Recensione i tre volti della paura regia di Mario Bava Italia, Francia, USA 1963
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Recensione i tre volti della paura (1963)

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locandina del film I TRE VOLTI DELLA PAURA

Immagine tratta dal film I TRE VOLTI DELLA PAURA

Immagine tratta dal film I TRE VOLTI DELLA PAURA

Immagine tratta dal film I TRE VOLTI DELLA PAURA

Immagine tratta dal film I TRE VOLTI DELLA PAURA

Immagine tratta dal film I TRE VOLTI DELLA PAURA
 

Una donna viene infastidita da telefonate minatorie.
Una famiglia viene stravolta da una strana forma di vampirismo.
Una donna viene sconvolta dal senso di colpa per aver rubato un anello ad una donna defunta.

Suddiviso in tre deliziosi e gustosissimi episodi, "I tre volti della paura", di quel piccolo grande genio che è stato Mario Bava, si inserisce a pieno titolo e di diritto tra le pellicole di genere più riuscite e apprezzabili del panorama italiano.
Paradossalmente qui da noi non ebbe la giusta accoglienza, venendo invece capito nella sua essenza ironica e beffarda solo all'estero. Ognuno dei tre episodi racconta, in maniera del tutto differente sia stilisticamente che narrativamente, quali sono i diversi tipi di paura o perlomeno i principali, a detta del regista.
Trattasi della paura dei vivi, raccontata nel primo episodio dal titolo "Il telefono"; della paura dei non-morti, narrata nel secondo episodio intitolato "I Wurdalak" e infine della paura dei morti, mostrataci nell'ultimo capitolo: "Goccia d'acqua".

Ogni episodio riesce a colpire in una maniera o nell'altra. Nel primo per esempio (tratto da una storia di G. F. Snyder, anche se attribuita a Maupassant) domina un'atmosfera sospesa che si respira per tutto il tempo, a causa delle continue telefonate di un disturbatore che sembra conoscere ogni singolo movimento della povera donna che riceve le telefonate anonime. A parte ciò quello che più affascina in questo episodio è una sorta di riferimento al rapporto lesbico che sembra intercorrere tra la protagonista e l'amica alla quale si rivolge quando viene spaventata dall'anonimo. Un argomento non proprio all'ordine del giorno per quei tempi, ma sicuramente affascinante per quanto riguarda le contorte relazioni che alla fine veniamo a scoprire tra il fantomatico uomo al telefono, la giovane e bella protagonista e la sua amica forse un po' troppo possessiva.

Il secondo episodio (tratto da un racconto di Tolstoj) si assesta decisamente sul genere horror più puro, richiamando apertamente il tipo di cinema che Corman ricavava ispirandosi agli scritti di Edgar Allan Poe. Tant'è che c'è persino come attore protagonista quel Mark Damon presente anche ne "La maledizione della casa degli Usher" o "I vivi e i morti" che dir si voglia.
Pur non trattandosi di sepolti vivi, bensì di morti/non-morti, cioè di strani esseri chiamati Wurdalack, i quali una volta morti ritornano in vita per succhiare letteralmente il sangue delle persone che più hanno amato nel corso della loro esistenza, le atmosfere e la fotografia ricordano con forza il cinema cormaniano.
Un evidente sottotesto è la potenza pericolosa cha ha l'amore quando questo diventa soffocante, come ad esempio nel "malsano" ambiente famigliare in cui un povero avventore si imbatterà suo malgrado, venendo in pratica risucchiato nella spirale ossessivo-amorosa che lega ciascun componente all'altro.

Il terzo episodio (tratto da Cechov), si concentra sul forte senso di colpa provato da un'infermiera per aver rubato un anello alla medium morta di infarto, a cui era andata a cambiare il vestito. Rimane però il dubbio se le visite della morta, che ossessiona la donna, siano effettivamente reali e dunque un vero e proprio ritorno dall'aldilà o magari frutto dell'immaginazione spaventata dell'infermiera.
Grande punto di forza di questo ultimo episodio è l'ambientazione dal carattere decisamente gotico e l'abilissimo gioco di luci e suoni provocato da un temporale che illumina ad intermittenza l'appartamento della donna. Oltre che da questi tipici rumori, viene spaventarla anche dal gocciolare e dal ticchettio dell'acqua che cade dal lavandino del bagno o della cucina. Rumori, luci e ombre che spaventano oltremodo la protagonista e suggestionano altrettanto lo spettatore.

Il maggior pregio della pellicola è dunque la fotografia, firmata a quattro mani dal regista e da Ubaldo Terzani. E' tutto un giocare con gli effetti cromatici, maggiormente negli ultimi due episodi, dove insistono soprattutto sui Wurdalack che si avvicinano minacciosamente alle loro vittime o sulla medium morta che torna a tormentare l'infermiera.
Questi primissimi piani, frutto dell'inventiva di Bava, si concentrano anche sul terrore che suscitano questi esseri paurosi; terrore esaltato anche dall'uso di colori freddi come il verde, il blu o il viola, i quali creano la giusta atmosfera "terrificante" che si respira per l'intera pellicola.

Difficile scegliere il migliore dei tre episodi, considerando anche che a presentarceli ad inizio pellicola c'è niente poco di meno che il grande e mitico Boris Karloff, icona per eccellenza del cinema horror.
Qui viene chiamato a svolgere il ruolo di "accompagnatore" nei meandri del terrore, oltre a vero e proprio protagonista del secondo episodio, nonché simpatico e ironico scopritore dei trucchi del mestiere in un finale dall'umorismo deliziosissimo, in cui ci viene mostrato uno dei tanti caserecci e artigianali effetti speciali di Mario Bava.
Il maestro sapeva creare delle pellicole straordinarie partendo da mezzi di fortuna, con la sola potenza inarrestabile delle sue idee e della sua immensa fantasia.

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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 10/11/2010 11.35.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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