Recensione miss violence regia di Alexandros Avranas Grecia 2013
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Recensione miss violence (2013)

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locandina del film MISS VIOLENCE

Immagine tratta dal film MISS VIOLENCE

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Immagine tratta dal film MISS VIOLENCE
 

Ultimamente il cinema greco ha dato segni di una certa vitalità grazie al circuito dei festival che hanno contribuito a darne una buona visibilità e, di conseguenza, alla distribuzione di alcune pellicole di pregevole valore nei mercati esteri di autori di nuova generazione.
Quest'anno alla Mostra del cinema di Venezia è emerso il film "Miss Violence" di Alexander Avranas, al suo secondo lungometraggio, che riflette in molti aspetti il "Dogtooth" di Yorgos Lanthimos presentato a suo tempo a Cannes nella sezione Un certain regard, fra l'altro vincendola.
Due pellicole molto vicine in parecchi elementi, che sia pure con differenze a livello stilistico (grottesco e allegorico "Dogtooth", più morboso e realistico "Miss Violence"), possiedono una medesima glacialità nello sguardo, ponendo al centro delle loro storie la famiglia, con una particolare attenzione verso l'impronta fortemente patriarcale della stessa.
Curiosamente in entrambi i film sia la figura paterna che quella materna non hanno un nome, quasi ad esprimere non solo un certo distacco emotivo verso gli stessi figli, ma di concepire lo stesso ruolo genitoriale in una maniera meccanica ed artificiosa a cui bisogna adeguarsi pedissequamente senza discussioni.

Fin da subito "Miss Violence" prende una direzione ben precisa con una sequenza iniziale spiazzante e dal fortissimo impatto emotivo. Si celebra il compleanno di Angeliki, il compimento dei suoi undici anni di età viene festeggiato con la sua famiglia con torta, trombette e cotillons. Una normalissima festa di compleanno in cui nulla di particolare fa presagire la sua drammatica conclusione. Angeliki ad un certo punto si reca sulla terrazza dell'appartamento, sale sopra il bordo e dopo aver fatto un sorriso ammiccante verso la camera e di conseguenza verso lo spettatore, si getta nel vuoto e si schianta a terra in una pozza di sangue.
Un gesto così estremo e apparentemente incomprensibile, di natura diametralmente opposta a quel si era visto fino a quel momento e che costituisce il nodo centrale di tutto il film: lo svelamento dei motivi di quel gesto. La scoperta del suo perché. Avranas focalizza la messa in scena all'interno di quell'appartamento, perché è all'interno di quelle quattro mura che si nascondono i motivi del suicidio di Angeliki. Un microcosmo che, pur rapportandosi con l'esterno, possiede una notevole impermeabilità nei confronti di quest'ultimo. La Polizia ed i Servizi Sociali non riescono ad avere la capacità o i mezzi per riuscire a penetrare nelle dinamiche interne a questa famiglia apparentemente normale, cosa che lo sguardo di Avranas ci svelerà gradualmente.

Da questo momento la recensione contiene elementi di spoiler; se ne sconsiglia pertanto la lettura a chi non abbia ancora visto il film.

Colpisce inizialmente la composizione dello stesso nucleo familiare, di non facile intuibilità rispetto alle apparenze. Si arriva alla sua definizione con una certa fatica, ma non per una mancanza descrittiva da parte di Avranas, quanto per creare un parallelismo fra la scoperta dello stato di famiglia e il graduale svelamento narrativo di "Miss Violence". Una volta definito il primo aspetto si comincerà perlomeno ad intuire i segreti di questa famiglia.

Se ci si ferma alle classiche apparenze, questa é una famiglia con padre, madre e cinque figli (compresa la suicida Angeliki). In realtà è più sfaccettata perché i figli della coppia sono soltanto tre: Eleni la più grande, Myrto la sorella di Angeliki di quattordici anni, oltre naturalmente ad Angeliki. I bambini più piccoli, Filippos e Alkmini, rispettivamente di dieci e otto anni sono figli di Eleni. Il padre o i padri di questi bambini sono ignoti, elemento di non poco conto, visto e considerato che contribuisce a creare una forte ambiguità nella struttura stessa della famiglia.
Su tutti comunque emerge la figura autoritaria maschile interpretato da uno straordinario Themis Panou, vincitore fra l'altro della Coppa Volpi come migliore attore. Questo pater familias impone le sue scelte, decide sul da farsi, non ammessi pareri discordi dalla sua volontà. E' una figura dominante assoluta, capace non solo di manipolare con maestria il pensiero di ogni altro componente, ma anche di annullarne sistematicamente la volontà. Il silenzio della moglie, il carattere estremamente debole, quasi infantile, di Eleni, la ribellione senza costrutto di Myrto, più diretta verso gli altri membri e meno polemica nei confronti, mostrano un quadro sconfortante di una situazione cristallizzata da molto tempo, dove tuttavia il suicidio di Angeliki fa intravedere qualche crepa visibile, non solo all'esterno ma anche nei rapporti interni alla famiglia. La portata di questo atto estremo è chiara nella mente del capofamiglia, intuendone la possibilità di scoperchiare il Vaso di Pandora e distruggere tutto ciò che ha costruito.

Paventare un ritorno alla vita di sempre, ritornare al quieto anonimato coperto dallo scudo di palazzoni residenziali, inizia con la rapidissima elaborazione del lutto. Ogni cosa ed oggetto di Angeliki vengono dismessi dall'appartamento con la precisa volontà di dimenticare il più in fretta possibile non solo l'accaduto, ma anche la stessa figura di Angeliki. L'"incidente" (non il suicidio) della ragazza è frutto di una grave mancanza collettiva, una disattenzione fatale che non deve minare minimamente l'equilibrio interno o più precisamente lo status quo imposto dal padre.
L'inferno domestico di "Miss Violence" non è gridato o visivamente cruento. Per quasi tutta la durata del film, la violenza fisica in particolare non viene mai mostrata, ma al contrario viene suggerita, con un uso del fuori campo molto efficace che accomuna questo elemento con le pellicole di Haneke. Sono le conseguenze che vengono mostrate con lividi ed ematomi per sottolineare l'uso della coercizione fisica laddove l'imposizione psicologica del padre non è sufficiente.
Nel silenzio di sguardi sottomessi e vuoti si nasconde l'orrore domestico più aberrante, di rapporti incestuosi e di figlie prostituite presso la cerchia di conoscenza paterna. Il bisogno continuo di denaro, ora che il padre ha perso l'assegno di nucleo familiare dopo la morte di Angeliki, viene sostituito dalla figlia Eleni che riprende a prostituirsi oltre all'altra figlia quattordicenne Myrto. Glaciale e spiazzante tutta la sequenza a casa dell'amico del padre, dove Eleni si reca accompagnata dallo stesso padre e sottolineata dalle note dell'Italiano di Toto Cotugno che si sprigionano dallo stereo.

"Miss Violence" è una pellicola provocatoria, un pugno nello stomaco sia quando il quadro viene suggerito sia quando, mano a mano che il quadro si fa più definito, nell'escalation di umiliazioni continue che Avrenas rende visibili e tangibili. Se nel viaggio della prostituzione di Myrto il regista troncava di netto nell'attimo in cui la ragazza entrava nell'auto del padre, nella seconda parte il percorso viene effettuato fino in fondo. Non ci viene risparmiato nulla. Una ragazzina ridotta ad una catena di montaggio di rapporti sessuali con diversi uomini e non ultimo l'umiliazione finale della violenza carnale dello stesso padre.
Diversa, ma dall'effetto forse più disturbante, l'umiliazione di Filippos, colpevole di non andare bene a scuola. Su ordine del nonno (padre?) viene preso a schiaffi dalla sua stessa sorellina, la camera che ruota attorno a queste due figure in un vortice ai limiti della sostenibilità accompagnata dalla voce fuori campo dell'uomo che incita la bambina e deride il bambino. Avrenas ci spara sullo schermo ciò che prima veniva negato dalla visione, ma ampiamente intuibile. Un perverso confronto tra l'immaginazione dello spettatore e la crudezza delle immagini.

La crisi economica greca è un fattore importante all'interno di questa famiglia disfunzionale. Ne influenza le dinamiche, ma dare una lettura univoca, cioè la giustificazione di tali comportamenti solo con la grave crisi che attanaglia la nazione greca offre una lettura limitata. Vero è il carattere precario dei lavori impiegatizi del padre, che passa da un lavoro temporaneo all'altro. Altrettanto vero la ricerca ossessiva di denaro, usando i corpi stessi delle figlie (nipoti?) per mantenere uno standard adeguato di vita. La stessa sequenza della perquisizione in casa degli assistenti sociali, decisi a trovare una causa scatenante al gesto di Angeliki senza trovare nulla, può sembrare la metafora di un'Europa che mette a soqquadro una nazione in profonda crisi.
Ma la crisi economica casomai amplia e distorce una crisi sociale profonda, dove i valori della famiglia sono totalmente stravolti da una volontà manipolatoria e tesa all'annullamento della volontà che si trasferisce dalla singola famiglia che diventa specchio di un'intera società. Un contesto che all'interno stesso presenta non poche ambivalenze, in cui la pesantezza del silenzio può essere indice sia di sottomissione completa, ma non esclude a priori la complicità delle stesse vittime, in un pericoloso riflesso proveniente dal Salò pasoliniano.

Lo stesso finale, con una madre che di fronte all'ennesimo sopruso (la violenza carnale ad Alkmini), lucida con meticolosità i coltelli con cui ucciderà nella notte il carnefice, nella sua straordinaria ambiguità prefigura un nuovo ordine all'interno. Sarà migliore o peggiore? O sarà lo stesso? Avrenas ci sbatte la porta in faccia. Ci fa immaginare ad un accenno di speranza senza una conferma tangibile di un cambiamento, se non con il dubbio che alla morte di un carnefice se può sostituire un altro. Angeliki, appena avuto la conoscenza dell'inferno che l'aspettava, ha scelto la via del suicidio. Forse l'unico vero atto di ribellione di questo film.

"Non provi vergogna a farti schiaffeggiare da una bambina?"

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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 28/10/2013 16.04.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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