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Estate 1966, la rivoluzione del rock sta scuotendo le fondamenta della società su entrambe le sponde dell'Atlantico, ma la BBC trasmette solo 45 minuti di musica leggera al giorno. Per ovviare alla fame di rock di un'intera nazione, navi "pirata" ormeggiate al largo del Mare del Nord trasmettono ventiquattro ore di rock al giorno e diffondono le giuste vibrazioni nelle case di un'Inghilterra apparentemente addormentata.
Il giovane Carl (Tom Sturridge), espulso da scuola, viene inviato dalla madre – piuttosto imprudentemente ed apparentemente senza motivo – a bordo di una di queste navi pirata, Radio Rock, diretta dal suo padrino Quentin (Bill Nighy), dove entra in contatto con un gruppo di disc jockey che lo prendono sotto la propria ala protettiva e lo iniziano ai piaceri della vita, in un misto di incoscienza, balordaggine e spirito fraterno che regala a Carl per la prima volta la sensazione di essere a casa. Tra di loro il Conte (P.S. Hoffman), americano sboccato e idealista, Doctor Dave (Nick Frost), che tenta comicamente di aiutare Carl a perdere la verginità, il mito Gavin (Rhys Ifans), che torna sulla nave per aiutarne le sorti nella battaglia contro il governo e accende una comica rivalità con il Conte, Simon (Chris O'Dowd) che spera di trovare moglie e avrà una brutta sorpresa…
Ma il governo inglese, nei panni di un odioso ministro (Kenneth Branagh), ha dichiarato guerra alla minaccia immorale delle radio pirata e cerca in tutti i modi una scappatoia per renderle illegali. La battaglia è senza scrupoli, ma si può fermare la musica?
Richard Curtis scrive e dirige questa dichiarazione d'amore per il periodo d'oro del rock e per la radio, e lo fa nel modo migliore che conosce: assemblando un cast eccezionale e mettendo in piedi una commedia corale ai livelli dei suoi classici "Love Actually" e "Quattro Matrimoni e un funerale".
"I Love Radio Rock" (titolo originale: "The Boat That Rocked") è un rigore a porta vuota. Una sceneggiatura ad orologeria, una colonna sonora che sfida chiunque a rimanere fermo e impassibile in sala, un cast incredibilmente ben affiatato, un'ambientazione temporale che da sempre consente costumi e storie perfette per il cinema, ricca come fu di stimoli, spunti e cambiamenti.
Mentre Hollywood tenta di riesumare i cadaveri dei suoi brand dando in pasto al pubblico personaggi vuoti e storie piatte, dall'Inghilterra arriva il cast di personaggi più divertente dai tempi di "Quattro Matrimoni e un Funerale", ovvero la scombinata combriccola di dj di Radio Rock ed il loro proprietario, l'eccentrico Quentin. La nave, lontano dal continente, è un microcosmo di persone tutto sommato disfunzionali, che a terra sarebbero dei disadattati e diventano dei semi-dei dietro il microfono, una famiglia nel senso meno convenzionale del termine, in cui non mancano antipatie e colpi bassissimi, ma dove alla fine non può che tornare il sorriso. Da un lato è ovvio, grazie alla mancanza di regole e all'irresponsabilità generale, dall'altro per la sensazione di essere parte di qualcosa di importante, di sacro, quasi, ovvero la diffusione della musica rock, nel momento esatto in cui se ne poteva percepire la violenza pacifica con cui poteva risvegliare le coscienze e assurgere al ruolo di voce della contro-cultura. La patetica e ipocrita morale corrente, messa finalmente alla berlina da un gruppo di disadattati (i musicisti e i loro evangelisti radiofonici), risponde reprimendo l'effetto, chiudendo le radio, ma come si ferma la musica? Basta davvero spegnerla? Il rock era anche altro dalle sue note, per questo non è bastato.
L'asettica Gran Bretagna viene trasversalmente colpita dalle onde radio di Radio Rock, nell'epoca della Beatlemania (i Beatles, a proposito, come sempre sono i grandi assenti della colonna sonora), ma da coloro che prima dei Beatles mostrarono ai giovani l'alternativa, dando voce alle loro pulsioni interiori attraverso le chitarre elettriche.
Richard Curtis ci mostra ripetutamente le varie tipologie di ascoltatori della radio, dalle studentesse ai bambini, ai negozianti, progressivamente anche gli adulti e gli anziani, che partecipano attivamente alla vita dei loro dj preferiti, fino al tragicomico finale in cui gli spettatori, simbolicamente, ripagano i loro eroi salvandoli da una fine sicura, prendendo un'iniziativa che probabilmente non sarebbero stati in grado di prendere se la loro passione per la vita non fosse stata accesa precedentemente dal Conte e dagli altri.
Oltre ad essere un inno al potere che ebbe il rock, infatti, "I love Radio Rock " trasmette, più o meno consapevolmente, una sorta di nostalgia atavica per la passione che sembra essere sparita oggi, dalla musica rock, dalle radio, dai mezzi di comunicazione, dai rapporti personali, dall'amore, perché no, anche dalla politica. La pervicacia del ministro Dormandy interpretato con la solita classe da Branagh non è che un'opposta ma altrettanto sincera passione per il proprio lavoro, in qualche modo altrettanto ammirevole. Dall'altra parte, certo più affascinante, la passione per la musica, per una vita dissennata ai margini ma intensa, e con uno scopo, forse fin troppo idealista, ma sincero, un rifiuto non troppo convinto delle convenzioni sociali (come il matrimonio), seppur subordinato alla "missione" del rock, la voglia di divertirsi. Chi potrebbe dire oggi, guardando il Conte e Dr. Dave, di vivere una vita migliore, pur dall'alto di un posto fisso e di un ruolo nella società? Il Conte ad un certo punto si rende conto che stanno finendo i giorni migliori della sua vita, indipendentemente da quanti ancora ce ne saranno. Il rock si sarebbe presto trasformato in industria, le rivolte giovanili e i sogni di rivoluzione non avrebbero cambiato il mondo. Le radio non sarebbero state spente, anzi, ma il messaggio da trasmettere, ormai innocuo, avrebbe cominciato a convivere con il potere.
Con quelle profetiche parole, il Conte non sa di non parlare solo di sé e della propria giovinezza, ma di quella del ventesimo secolo, che attraverso il rock ha lanciato un messaggio, ha realizzato una rivoluzione incompiuta, ed ha lentamente alzato bandiera bianca. Chi c'era almeno, può dire di averci provato, con una chitarra, un microfono o anche una radio, a tutti gli altri restano le briciole, inevitabilmente, come gli stessi dischi, bombe a mano ormai con la forza di un petardo, pallida eco del boato che accompagnò la loro uscita.
Infine, ma aspetto non secondario, nella tradizione di Curtis, "I love Radio Rock" è una commedia divertentissima e sincera, in cui le risate arrivano dal cuore e dallo stomaco, per le battute fulminanti e le situazioni improbabili e ridicole in cui riescono ad infilarsi i surreali protagonisti, come il duello tra il Conte e Gavin o il recupero di Bob da parte di Carl alla fine del film. Curtis si aiuta con un montaggio divertente in alcune sequenze, come quella dell'addio al celibato di Simon, e la colonna sonora semplicemente "emana" i personaggi e lo spirito del film. Un amante del rock e del cinema che non prendendosi sul serio regala emozioni reali non può perdere questo film.
Una nota finale sul cast: su tutti, un immenso Hoffman, in un ruolo finalmente brillante, conferma di essere il meglio che dall'America può essere prestato al cinema, Bill Nighy e un insolitamente compassato Rhys Ifans nuotano in acque sicure e si sbizzarriscono con i loro Quentin e Gavin. Nick Frost e Chirs O'Dowd incarnano invece perfettamente, in modo diverso, i disadattati riscattati completamente dal ruolo mitico del disc jockey.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 16/06/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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