Recensione l'occhio che uccide regia di Michael Powell Gran Bretagna 1960
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Recensione l'occhio che uccide (1960)

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locandina del film L'OCCHIO CHE UCCIDE

Immagine tratta dal film L'OCCHIO CHE UCCIDE

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Immagine tratta dal film L'OCCHIO CHE UCCIDE

Immagine tratta dal film L'OCCHIO CHE UCCIDE
 

"Peeping Tom" (la cui traduzione in italiano è "guardone") è un film di Michael Powell, nato da un soggetto del crittografo Mark Lewis e uscito in Gran Bretagna nel 1960.
Si può pacificamente affermare che esso rappresenta un formidabile esempio di thriller psicologico e metacinematografico, che ha influenzato una schiera di registi successivi (basti pensare all'Alejandro Amenábar di "Tesis" o al Brian De Palma di "Doppia personalità" e probabilmente anche David Lynch: nell'idea di film nel film che sta alla base di "INLAND EMPIRE", gli è debitore).
Trascurata dai critici benpensanti dell'epoca (indignati per la sua vena malsana), la pellicola è stata infatti portata successivamente in auge dai cinefili più accorti (in primis Martin Scorsese), i quali le hanno restituito la dignità che si merita, rivalutandola e riscoprendone l'intrinseca grandezza nonché la complessità.

Già dalla illustrazione della trama si può intuire la polisemia che caratterizza questa caleidoscopica opera di Powell.
Mark Lewis (Carl Boehm) è un cineoperatore con una mente deviata. Egli infatti ha un'ossessione (indicata col termine scientifico "scopofilia", più comunemente nota come voyeurismo): spiare gli altri riprendendoli con la sua inseparabile cinepresa, ma soprattutto "immortalare" le donne nella loro estrema espressione di paura, cioè quella immediatamente precedente la loro morte, mentre si osservano. Esse, infatti, hanno la possibilità di guardarsi a uno specchio, posizionato sulla cinepresa, negli attimi in cui l'assassino si avvicina a loro con il pugnale (che si nasconde in una gamba del treppiedi della stessa macchina), fino al momento culminante con la loro uccisione.
Ma il terribile segreto di Mark non è destinato a restare celato.
L'incontro con la semplice e ingenua Helen (Anna Massey), sua inquilina che vive con la madre cieca (Moira Shearer), determinerà in lui una rottura: già al primo incontro Mark, rapito dalla affabilità e dalla dolcezza di Helen, si espone a lei svelandole l'orribile passato che ha segnato la sua infanzia, ossia mostrandole i filmati girati dal padre allo scopo di sperimentare su di lui le reazioni alla paura. Il contenuto delle pellicole è terribile: esse ritraggono Mark da bambino mentre è soggetto a crudeli vessazioni volte a provocarne lo stimolo dello spavento. A queste si aggiungono scene di vita quotidiana che, come lo stesso Mark rivelerà prima con un'affermazione sibillina ("nella mia infanzia non sono mai stato un istante solo con me stesso") poi apertamente, fanno capire come ogni momento della sua esistenza di bambino fosse stata cinicamente violata attraverso lo sguardo invasivo e incessante del padre.
In queste scene filmate compare anche la matrigna di Mark: egli, anche se non lo afferma apertamente (ma lo si intuisce), non ha mai accettato l'ingresso nella sua vita di questa figura che ha sostituito prematuramente quella della madre appena un mese e mezzo dopo la sua morte. E tale sua non accettazione si è col tempo tramutata, in seguito ai danni irreparabili subiti dalla sua psiche, in una pulsione necrofila verso qualsiasi soggetto femminile che ricordasse fisicamente colei che ha sostituito sua madre (le donne da lui assassinate sono infatti, così come la matrigna, tutte avvenenti e di bell'aspetto).

Un altro personaggio fondamentale che irrompe nella "vita segreta" di Mark è la madre di Helen, una donna cieca che capisce sin da principio che qualcosa non va nel comportamento del giovane, percependone un'inclinazione malsana e perversa. Ella proprio grazie alla sua cecità è capace di non fermarsi alla superficie delle cose, a ciò che appare esternamente, e a penetrare nell'animo umano cogliendone i lati più nascosti (intuisce subito che Mark non è riservato, come afferma Helen, ma subdolo).
Su questo personaggio, da ritenersi cruciale perché costituisce il contraltare all'impianto tematico incentrato sullo sguardo, è stata anche azzardata un'associazione con la figura mitologica greca di Tiresia, in cui com'è noto la cecità è congiunta alla chiaroveggenza.
Quando il vaso di Pandora si è del tutto dischiuso è ormai troppo tardi: la polizia è sulle tracce di Mark, il quale in una spasmodica tensione autodistruttiva, riuscirà a fotografare e filmare la sua morte in diretta anticipando l'arrivo dei poliziotti e vincendo la resistenza di Helen.

Il fulcro su cui poggia tutto il film, che principia simbolicamente con il primo piano dell'iride di Mark, cui sembra idealmente ricollegarsi l'incipit di quello strepitoso cortometraggio di Samuel Beckett quale è "Film", è chiaramente la latente e perversa attitudine dell'uomo a spiare l'altro: ad osservarlo senza farsi vedere al fine di trarne piacere e godimento per l'appagamento dei propri bassi istinti. E l'acme di questa malsana inclinazione è "guardare il guardarsi": a tal proposito rappresenta uno straordinario momento di cinema la scena in cui si ritrae Helen nell'atto di specchiarsi mentre Mark le si appressa puntandole contro il pugnale, palesandosi in essa il momento in cui il soggetto prende coscienza della parte più inesplorata di sé, cioè quella che emerge nel terrore della fine che incombe. Così osservare le vittime mentre queste si osservano nell'approssimarsi della loro morte fino all'attimo ultimo che la precede costituisce per Mark il soddisfacimento massimo del suo desiderio, il quale però si dilata fino a coinvolgere il regista che presiede alla scena ma anche gli stessi spettatori. Ecco che quindi il il film-nel-film assurge a emblema dello sguardo-nello-sguardo che si attua nella vita di tutti i giorni senza risparmiare nessuno.

Da Dziga Vertov ("L'uomo con la macchina da presa"), passando per Michael Powell e David Cronenberg ("Videodrome"), fino a David Lynch il cinema diventa quindi lo specchio di quel tritatutto che è la realtà.
Ma "Peeping Tom" è anche una vera e propria fucina ermeneutica sotto il profilo delle interpretazioni di carattere psicologico (tra le altre cose, Mark Lewis era un'amante della psicoanalisi): i rapporti di Mark con il padre e con le donne costituiscono una materia così ricca da rendere l'opera di Powell estremamente interessanti anche per gli appassionati di psicologia.

Per finire una curiosità: l'espressione "Peeping Tom" deriva dal personaggio di una leggenda popolare anglosassone, nella quale si narra che un giovane di nome Tom spiando - per l'appunto - la bella Lady Godiva, ne sia rimasto talmente ammaliato e impressionato da perdere la vista.

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Recensione a cura di ULTRAVIOLENCE78 - aggiornata al 03/10/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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