Recensione jules e jim regia di Francois Truffaut Francia 1962
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Recensione jules e jim (1962)

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locandina del film JULES E JIM

Immagine tratta dal film JULES E JIM

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Immagine tratta dal film JULES E JIM

Immagine tratta dal film JULES E JIM

Immagine tratta dal film JULES E JIM
 

Non si può commentare un film di Truffaut senza fare una breve introduzione sulla Nouvelle Vogue, ovvero la "nuova ondata" del cinema che dalla fine degli anni cinquanta ha contribuito a creare un'immagine romantica di registi ed autori, portando l'immediatezza del divenire sul grande schermo.
I film manifesto di questa nuova tendenza, che sfidava con l'imposizione della personalità e dell'introspezione i canoni dell'industria, sono "Le beu Serge", "I cugini" di Claude Chabrol; "Fino all'ultimo respiro" di Jean-Luc Godard e "I quattrocento colpi" di Francois Truffaut.

Pupillo del noto critico Andrè Bazin, per cui il cinema aggiungendo il movimento alla fotografia cattura del reale apparenza e anima e diviene come un precipitato della realtà, Francois Truffaut dirige il suo terzo lungometraggio, "Jules e Jim", nel 1961 che uscirà nelle sale l'anno seguente. Questo film, di incredibile successo ancora oggi, è tratto dal primo romanzo di Henri-Pierre Rochè che si intitola proprio "Jules e Jim" e risale al 1953.

Jules (Oscar Werner), giovane e romantico letterato tedesco, e Jim (Henri Serre), giovane letterato e scanzonato francese, trovano nelle loro affinità e diversità basi oltremodo solide per fondare un'amicizia talmente ideale da superare le dicerie della massa e gli orrori della guerra, senza oltrepassare indenne il turbinio della passione.
La passione in questo film ha un nome proprio, Cathrine (Jeanne Moreau), un simulacro di bellezza, poesia e spregiudicatezza. Truffaut tratteggia quindi un'amicizia ideale che il desiderio sensuale riesce ad incrinare.
Il rapporto sentimentale raccontato dal regista non è mai paritario ma sbilanciato in favore della donna che non ipoteca un futuro con nessuno ma vive in un eterno insoddisfatto presente.
"Aveva infranto anche lei ogni riguardo e ogni legame con temeraria determinazione, e viveva del tutto libera ed indipendente" (da Lucinde di Schleghel).
Qui il desiderio è triangolare; è un desiderio secondo l'altro che è sempre desiderio di essere un altro, come affermerebbe Renè Girard. Infatti quando Cathrine, dopo aver sposato Jules, diventa amante di Jim, quest'ultimo ad ogni distacco anelerebbe ricoprire il ruolo dell'amico, in quanto punto fermo, ancora di salvezza per la donna. A sua volta Jules, per quanto cerchi di ingannarsi mascherando la propria gelosia causata dai vari amplessi dell'adorata moglie, vorrebbe scambiarsi con l'amico.

"E sebbene ella non si accontenti del solo Catullo, sopporterò le rare infedeltà della mia vereconda signora, per non essere molestamente geloso al modo degli stolti."
(Catullo, carme 68)

L'ingordigia di Cathrine non si limita ai due amici ma coinvolge anche altri amanti. Truffaut ne fa una vera e propria femme fatale; meraviglia e mistero iniziano ad ogni primo piano di Jeanne Moreau.
Sintomatica a tal proposito la canzone "Le Tourbillon" che la stessa Cathrine intona davanti ai due eterni pretendenti accompagnata dalla chitarra di Albert, ennesima vittima del suo irresistibile fascino. Questo film e soprattutto questa figura femminile non si possono spiegare sono da ammirare, ogni parola sembra inadeguata come Jules è inadeguato per Cathrine perchè troppo malinconico o forse perchè troppo normale.
Quest'opera di Truffaut è da considerarsi non più romantica quanto romanzesca, perchè l'autore vuole sì intrattenere un ampio pubblico ma vuole anche svelare la menzogna della bellezza del soddisfare un desiderio, qui occorre dissimulare per possedere ancora un'altra volta.
La vita di Cathrine è un inferno di passioni incontrollabili, dove la ragione dell'etica borghese viene vanificata: la sua è una natura capace persino di annullare l'innata positività dell'istinto materno, ed il culmine di tale inferno verrà toccato proprio nella sequenza finale.

Truffaut utilizza, oltre ai già citati primi piani spiazzanti (basti ricordare quello finale de "I quattrocento colpi" per palesare il suo talento), un libero movimento di camera per descrivere le passeggiate del triangolo di protagonisti che ci dona l'idea di spensieratezza e giocosità del momento. Notevoli e soprattutto incisive le immagini d'archivio che ci descrivono gli orrori della guerra.
Eccellente la fotografia di Raoul Coutard.
Per quanto riguarda la recitazione è impossibile non elogiare la naturalezza e lo charme di Jeanne Moreau; giusta anche la scelta dei protagonisti maschili, ben calati nei loro personaggi.
Il regista affronterà nella sua carriera altre volte temi simili basti citare "La calda amante", "Adele H. una storia d'amore" e soprattutto "La signora della porta accanto", uno dei suoi ultimi lavori.

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Recensione a cura di foxycleo - aggiornata al 05/02/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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