Recensione il mondo di apu regia di Satyajit Ray India 1959
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Recensione il mondo di apu (1959)

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locandina del film IL MONDO DI APU

Immagine tratta dal film IL MONDO DI APU

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Immagine tratta dal film IL MONDO DI APU

Immagine tratta dal film IL MONDO DI APU
 

I capolavori "Pather Panchali" e "Aparajito" ebbero coronamento nel 1959, quando il regista indiano Satyajit Ray girò "Apur Sansar" ("Il mondo di Apu"), completando la cosiddetta "Trilogia di Apu". A differenza dei film precedenti, quest'ultimo si concentra più che altro su temi di natura esistenzialista, e in special modo sul contrasto fra sogni e aspirazioni da una parte e responsabilità e doveri dall'altra.

Ray in pochissimi anni era riuscito ad acquisire grande esperienza cinematografica, rivelando grande capacità e finezza nell'esprimere tramite la mdp l'animo e i sentimenti delle persone. "Il mondo di Apu", oltre a conservare la spontaneità, la naturalezza e la verità dei film precedenti, incanta per la preparazione e lo studio della messa in scena, per l'attenzione alle espressioni dei personaggi, come pure per l'uso attento dei tempi di svolgimento.
Ogni inquadratura, ogni particolare scenografico è curato nei minimi dettagli. Ne viene fuori un film compatto, concentrato, espressivo che prende, coinvolge, emoziona, nonostante la lentezza scenica e la povertà di dialoghi. E' l'emozione che scaturisce dalla visione che comunque supplisce a tutto.
L'opera ha la sua degna conclusione nella scena finale, fra le più belle e intense che siano mai state girate.

In questo terzo film Apu è ormai un giovane ventenne di belle speranze ma di scarse realizzazioni. Vive di espedienti ma ha tanto entusiasmo e tanti progetti in testa. Ci pensa però il destino a decidere per lui. Invitato al matrimonio della cugina del suo amico Pulu, accetta di sostituire all'ultimo momento lo sposo, colto da improvvisa pazzia. Ed ecco che proprio quello che non avrebbe mai immaginato di fare (costruire famiglia), si rivela invece il massimo della felicità che fosse possibile augurarsi dalla vita.
Ma come il destino concede, può da un momento all'altro togliere. Aparna (il nome della moglie di Apu) muore all'improvviso, mettendo alla luce il loro figlio Kajal. Apu è abituato alle perdite e alle tragedie, ma stavolta il colpo è troppo duro e non riesce proprio a rialzarsi. Vaga così per anni facendo vita vagabonda e inconcludente. Sarà di nuovo l'intervento di Pulu, il grande amico, che lo spingerà a raddrizzare la propria vita. Apu cercherà allora di riconquistare l'affetto e la fiducia del figlioletto, trascurato per tutto questo tempo; impresa assolutamente non facile e scontata.

La prima parte del film ci illustra quindi la vita di un giovane sognatore idealista, desideroso di diventare un "intellettuale" che contribuisce con l'arte all'abbellimento e al miglioramento del mondo in cui vive (sogno e aspirazione comunissima in tanti giovani degli anni '50 e '60). La realtà è però di tutt'altro tenore: senza soldi, è costretto a vendere i libri e a cercarsi un lavoro fra i tuguri e i bassifondi di Calcutta.
La mdp documenta questo stato esistenziale contrastante: ci inquadra il volto sorridente, pieno di vita e gioventù di Apu che si risveglia, ma allo stesso tempo ci lascia scorgere anche la sua stanza disordinata, disadorna, trascurata, trasandata. I pezzetti di vita che ci vengono mostrati riescono a comunicare ogni cosa di questa esistenza modesta ma esemplare.
A delineare meglio la figura di Apu interviene poi il confronto con quella del suo amico Pulu, persona concreta, elegante, vestita all'occidentale e che mangia con la forchetta (in genere si mangia con le mani). Vita sognata e vita pratica sono messe una accanto all'altra, per scoprire che ognuna in segreto ammira l'altra. Il comune interesse reciproco risolve qualsiasi contrasto umano. "Il mondo di Apu" ci trasmette il messaggio che il concetto di "amicizia" è l'altro preziosissimo puntello (oltre al legame familiare) che tiene in piedi l'esistenza umana.

Dopo avere presentato il mondo in cui vive Apu, lo si mette subito alla prova dei fatti. Il film entra nel vivo con la scena del matrimonio e cominciano le piccole perle visive del film. Stupenda ad esempio è la scena in cui viene ripreso in una lettiga in primo piano lo sposo che dà in escandescenze, mentre la porta aperta della lettiga funge quasi da secondo schermo cinematografico, in cui in piano sequenza si succedono disperati e agitati tutti gli altri personaggi.
La tradizione/superstizione vuole che se il matrimonio non avviene entro la giornata, la sposa sarà maledetta e non potrà più sposarsi. Pulu chiede così ad Apu di essere lui lo sposo. Prima rifiuta, poi dopo una scena in cui viene ritratto pensieroso, accetta. Cosa sarà scattato nella sua testa? Voglia di non essere più solo? Speranza di dare una svolta concreta alla vita? Non sapremo. Comprendiamo però il carattere contraddittorio e incerto di Apu, ciò che lo rende poco cinematografico ma tanto tanto umano.

La parte del film che ritrae il menage fra Apu e Aparna è quanto di più delicato e affascinante ci abbia regalato la cinepresa. Tutto è dominato dalla bellissima figura di Aparna, la sposa bambina, realmente interpretata da una quattordicenne, la futura grande attrice Sharmila Tagore. Aparna porta nella storia tutta la bellezza fresca e pulita, lo splendore e la fragranza di una rosa appena sbocciata. Si rimane come ammaliati di fronte al suo intenso sguardo abbassato, al suo sorriso timido e nascosto. Mai la stanza di Apu era stato così ordinata, accogliente, luminosa.
E' un sentimento che si esprime in piccoli particolari, nei comportamenti naturali, in battute scherzose. Un meraviglioso primo piano ce li incornicia, lo sguardo perduto, mentre lei appoggia il mento sulla sua spalla. Non un bacio, non un abbraccio, ma quanta intensità sentimentale ci suggerisce la semplice rappresentazione della normalità!

Si capisce perciò la reazione rabbiosa di Apu alla notizia della morte di Aparna (molla un pugno al povero fratello di Aparna). Le scene che seguono sono quanto meglio può esprimere l'immagine senza l'ausilio della parola. Dissolvenze incrociate, lente carrellate, piani medi e primi piani con ripresa dal basso ci suggeriscono il lento sprofondare di Apu nell'apatia e nel rifiuto di vivere in maniera partecipe e attiva. Come il protagonista di "Umberto D.", si salva quasi per caso dall'abisso in cui stava per cadere.

Ancora una volta è l'intervento dell'Amico Pulu che sblocca una situazione senza vie d'uscita. C'è il bimbo di Apu e Aparna, Kajal, che vive presso il nonno, solo, senza una guida, senza un affetto; perché Apu non se ne prende cura? La splendida e intensa scena del dialogo fra Pulu e Apu ci rivela come quest'ultimo ritenga Kajal responsabile della perdita di Aparna e si rifiuti dolorosamente di amarlo. Pulu capisce e se ne va a mani vuote, ma il suo intervento è stato sufficiente a smuovere Apu e a convincerlo a riprendere il filo interrotto della cura delle persone care.

Apu, trascurato, con la barba lunga, gli occhi pesti, macilento non è esattamente il babbo che Kajal ha sempre immaginato nelle sue fantasie. Kajal è un bimbo di cinque anni ostinato, ribelle, aggressivo e non per cattiveria ma per coprire la propria infelicità interiore. D'istinto respinge suo padre come fosse un estraneo e cocciuto, rifiuta tutte le sue tenere e affettuose avances. Ad Apu, ripagato della sua stessa moneta, non resta altro che andarsene sconsolato.

Di seguito viene raccontato il finale. Chi volesse conservare tutta la magia e l'emozione della prima visione si astenga dal proseguire la lettura.

Il piano lungo che ci mostra Apu che si avvia triste lungo il fiume, ci fa scorgere sullo sfondo una figurina che segue a distanza. Apu fa finta di niente, rallenta e infine va verso Kajal. Uno dei più bei campo-controcampo della storia del cinema (paragonabile per concentrazione a quello conclusivo di "Luci della città" di Chaplin) ci regala l'intenso dialogo a distanza fra padre e figlio. Niente musica, solo il canto degli uccelli e il rumore del vento che smuove i capelli di Apu:

"Vieni come me?" (rompe il silenzio Apu)
"A Calcutta?"
"Se ci vado, vieni con me?"
"Mi porterai dal mio papà?"
"Certo"
"Ce l'avrà con me?"
"Perché dovrebbe?"
"E non mi lascerà più?"
"Mai più" (detto da Apu con tono deciso e commosso allo stesso tempo. Kajal invece rimane sempre serio, lo sguardo fisso abbassato, vergognandosi di mostrarsi vulnerabile)
"Tu chi sei?"
"Un tuo amico", (dice Apu sorridente dopo una breve pausa) "Allora, vieni con me?"
(il Nonno chiama Kajal)
"Vieni con me"
"Il Nonno si arrabbierà"
"Non lo saprà, non glielo diremo" (detto da Apu quasi tutto d'un fiato, con un tono emozionato, teso, pieno di complicità; con questa battuta finalmente il ghiaccio si rompe)

La mdp che "finge" di essere Kajal e corre sballonzolando verso le braccia tese di Apu suggella l'incontro fra due anime sole, che finalmente possono sperare in un futuro insieme in cui ci sia affetto e cura reciproca.
Se non altro la vita uno scopo ce l'ha: nell'esistenza individuale c'è anche il dovere-responsabilità di aiutare e insegnare alle generazioni future come si vive o si dovrebbe vivere. Questo è l'importante messaggio finale de "Il mondo di Apu".

Apu sorridente che porta sulle spalle Kajal chiude in bellezza la "Trilogia di Apu", forse il più bello e perfetto esempio di "cinema di formazione" che sia mai stato girato.

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Recensione a cura di amterme63 - aggiornata al 18/05/2011 15.00.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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