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Cos'era e come è diventata la sinistra italiana? come erano e cosa sono diventati i militanti della sinistra italiana?
Sono queste le domande che si pone Francesco Maselli ed è quello che si prefigge di dimostrare con "Le ombre rosse", il film presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2009.
Spinto dalla sua passione e dalla delusione per la politica italiana attuale, il vecchio, indomito militante comunista analizza la graduale decadenza della sinistra italiana, e con essa quella della sinistra di tutto il mondo, che approssimativamente vive gli stessi problemi e le stesse difficoltà.
Lo fa con un capolavoro imperfetto e incompleto, a tratti zoppicante e reticente, che inquieta e rattrista perchè l'imbarbarimento di fondo della politica italiana rappresenta, di conseguenza, l'imbarbarimento della società italiana che in larga parte finisce per esserne lo specchio.
Un'Italia berlusconizzata che ha perso il senso della solidarietà e della moralità, il senso dell'appartenenza e della comunanza. Un'Italia drogata e confusa, chiusa ed egoista, dove prosperano tronisti e veline, dove si fa credere che basta stare dalla parte giusta per avere successo, dove si fa immaginare che basta avere soldi per fare sesso, dove il sesso si compra all'ombra del potere, ma è difficile per il comprato che possa a sua volta comperare, dove prospera l'idea che corrompere è eccitante perché fa passare il corrotto per complice della tua corruzione, dove la cultura è svilita e le libertà minacciate e intimorite, dove la giustizia è vista come intralcio ai tuoi progetti e alle tue azioni ...
Francesco Maselli racconta così l'impotenza politica della parte progressista del paese, emblema di una sinistra occupata, offuscata da ombre che più che rosse sembrano (sono) plumbee e grevi, che ha consegnato l'Italia al berlusconismo, che frequenta i salotti bene di Roma, che vive a destra e non dice più cose di sinistra.
In una Italia così, in una Roma così, un gruppo di ragazzi idealisti e utopici occupa un vecchio e fatiscente cinema di periferia, cha da anni ha chiuso i battenti, e mette su un Centro Sociale Giovanile, chiamato simbolicamente "Cambiare il mondo".
E concretamente "Cambiare il mondo" funziona, per i giovani che lo frequentano, come centro di aggregazione e accoglienza temporanea per immigrati senza tetto e come luogo in cui operano, fanno teatro, si occupano di bambini, si confrontano e confrontano le loro idee, danno libero sfogo alle loro pulsioni artistiche.
Attorno a loro c'è il vuoto, il nulla: né un'istituzione, né un partito, né un'organizzazione sociale. Nulla. Ci sono solo loro, i gestori e i frequentatori di "Cambiare il mondo".
Sono giovani, sognatori, altruisti, pieni di vita, al servizio degli altri e di chi ha bisogno, prima e al di là della politica. Per questo sono invisi ai politici di professione, e sono soli.
Soli con le loro utopie e i loro ideali. Soli con i loro sacrifici e i loro entusiasmi.
Ed è questa solitudine l'aspetto più inquietante dell'intero film.
L'aspetto più inquietante per chi non sa rassegnarsi al berlusconismo e non vuole accettare una sinistra che si è suicidata.
L'eco di questa realtà arriva in alto e un intellettuale di fama mondiale, prof. Sergio Siniscalchi (Roberto Herlitzka), viene inviato a visitare il Centro Sociale per studiarne la struttura e tenere un seminario sugli irrazionalismi. Viene accolto da Margherita (Valentina Carnelluti) e da Stefano (Luca Lionello), il suo compagno, co-fondatori della comunità, che lo accompagnano nel corso della sua visita al Centro.
Siniscalchi (e noi con lui) scopre così un mondo sconosciuto, fatto di idealisti di sinistra che rifiutano ogni compromesso. Il mondo della sinistra dell'impegno sociale, della tolleranza e della solidarietà.
Scopre come sono stati distribuiti gli spazi e a cosa sono adibiti (c'è un dormitorio per i senza tetto, la sala per le prove teatrali, la sala computer, la vecchia sala cinematografica ora adibita a sala concerti).
Scopre soprattutto l'entusiasmo che anima i giovani che frequentano "Cambiare il mondo", e che li guida nelle loro azioni.
Ammirato dal fervore e dalla vitalità che si respira in quel luogo, Siniscalchi rinuncia al suo intervento, per dar modo ad un gruppo musicale di tenere il loro concerto, previsto in contemporanea con il suo discorso. Poi acconsente a farsi intervistare e riprendere con la sua telecamera da Rossana (Veronica Gentili), una giovane attivista molto determinata che fa una televisione alternativa, la quale a bruciapelo gli chiede cosa ne pensa di loro e della struttura creata.
Siniscalchi molto sinceramente risponde di trovare l'esperienza molto interessante e di essere rimasto colpito dall'entusiasmo dei ragazzi. Anzi si spinge a paragonare la struttura alle "case della cultura" ipotizzate dal filosofo André Marleaux: un luogo aperto a tutti dove la gente possa incontrarsi e trovare arte, cultura, solidarietà. Un po' quello che succede dentro "Cambiare il mondo". Un'idea forte destinata a fare scalpore, ma anche a dividere e lacerare le diverse anime di una sinistra troppo litigiosa.
Infatti l'intervista rimbalza sui media nazionali e internazionali e suscita l'interesse degli ambienti dell'intellighenzia di sinistra, allettati dall'idea della ristrutturazione della struttura, per ricavarne un centro polivalente avveniristico.
L'idea si trasforma in progetto nel giro di due giorni nello studio dell'architetto Varga (Ennio Fantastichini), un designer di fama mondiale, considerato "uomo di sinistra", convinto da Massimo Serra (Arnoldo Foà), un grande vecchio, icona della sinistra, ex sindacalista e militante sessantottino, che ottiene il finanziamento da una fondazione culturale di filantropi texani.
Ma il progetto, estraneo alla realtà dei militanti, incontra l'ostilità della base che si ribella al volere della parte istituzionale, al governo in quel momento. Ancora con più ostilità viene accolta la proposta di una banca di ispirazione democratica, che vorrebbe trasformare la struttura in un grosso centro commerciale multietnico.
Scoppiano così i contrasti, politici e generazionali, tra favorevoli e contrari alla ristrutturazione e il dissidio fa venire meno l'interesse dei finanziatori, che abbandonano il progetto.
E così, tra l'indifferenza delle istituzioni e l'interessamento delle forze di polizia che indagano sulle attività dei ragazzi, il centro sociale cade in malora e si dissolve, il fondatore decade fisicamente e la sua ragazza finisce a letto con il giovane assistente dell'architetto (Flavio Parenti).
Proprio nel giorno della vittoria elettorale della destra, che si abbatte su tutti come un macigno, ancora più bruciante perchè inattesa e impensabile da chi non ha voluto o non ha saputo capire (o ha sottovalutato) il disastro in cui era precipitato.
E i clacson dei sostenitori di destra, che festeggiano la vittoria, lasciano attoniti gli increduli militanti e suonano come monito per tutti, sollecitando (dovrebbero sollecitare) ad una seria riflessione coloro che ancora si ostinano a non capire che l'unica possibilità di riscatto deriva dalla capacità di scuotersi dal torpore che ci ha colto.
Dedicato a chi non può e non vuole rassegnarsi alla variegata e confusa identità che penalizza la sinistra attuale e non riesce a capire la vocazione perdente dei suoi dirigenti e di molta parte dei suoi militanti.
Con "Le ombre rosse" Francesco (Citto) Maselli realizza un'opera pienamente e convintamente ideologica, con cui dà voce alla propria indignazione nei confronti delle diverse anime dell'universo della sinistra di oggi.
Ma "Le ombre rosse" non è una pellicola astiosa, c'è sempre in ognuno un briciolo, un barlume di ragione, non è una lista di buoni e cattivi, mai la "bandiera rossa di qua e gli empi dall'altra parte".
È ambigua la complessità della situazione, è dolente la riflessione sulla sconfitta annunciata, eppure ciecamente inattesa, per mano della destra. Il tema è vitale e merita una approfondita meditazione sui tanti motivi che portano la sinistra ad essere sempre candidata a non governare, e soprattutto come possa una sinistra così (divisa e litigiosa) candidarsi a governare.
Divisioni e litigiosità che scaturiscono dalle diverse visioni ideologiche che, usate per esercitare egemonie, costringono a mediare su tutto e con chiunque, ma soprattutto dalla incapacità di entrare in sintonia con la gente, che porta alla diffusa incapacità di arricchire e rinnovare il bagaglio culturale e politico e lo stesso modo d'essere delle forze riformiste e della sinistra tutta.
Ombre rosse, appunto.
Certo non tutto fila liscio nel film di Maselli e alcuni difetti di fondo e strutturali saltano subito agli occhi: basta pensare ai personaggi principali (ottimi sia Fantastichini ed Herlitzka, che Lionello e la Carnelluti), che in alcuni passaggi paiono incolori e stereotipati (archetipo dei vizi e delle virtù della sinistra); il mixaggio audio a volte è fastidioso e ingombrante e anche i dibattiti politici sono troppo teoretici e concettuali, così come troppo enfatizzata è la rappresentazione della decadenza politica della sinistra.
Detto questo, però, bisogna riconoscere ancora una volta, al vecchio leone, la capacità di toccare le corde della commozione, mettendo in scena la sua delusione per la politica italiana e per quella sua abilità di scivolare leggero sulle ragioni della sua riflessione, portandosi dietro tutta la pesantezza della sua indignazione.
Il film è dedicato all'amico (e compagno di scuola e di lotte politiche) Sandro Curzi, il quale prima di morire volle vedere la copia in lavorazione, consigliandogli di non finire con l'immagine della sconfitta e di inserire una sequenza positiva.
Per questo motivo è stata aggiunta la scena di alcuni ragazzi che si accostano ad un nuovo edificio abbandonato e decadente, per iniziare la costruzione di una nuova sede per il Centro sociale, metafora della rifondazione di un partito nuovo e rinnovato.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 13/11/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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