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"So cosa stai pensando. Stai pensando: che cazzo, sono un fottuto eroe di guerra, decorato, a tre mesi dal congedo e mi sbattono nella squadra degli Angeli della Morte; ho un cercapersone, un discorso precotto e un ufficiale pazzo con cui fare surf in un cazzo di Oceano del Dolore".
Parlare di guerra e non mostrare mai la guerra. Solo il dolore. Il fottuto, maledetto, lacerante dolore, per l'assurda, illogica, irrazionale, insensata morte dei soldati al fronte.
È questo ciò che fa "Oltre le regole" (assurdo titolo italiano che fa sembrare il film un pornazzo, più che una drammatica pellicola di guerra): mostrare il dolore per elaborare il lutto collettivo di una guerra assurda, che non ce l'ha fatta ad entrare nella coscienza di una nazione.
L'Iraq oggi come il Vietnam ieri.
Una ferita ancora aperta che non ha fatto in tempo a rimarginarsi e che, anzi, rischia di incancrenirsi per le tante volte che è stata contaminata dalla politica di guerra americana.
La guerra e le sue ferite, con le sue colpe e i suoi errori, il suo dolore e il suo cinismo, le responsabilità umane e le vittime incolpevoli, i giochi politici e gli interessi economici. Mentre in lontananza si sente l'odore di quel petrolio di cui sono ricchi quei paesi dove si vanno a combattere le "guerre sante".
Tutti temi importanti e amari che il cinema di Hollywood non ha paura di mostrare, sia nella sua forma più cruda e brutale, come nel cinema di Michael Moore, sia nei suoi effetti più imbruttenti e devastanti sui soldati, ufficiali, cittadini, nazione intera.
Se ne sono accorti Robert Redford ("Leoni per agnelli") e Paul Haggis ("Nella valle di Elah), Kathrine Bigelow ("The Hurt Locker") e Stephen Gaghan ("Syriana"), così come Paul Greengrass ("Green Zone"), Rydley Scott ("Nessuna verità") e Brian De Palma ("Redacted"), come avevano fatto prima di loro Francis Ford Coppola con il suo "I giardini di pietra" e Steven Spielberg con "Salvate il soldato Ryan", cercando di ricostruire la coscienza critica del paese intero per restituirgli la dignità perduta.
Questo è ciò che fa anche "Oltre le regole": mostrando dolori e drammi riporta la guerra nell'altra parte del mondo, dove la guerra è sempre rimasta lontana, se non fosse per quell'aleggiato di morte che spesso, sempre più spesso, bussa alle porte delle linde casette dei familiari di coloro che sono caduti sulla polvere insanguinata dell'Iraq o dell'Afghanistan.
I messaggeri di morte in quest'opera prima come regista di Oren Moverman hanno le fattezze del sergente Will Montgomery e del suo superiore Tony Stone. Insieme sono l'incubo di ogni genitore, parente, moglie, amante, fidanzata con un congiunto al fronte, quando suonano il campanello, trasformando una tranquilla giornate come tante in tragedia. Quando ci si trova di fronte all'incomprensibilità della morte e alla percezione del dolore senza fine.
Ma non sono uguali Will e Tony. Il sergente William Montgomery e l'ufficiale Tony Stone sono diametralmente opposti: l'uno, Will, più fragile ed emotivo, si porta nel corpo le ferite della guerra, e nello spirito un lacerante senso di colpa; l'altro, Tony, tipico veterano tutto d'un pezzo, si fa scudo del suo apparente cinismo per mascherare la sua crescente inquietudine e svolgere nel rispetto rigoroso delle rigide regole, l'infame compito che gli è stato assegnato, cercando di trattenere emozioni e sentimenti, non facendosi coinvolgere nel dolore e nella disperazione altrui.
Il sergente William Montgomery è rientrato da eroe (lui che tanto eroe non si sente) dal fronte iracheno, costretto a lasciare la missione a causa di una brutta ferita ad un occhio e una gamba, riportata in un'azione di guerra nella quale ha salvato la vita a tre suoi soldati.
Non potendo tornare in prima linea e in attesa di essere congedato per scadenza della ferma, viene destinato al servizio di Casuality Notification Office, con l'ingrato compito di annunciare i decessi ai familiari dei militari caduti in una guerra senza fine e senza senso, prima che lo facciano la televisione o i giornali.
Il roccioso ufficiale Anthony Stone ha il compito di accompagnarlo, insegnandogli a "fare surf in un cazzo di oceano di dolore", e tutta una serie di accorgimenti sulle procedure da seguire, secondo il manuale del perfetto notificatore di morte, redatto con cinica freddezza dalle gerarchie militari (non partecipare al dolore, non cercare di consolare, non offrire conforto, e soprattutto non toccare mai, per nessuna ragione, i familiari delle vittime).
"Lo faccio io" afferma sicuro Will dopo la seconda missione. E Stone: "OK Allora infila la mano nei pantaloni, afferra una manciata di palle e fallo come si deve".
Ma portare le conseguenze della guerra dentro le famiglie non è un compito nè facile e nè agevole. Un compito che diventa ogni giorno che passa un onere disturbante e psicologicamente insostenibile.
Anche per chi, come lui, è abituato a guardare in faccia la morte, quando cerchi di salvare qualche compagno rimasto intrappolato sotto il fuoco dei cecchini, anche quando il compagno che hai trascinato al coperto ti salta in aria e ti costringe a grattar via dal viso con i brandelli del suo corpo, perché non immaginavi che lì dentro c'era nascosta una mina.
Un dolore che ti porti addosso e che si acuisce ancora di più, ora che hai di fronte qualcuno che sta morendo dentro.
Si impara a sopravvivere e si cerca di restare impassibile di fronte alla ragazza che porta in grembo un figlio che non conoscerà mai suo padre, o di fronte alla violenza di un padre a cui il figlio tre giorni prima aveva detto per telefono, ci vediamo tra una settimana.
C'è chi incassa con dignità senza reagire e chi reagisce sputando loro addosso, chi crolla e si dispera e chi spera si tratti di un errore, chi si immedesima nel loro difficile compito e chi li tratta da vigliacchi per esserne usciti vivi , mentre suo figlio moriva a Mosul.
"Non c'è mai un cliente soddisfatto" dice il finto cinico Stone, che stila una classifica delle guerre scoperecce e dà di fuori tra regole, alcool e pollastre.
Questa dura esperienza finirà per avvicinare i due soldati, che impareranno a conoscersi e a gestire le situazioni, ma anche a prendere coscienza degli errori commessi dal loro paese, pagati con un altissimo tributo di vite umane.
Questa nuova consapevolezza porterà Will e Tony a riconsiderare l'intera questione e a porsi le domande se tutto ciò sia servito a qualcosa e, soprattutto, se ne sia valsa veramente la pena.
In particolar modo a rimanerne segnato sarà il sergente Montgomery, che ha ancora nella mente e sul corpo gli orrori della guerra.
Will non è il tipo di persona che diventa cinico e sprezzante a causa della guerra, cerca una ragione per continuare ad andare avanti ed un motivo per continuare a vivere, lui che è riuscito a sopravvivere alla guerra. Soprattutto quando comincerà a frequentare, fino ad innamorarsene, la giovane vedova a cui solo qualche giorno prima aveva comunicato la morte del marito, che capisce le difficoltà del suo lavoro, ma non accetta che altri uomini in divisa "adeschino" davanti ai supermercati altri giovani da reclutare, dando così vita a tutta una serie di dubbi morali che si risolveranno in maniera del tutto inattesa e sorprendente, quando riuscirà a confrontarsi, in un colloquio chiarificatore, con il suo superiore e mentore.
Lo sceneggiatore israeliano Oren Moverman (è suo lo script di "Io non sono qui"), al suo esordio dietro la macchina da presa, parte dalla sua quadriennale esperienza militare nel suo paese, per realizzare un film amaro e toccante, che fornisce una visuale originale sugli orrori della guerra, visti con gli occhi di coloro che di quella guerra ne subiscono le conseguenze: da una parte i familiari dei caduti, che devono fronteggiare un dolore senza senso, e dall'altro i militari sopravvissuti, che devono cercare di riadattarsi alla vita normale e cercate di cancellare dall'animo i segni che quell'esperienza gli ha lasciato.
Un film antimilitarista, anzi antibellico, anzi sul lutto militare, che si avvicina in punta di piedi (ed anche con una certa dose di umorismo) allo strazio di una Nazione ferita, arrestandosi giusto in tempo sulla soglia delle case del dolore e della disperazione.
Ma "Oltre le regole" è anche un film fortemente politico, ed una chiara denuncia all'azione di governo di George W. Bush e le sue guerre "sante" contro quegli Stati che devono assicurare all'America il loro costante rifornimento di petrolio.
È molto bravo Moverman a mostrare il lato più intimo della guerra e quella sofferenza indistinta tra chi combatte al fronte e chi lo aspetta a casa.
Tutto un campionario di sofferenze umane, tutte diversissime ma colme di verità, che fanno capire l'assurdità delle guerre e toccano le corde dei sentimenti dei due messaggeri e degli spettatori con loro.
Non si vede una sola azione di guerra, non si vede una goccia di sangue, eppure "Oltre le regole" è un perfetto esempio di "war movie", che eguaglia per potenza espressiva e per intensità emotiva capolavori dello stesso genere, che scavano in profondità le ferite dell'anima dei reduci, e descrivono il loro disadattamento e le difficoltà di reinserimento nella vita civile; un po' come avveniva ne "Il cacciatore" di Michael Cimino o in "Nato il 4 di luglio" di Oliver Stone (stesso profetico cognome del protagonista di questo film); passando per i più recenti "Redacted", di Brian De Palma e il meno riuscito "Brothers", di Jim Sheridan.
Il film è arricchito da un cast di ottimi attori, tra cui spicca Woody Harrelson nel ruolo del capitano Stone (meritatissima la sua candidatura agli Oscar come miglior attore non protagonista), ruolo (forse il migliore della sua carriera) a cui conferisce notevole spessore, con una recitazione piena e ricca di sfumature, gradassa ma anche sofferta (si veda la scena del suo pianto liberatorio), che sdrammatizza con fulminanti battute ironiche che stridono con il suo sguardo fisso e penetrante.
Ma chi impressiona veramente è il giovane Ben Foster (per la prima volta in un ruolo di prestigio), una vera forza della natura, un interprete maturo e consapevole, che si conferma come uno dei più promettenti interpreti della sua generazione. Il suo Will Montgomery è un campionario di emozioni e un concentrato di turbamenti, che affollano i suoi pensieri e opprimono il suo animo. La sua recitazione corre via veloce come le immagini spiazzanti dei dolori e dei drammi legati alla guerra, (memorabile il suo dialogo con Harrelson, rivelatore della sua umanità, commentato in sottofondo dalle note di "Good vibrations" dei Beach Boys).
Completano il cast una notevole Samantha Morton, che presta il suo volto alla giovane vedova di guerra, Olivia Pitterson, che alla fine si innamora di Will, e il veterano (come interprete) Steve Buscemi, eccelso nel mostrare tutto lo strazio di un padre a cui hanno strappato via un figlio. Il suo Dale Martin, che piange solitario per la scomparsa del figlio, è da antologia, e dovrebbe essere di esempio per tutti coloro che si apprestano a girare un film lacrimevole, con l'errata convinzione che più lo spettatore piange e più si convincerà di aver visto un grande film.
Perfetta la sceneggiatura, premiata con l'Orso d'argento a Berlino 2009, scritta a quattro mani dallo stesso Oren Moverman e dall'italiano Alessandro Camon, figlio dello scrittore Ferdinando Camon.
Alla fine, quando le luci si accendono in sala, allo spettatore rimane solo la certezza che "morire a vent'anni è assurdo, ma morire in guerra è ingiusto e doloroso", per chi se ne va, ma anche per chi resta.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 23/04/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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