Voto Visitatori: | 6,90 / 10 (21 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,50 / 10 | ||
Il cinema dei Dardenne, una delle migliori espressioni europee di questi anni, ha il pregio di svelare, attraverso una successione degli eventi poco tradizionale, il meccanismo interiore dello script, il pensiero originariamente celato.
Visto che il tema del film è "anche" la Creazione (quanto spirituale o quanto esorcizzante?), è lecito pensare che i fratelli più famosi del cinema contemporaneo di lingua francese tendano a spogliare, fino alla parziale nudità, il pensiero dell'animo umano.
È un cinema apparentemente semplice (o apparentemente complesso, dipende dai casi), freddo e calcolato, ma che agisce da denotatore nello spettatore più attento, rivelando attraverso immagini, silenzi, frasi dette e soprattutto gesti e sguardi la complessità della coscienza umana.
I gesti di Lorna, la protagonista del film (la stessa attrice di "Rosetta", qualche anno in più e qualche chilo in meno) fanno pensare alla duplicità del personaggio, che è però solo apparente, perchè la presa di coscienza è ben diversa dall'opportunità dello spettatore di condannare e (successivamente) assolvere il suo ruolo nella vicenda: e lo spettatore può provare avversione o solidarietà per questa ragazza albanese, a seconda delle angolazioni: ma più che altro è tutto ciò che gira attorno a lei, i nuovi codici di sfruttamento, ad apparire labile, fragile e doloroso.
Lorna, un'albanese che affronta un matrimonio "combinato" con un ragazzo tossicodipendente allo scopo di prendere la cittadinanza belga, sembra ogni volta vittima o responsabile diretta delle sue stesse scelte. E l'universo maschile del film, spesso così negativo come quello di Sokol (fidanzato "ufficiale" di Lorna) o Fabio (il complice italiano) mostra un mondo in lotta perenne con se stesso, e sembra uscire dai drammi esistenziali del nordico Kaurismaki, pur con meno ironia e maggior rigore stilistico: l'emotività interiore dei Dardenne è solo apparentemente scarna e "arida".
Ma proprio la protagonista, anche davanti alla coercizione di cui si circonda, sembra capace di preservare una libertà individuale che la proietta in un mondo "puro", dove c'è ancora speranza di salvezza e redenzione (un tema, questo, molto caro ai Dardenne).
E il suo conflitto è quello di una donna ora spregiudicata ora cinica ora remissiva, ora sensibile, ora innamorata ora fatalista ora determinata, una dimensione del tutto nuova di indipendenza e manifesto di un'indole che sembra quasi reclamare, anche tardivamente, la propria identità morale e femminile.
Il film sembra dirci che, anche davanti a un complesso affettivo mosso prevalentemente da meschini interessi, anche davanti alla brutalità di una vita bruciata da un "delitto" tutt'altro che astratto, esiste comunque la possibilità di cambiare scelte di vita e ritrovare il lume della ragione.
E la "scelta di una maternità" (che non c'è?) è forse l'alibi attraverso cui la fragile follia passa indenne nella direzione del rimorso, ma è anche il bisogno di Lorna di ritrovare un nesso spirituale tra la dimensione profonda della nascita e la scelta, catalizzatrice e definitiva, della maternità.
Ma non è un cinema ecumenico, come qualcuno potrebbe credere: basti pensare alla sequenza in cui Lorna rincorre l'uomo che probabilmente non rivedrà più, emblema del meccanismo di difesa (o repulsione) della donna nei confronti propri e di qualche misterioso e implacabile giudice (Dio o lo spettatore?) nei confronti della sua dubbia condotta morale... È "il vettore" - l'uomo - attraverso cui passa la "merce" l'unico baluardo di un sentimento che Lorna non trova attorno a sè, anche se è/era un sentimento comprato, che emerge troppo tardi, e l'approccio minimalista dei Dardenne si fonde in una summa di avvenimenti dove sembrano sempre predominare, più che le storie, le conseguenze degli atti umani.
Pensiamo al terribile, meraviglioso "Le fils" giocato tutto sullo sguardo e sul "rumore dei prolungati silenzi": c'era qualcosa di persino superiore nella capacità di raccontare la spiritualità morale in una dimensione laica che i più troveranno estinta.
Il cinema dei Dardenne ha in realtà un tasso emotivo molto alto, smussato da tutti i cliché che possano renderlo gratuito o viziato dalla furbizia dell'esibizione smaccata del dolore: è come se l'emozione trattenuta finisse per implodere quando nessuno se lo aspetta.
Un esempio? L'incontro con Lorna e il fratello del marito: l'uomo si rivolge a lei, non sembra interessato a sapere le motivazioni della sua fine, quasi ha fretta di concludere presto ogni "trattativa" per ritrovarsi finalmente libero nella sua (la sua) sopravvivenza.
La verità crudele ci rende complici di ciò che quotidianamente osserviamo, forse mai con l'occhio di chi la vive attraverso certe oscure scorciatoie: il dolore trova altre strade per esprimersi, quasi "senza far rumore".
È un cinema essenziale, che non incontra i pareri del pubblico che lo troverà lento e statico nel suo monolitismo visivo: chiedersi il perché è superfluo.
Forse, davvero, la gente ha paura a interrogarsi.
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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 02/10/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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