Voto Visitatori: | 7,27 / 10 (56 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,00 / 10 | ||
Dublino. Lui: giovane irlandese cantante di strada di sera e di giorno aggiusta-aspirapolveri. Lei: ragazza ceca, grande suonatrice di piano ma senza i soldi per comprarne uno, deve badare alla famiglia.
L'incontro tra i due avviene proprio sulla strada, e dalle strade questa unione musicale si trasferisce in uno studio di registrazione.
Attraverso la musica i due riusciranno a comunicare reciprocamente i propri sentimenti...
"Once" è film senza un inizio ed una fine: è un frammento sottratto alla vita e trasposto su immagine da un saccheggiatore di emozioni (Carney). Tutto ciò avviene con un tocco estremamente delicato che non mira a "strappare" forzatamente sensazioni ma piuttosto ad "accarezzare" dolcemente lo spettatore (le stesse mani che sfiorano le corde di una chitarra e pigiano i tasti di un pianoforte riescono a coccolare lo sguardo e carezzare il volto rigato di lacrime di "chi guarda").
La dimensione drammatica è raggiunta in maniera diretta e senza trucchi di sorta: nel seguire con gli occhi quell'aspirapolvere trainato a mano lungo le strade di Dublino ci si accorge dell'enorme grandezza della semplicità (solo apparente, dato che le emozioni sono per natura tanto semplici quanto inaccessibili).
I personaggi di questo film irlandese sembrano essere finiti sullo schermo per puro caso: la naturalezza/spontaneità raggiunta è massima e tutto appare trasparente (e l'utilizzo, in alcuni frangenti, delle superfici vetrose che si interpongono tra la macchina da presa e i personaggi ne è testamento).
"Once" è anche un film molto astratto oltre che "vetroso", è un albero le cui radici sono ben piantate nel terreno delle emozioni e le cui foglie prendono il volo sospinte dal vento dell'amore.
Carney cerca di sfondare le dure barriere della logica, galleggia a pelo d'acqua nelle meraviglie dell'impalpabile per poi immergervisi.
La storia è comunque legata al tangibile e alla realtà quotidiana ma lascia dei vuoti che devono essere colmati solo e soltanto dal cuore (il cuore è il terzo occhio che l'osservatore è chiamato ad aprire davanti a film del genere).
Ci si può dunque permettere qualsiasi cosa, stilisticamente parlando: dai dolly/carrelli che sottolineano l'aspetto prettamente concreto del film (lo scorrere lineare dell'immagine) alla camera a mano che traccia i movimenti naturalmente confusi delle emozioni (l'oscillazione ondulatoria dei battiti del cuore).
Oltre all'aspetto emotivo vi è quello fortemente legato alla musica, "Once" è un film che non gioca sulla colorazione della realtà ma in qualche modo sulla sua sonorizzazione (non pennella il quadro, varia i rumori che lo avvolgono).
Le composizioni musicali dei due protagonisti (entrambi ritrovatisi a "fare altro" nella vita ) sono dei Virgilio che ci guidano all'interno delle sensazioni: le note sono i fili che muovono la vicenda come fosse un burattino.
Il legame che si viene a creare tra i protagonisti è strumentale: piano/chiatarra/voce sommati divengono megafono urlante amore. C'è questa calamitica attrazione dello strumento nei confronti del musicista che lo porta ad estrapolare la sua intimità (quello che i due si tengono dentro esce allo scoperto proprio durante l'atto del "suonare").
La musica rimpiazza l'atto sessuale e rende eterno un sentimento propenso a disperdersi nell'aria (perchè ora "inciso" sui dischi della memoria), e quindi il sesso non è utile perchè forzatamente "temporaneo" ("non servirebbe a nulla" dice lei riferendosi alla possibilità di contrarre un rapposto con lui).
Questi spartiti scritti con penna indelebile danno luogo a quel concerto di emozioni che riportano in luce i violini del ricordo (lui che immagina l'amata mentre canta, lei che pensa al marito lontano mentre suona).
Le sensazioni vengono percorse con una semplicità (quella semplicità che nega addizioni e sottrazioni che siano al di fuori del contesto musicale) che lascia totalmente privi di respiro.
Al termine di questo percorso il sipario si cala infine sullo sguardo stesso, la storia continua ma non è dato sapere il destino di quell'ultimo pianoforte giunto a restituire un po' di speranza o forse nuovi pugni nello stomaco.
La colonna sonora, targata Glen Hansard/Markéta Irglová, è di quelle che non si dimenticano facilmente.
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Recensione a cura di honeyboy - aggiornata al 18/12/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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