e poco propenso a partecipare al radicale Cambiamento all'indomani dell'Unità d'Italia.
Deluso dalla moglie e dal Presente storico e politico della Sicilia, ciononostante egli si adatta, ma arriva a rifiutare orgogliosamente il ruolo di Senatore del Regno d'Italia propostogli da un funzionario Piemontese, il Cavaliere Chevalley. Al suo posto, guardacaso, viene chiamato proprio il sempre più ambizioso e incoerente nipote Tancredi.
Il giorno del fidanzamento annunciato si prepara un fastoso Ricevimento, che ha il suo clou in un'interminabile e fastoso ballo collettivo: nel Rituale, che Visconti ricostruisce con assoluta precisione e rigore estetico, Don Fabrizio è diviso tra il desiderio di festeggiare come gli altri, e una certa, profonda, amarezza esistenziale.
Quando Angelica chiede allo "zio" il permesso di ballare un waltzer con lui, l'uomo si dimostra chiaramente commosso e accetta volentieri. Poco dopo, davanti al nipote Tancredi visibilmente geloso, non nasconde di amarla veramente. Quindi, nuovamente illuso, cerca di estraniarsi dalla folla e dal clima festoso, comprendendo che "proprio quello che ci voleva per la Sicilia" - secondo le parole di Don Calogero - non è esattamente il suo pensiero.

"Il Gattopardo" di Visconti è il secondo affresco storico del Regista dopo quel Grandioso Pamphlet Socialista che fu "Senso", dieci anni prima. e che indubbiamente gli è superiore. A differenza del romanzo di Tomaso di Lampedusa, il film fu un fiasco ai botteghini, ed era privo proprio del grande realismo sociale di "Senso" riletto come un'opera letteraria di Roth.
Tuttavia, il film mantiene un suo particolare fascino nella commistione tra Cinema e Letteratura, o anche nella commistione di generi, cosa inusuale per Visconti, come nella sequenza del lungo dialogo tra Don Fabrizio e Don Ciccio, che sembra rievocare il climax di un western Fordiano.
E proprio il film è o puo' essere attuale a seconda di come viene letto il romanzo ononimo, che è facile trovare tediosamente compresso dalla sua celebrità presso i circoli intellettuali, ma è altrettanto semplice venire piacevolmente coinvolti dalle interpretazioni più o meno celate della trama, e dalla psicologia di Adattamento (o Fatalismo?) dei suoi personaggi.

Cerchiamo di analizzare prima di tutto quelli "minori": l'ineffabile Padre Pirrone, interpretato magnificamente da Romolo Valli, ricorda paradossalmente la figura, ben più proletaria e umile, del parroco dell'"Amarcord" Felliniano, ma mettendo qui in risalto quanto il Clero si fondasse spesso (e ancora oggi del resto) su speculari interessi di parte.
E' una figura tipica nella sua caratterizzazione, quasi una Presenza Costante in Casa Salina. Pensiamo però a quanto sia attuale e curiosamente profetica una frase come questa ("Il desiderio di fondere un Matrimonio Cristiano è graditissimo dalla Chiesa") alla luce dei recenti Integralismi del mondo cattolico in Italia.
Meno efficace è il personaggio della moglie, espressa con meno esasperazione e più introspezione proprio nell'ononimo romanzo, soprattutto nei due capitoli finali misteriosamente omessi da Visconti per la realizzazione del film.
Pierre Brasseur e Rina Morelli, nei panni dei genitori di Antonio, non fanno storia rispetto al memorabile Don Calogero di Paolo Stoppa, e le apparizioni di Giuliano Gemma e Mario Girotti (successivamente noto con lo pseudonimo di Terence Hill), ufficiali e soldati delle truppe Garibaldine (curiosi dati storici indicano forse erroneamente la presenza di Carlo Pedersoli nel cast), o il breve ruolo di Pierre Clementi (Antonio) o l'esordio di Ottavia Piccoli, nipote 13enne di Don Fabrizio, sono quasi irrilevanti, anche se (ovviamente) nobili ai fini della loro successiva carriera e al nome tutelare che Visconti esercita nella storia del cinema.

Si disse che Visconti non stimasse particolarmente Lancaster, che gli venne imposto dai produttori, e che ne fu piacevolmente sorpreso. Probabilmente la sua interpretazione si rivelò talmente magnifica da costringere l'autore a richiamarlo per il ruolo del vecchio professore in "Gruppo di famiglia in un interno", nel 1974: un'altra storia di (senile) solitudine. E in effetti la bellezza de "Il Gattopardo" sarebbe impensabile senza un attore come Burt Lancaster: il suo Principe di Salina è indimenticabile, e anche se il film finisce per concentrarsi fin troppo sul personaggio, è altrettanto vero quanto egli sia il Perno su cui ruota l'intera vicenda del Romanzo. Molto azzeccata anche la scelta di Alain Delon, in un ruolo beffardo perchè non oppone resistenza, il suo Tancredi, alla natura del "Nuovomondo", o per meglio dire della "Nuova Italia".

Una storia affine ai trasformismi sociali (oggi useremmo persino un termine astruso e settario come "rampanti") non può venire meno rispetto a Don Fabrizio e alla sua "placida inquietudine", che si trasforma in un'amaro apologo sulla Maturità e sul tramonto delle proprie idee, magari cercando di evitare di calcare la mano a tutti i costi sul significato Politico delle sue scelte.

Probabilmente, "Il Gattopardo" finisce per essere un affresco più sentimentale che storico, rispetto al Romanzo, ma il Sentimento è una forma espressiva ed emozionale che ha tante, tante sfumature: non è "politica" la scelta di Tancredi, nel suo smacco verso la sua Promessa Sposa e nella scelta di fidanzarsi con Angelica, e non è altrettanto "sentimentale"?

Il Principe Fabrizio muore in una stanza d'albergo di ritorno da Napoli dove era partito per sottoporsi a delle visite, e fatalmente proprio lo stesso autore del romanzo, discendente della famiglia, spirò in un albergo di ritorno da un viaggio di cura.

Visconti è ammirevole nelle sequenze finali, quando prepara - con drammatica veridicità - lo spettatore a un Evento che (fortunatamente) non accadrà: gioca di rimozione (visiva, concreta) ma elargisce un'enorme assimilazione con la Patologia della Morte.
Purtroppo però il film sembra incompiuto ed eccessivamente estetizzante, e del resto una sequenza di ballo che prende due terzi del film puo' risultare sfiancante e inutilmente accademica: ebbene, lo è.
Se la scena del waltzer è stata più volte acclamata per la sua fastosità e imitata a lungo nel cinema (forse pure il russo Sokurov ne avrà tratto i giusti insegnamenti per il geniale manierismo di "Arca Russa") c'è l'impressione che una simile operazione finisca per confondere il pubblico e distrarlo dalla profon-dità e dalle sfumature della vicenda.
Straordinario invece, e meno lezioso di quanto sembri, il gioco di equivoci all'interno delle stanze disadorne del Palazzo dei due futuri sposi, probabilmente perchè è in quei frangenti che Angelica mostra il suo vero volto volitivo e intramprendente, di una grazia corriva ma assolutamente decisa, meno sottomessa allo stereo-tipo manicheo delle altre figure femminili del romanzo e (per dirla tutta) del film. Ella rappresenta - di fatto - proprio quella Modernità di donna siciliana che è antitetica al ruolo Tradizionale o Patriarcale del passato più presente.
La parte più tediosa del film, quella del Principe che non accetta di entrare nel gioco Politico, è quella più ideologica, e non a caso: forse è proprio questi spunti a rendere il film impeccabile ma incoerente.
Se "tutto deve cambiare affinchè niente cambi" si dimostrerà un'illusione, è facile pensare che Visconti condividesse le stesse reticenze sociali del protagonista, e quasi volesse privare lo spettatore della propria delusione.
Un film con una Morale di Sopravvivenza Individuale non può destare l'attenzione con un walzer (inedito Verdiano, fra l'altro, mentre il resto è quasi esclusivamente opera del compositore Nino Rota) e per questo la delusione è cocente.

Ma resta l'apologo di ciò che resta e ciò che verrà, probabilmente, un giorno.

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 10/08/2007

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