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"Nella più verde delle nostre valli,
una volta abitata dagli angeli,
un palazzo grandioso innalzava
la propria fronte raggiante;
nel dominio del re Pensiero,
ergeva la sua fronte laggiù!
Mai serafino spiegò le ali
su dimora tanto splendente."
Molto prima che nei fatti, l'orrore di Poe è stabilito dagli ambienti, a cui attribuisce un potere suggestivo straordinario, pervaso di quella desolata malinconia e di quel senso di caducità che tormentarono l'uomo, l'amante e il poeta. I suoi luoghi sono sempre specchi in cui la morte affaccia la propria ombra, che appanna col suo alito fatale e sfoca d'irrealtà, dissipandone i contorni verso un infinito atro, evacuato da Dio e dai sentimenti di gioia, e assorto nella mezzanotte di un nulla incolmabile.
Nature indistinte, cime lugubri d'arbusti lontani, acque immobili permeate di tristezza - "valli piene di nebbia, fiumi d'ombra, boschi simili a nubi" - l'opera di Epstein (che raccoglie, in verità, altri episodi dei racconti di Poe, e in particolar modo de "Il ritratto ovale") parte proprio dalla descrizione di questi paesaggi, magnificamente, tra i quali d'un tratto si scorge ergersi, avviluppata dai vapori che ne ricalcano l'aspetto sinistro, la casa Usher; verso dove il protagonista si sta recando, convocato da una lettera di un suo vecchio amico d'infanzia, Roderick, che lo informava d'una acuta malattia mentale che da tempo l'affliggeva in quelle lande remote.
"Guardavo la scena che mi stava davanti: e lo spettacolo della casa e del paesaggio tutt'attorno, le fredde mura, le finestre buie come orbite vuote, i radi filari di giunchi e alcuni bianchi tronchi rinsecchiti, mi davano un avvilimento così estremo che potrei paragonarlo soltanto allo stato del mangiatore d'oppio durante l'amaro ritorno alla realtà quotidiana..."
Tale tetro scenario risulta essere l'anticamera emotiva di ciò che sarà visibile dentro l'abitazione.
Le ampie, fatiscenti sale della casa posseggono vita propria, arcana - come nei Racconti - gli oggetti, disseminati spaziosamente, quasi i pezzi d'una scacchiera spettrale, sembrano compiere impercettibili mosse.
Sono stanze ove vi ha accesso un vento oscuro, un alito sovrannaturale sorto da oltre la morte e venuto a scostare le tende, sinuosamente, o a trascinare le foglie secche lungo i gelidi pavimenti.
La chitarra cadenza languide note; i libri cadono dagli scaffali polverosi - l'arte, l'erudizione per il Poe sono sempre espressioni di solitudine, sconforto, quando avvinte dalla monotonia depressiva divengono insensibili ad ogni sorta di stimolo della fantasia - mentre Roderick, dallo sguardo febbrile e dai capelli sconvolti, dipinge il ritratto della moglie Madeline.
È lei, colpita da un insolito male che la sta conducendo ad una progressivo stato di apatia e catalessia, la vera causa della malattia del marito.
"Allora il tocco fu dato, alle labbra e agli occhi; e il pittore rimase per un attimo in estasi dinnanzi all'opera che egli aveva compiuto; ma continuando a contemplarla, subito tremò e si fece pallido e, atterrito, scoppiando in un urlo: - Ma questa è la vita, che ho creato! - si volse a guardare la sua beneamata, la quale era morta."
Il protagonista non è che uno spettatore, venuto ad assistere alla rovina di Roderick e della sua casa per narrarcela: ad ogni pennellata, ad ogni colpo di colore sulle gote del dipinto, il volto della donna declina nel pallore, cade in deliquio il corpo lasciato dall'anima, mentre la fiamma delle candele, lacrimose, verso il buio inesorabilmente s'attenua.
Istante dopo istante, tocco dopo tocco, oscillazione dopo oscillazione.
Madeline giace al suolo senza vita, per sempre, mentre la donna del ritratto - è sempre conferito agli oggetti il potere di catturare l'anima dei vivi e dei morti, di sedurre alla nostalgia i primi e di fare rivivere i secondi nell'angoscia del ricordo - vive impassibilmente dentro la cornice.
"La morte di una bella donna è senza dubbio l'argomento più poetico del mondo."
Viene portata la bara, e ha luogo un cammino straziante volto a scortare la defunta al sotterraneo dove avverrà la sepoltura; un cammino agitato, pesante, che il regista sovrappone a immagini di candele, in fila o che volteggiano attorno al volto disperato di Roderick: un velo fugge come ultimo anelito nel lago.
Sotto quei rami deprimenti, e costeggiando l'acque mortificate che rispecchiano la tristezza perpetua dei luoghi, giunti a destinazione, nella profondità del sotterraneo angusto, vengono battuti i chiodi, e il coperchio è chiuso per sempre.
"Mai più" ("Nevermore") il diafano sudario della morte verrà scostato dalla sua fronte raggelata, "mai più" il sorriso tornerà a posarsi su quelle labbra chiusesi anzitempo. "mai più" Madeline, Ligeia, Morella, Berenice, Lenore in maniera fausta rivivranno.
"Mai più l'albero folgorato fiorirà/né s'alzerà in volo l'aquila ferita."
Pertinace, e irreversibile, e inquieto nel silenzio, turberà il suo sonno quello dell'amato, "e i sogni notturni mi conducono/dinnanzi agli occhi tuoi grigi che brillano".
"Leva il becco dal mio cuore!": gridava il protagonista de "Il corvo". Ma non c'è speranza, consolazione alcuna. I rospi, abitanti dei fossati, e complici dell'oscurità, si stanno accoppiando, e il gufo fa la sua comparsa, mentre coloro venuti a recare l'ultimo saluto alla morta fanno ritorno alla casa.
È notte. Crollano i libri; e della chitarra si spezzano le corde. E trascorre ferale il vento. E il pendolo oscilla, grevemente, oscilla sopra la figura di Roderick, che ascolta le parole di un antico libro che l'amico gli legge, e contempla muoversi gli oggetti della sala.
La recente morte di Madeline ha aggravato il suo stato, e ne ha acutizzato i sensi, predisponendoli ad una percezione straordinaria; la sua mente eccitata attribuisce ora al mondo inorganico una sensibilità magica superiore a quella umana, che parte dal mondo vegetale, dai rami e dai giunchi che cingono secondo un immobile disegno le mura, dalle acque rattristate e stagnanti che riflettono la desolazione dei luoghi, concentrando un'atmosfera intorno alla dimora che pare rappresentare i pensieri rassegnati della stessa; e si propaga all'interno, mediante una lenta infiltrazione, a dare vita nervosa alle cose. Roderick siede, inerte, senza scopo, in ascolto.
Alcuni rumori sovvengono, da oltre le finestre e da oltre i giunchi, mentre la fatalità s'abbatte sulla casa sotto forma di un fulmine, dando animo alle fiamme: la bara si riapre, la pesante porta del sotterraneo si spalanca e Madeline - la donna romanticamente adorata dal poeta - torna dalla tomba, ravvolta dai veli del suo bianco abito funerario, resuscita effimera come spesso nei Racconti, raggiunge l'amato e lo abbraccia gelidamente.
Il pendolo ha smesso d'oscillare, e la casa Usher, nella mezzanotte della vita, rovina nel pozzo del nulla eterno, assorbita in tutto dal paesaggio fosco della palude.
In verità, il finale della pellicola tradisce quello del racconto, alterandone in parte lo spirito, che è poi quello dell'intera opera di Poe, influenzata ovunque dalla presenza irrimediabile del mistero e della morte.
Nel testo originale la casa crolla sopra Roderick e Madeline (nel racconto sua sorella, o più precisamente sua gemella, ma non è questa una modifica rilevante); ed è anzi più giusto dire che è proprio il dolore dei due a trascinare con loro nella distruzione le mura della casa.
Il regista opta per una conclusione differente, che approda ad una sorta di velata salvezza della coppia. E' forse questo l'unico episodio della pellicola che può destare qualche perplessità. Ma ne certifica, assieme, la volontà d'interpretare l'opera dello scrittore non passivamente, ma privilegiando un determinato percorso artistico personale.
Stilisticamente è infatti un'opera bellissima. Soffuse inquadrature statiche s'alternano a fluenti carrellate, e a sequenze (oblique o ravvicinate) movimentate da una vaga impronta espressionista; mentre l'uso del ralenti è atto a sospendere le figure come in uno stato transitorio, nella dimensione onirica e suggestiva delle Poesie e dei Racconti.
Rimane quella di Epstein - che si fece aiutare alla regia da un giovane Bunuel, uno che di surrealismo dimostrerà da lì a poco di saperne qualcosa - oltre che un avvenimento di grande cinema, sperimentale ed emotivo - probabilmente la migliore trasposizione mai realizzata su schermo dei cupi, sinistri, angoscianti, stupendi scritti di Edgar Allan Poe.
"Chi percorre ancora la valle,
dietro quelle vetrate scarlatte
scorge forme in un moto confuso,
ode musiche senza ritmo;
mentre esce una folla di mostri
attraverso la porta oscura,
come un fiume lugubre in piena;
che ride ma non sorride più."
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Recensione a cura di Ciumi - aggiornata al 19/11/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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