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Sam Brenner (Adam Sandler), ex campione di videogiochi, riceve la convocazione dal Presidente degli Stati Uniti (Kevin James), suo amico di infanzia, quando i personaggi dei vecchi giochi arcade degli anni Ottanta iniziano ad attaccare la Terra. Da anomalo consulente militare, Brenner si trova presto in prima linea a combattere i vecchi videogames, con l'aiuto di altri videogiocatori del passato, non più per la gloria della sala giochi, ma per la salvezza del pianeta Terra...
L'omonimo cortometraggio di Patrick Jean del 2010, da cui "Pixels" è tratto, dura un paio di minuti e si basa su un'idea semplice: i personaggi dei primi videogames (Tetris, Arkanoid, Space Invaders, Donkey Kong) attaccano e distruggono le città, riducendo tutto il mondo ad un enorme pixel (tridimensionale, tecnicamente quindi un "voxel"). Per trasformarlo in un film, serviva una storia, un contesto, dei personaggi.
"The Lego Movie" e in parte anche "Ralph Spaccatutto" hanno dimostrato che non esistono limiti: anche concept all'apparenza impossibili da portare sul grande schermo possono essere trasformati efficacemente in un film. Se non si può replicare l'esperienza, si deve trovare la chiave per restare fedeli allo spirito originario, trasferendolo nel tessuto del racconto. "Pixels" ci riesce solo in parte: i diritti dell'adattamento del corto originale sono finiti alla Happy Madison, la casa di produzione di proprietà di Adam Sandler, che ha affidato a Tim Herlihy il compito di trasformare anche Pixels in un veicolo per il suo debordante ego e dubbio senso dell'umorismo.
Invece di mettere i giochi (e i giocatori che saranno richiamati al cinema) al centro della scena e scatenarsi sulle infinite possibilità di uno scenario assurdo come quello del corto di Jean, Sandler ha preferito giocare sul sicuro e mettere il suo solito alter ego davanti a un Pac Man gigante. Con la differenza che Pac Man è più simpatico e credibile. Impermeabile alle critiche che puntualmente stroncano le sue sortite cinematografiche, Sandler non riesce mai a trovare la misura.
La regia di Chris Columbus rende tollerabile la visione di "Pixels": le scene delle "partite" a Pac Man, Donkey Kong e Centipede sono divertentissime e spettacolari, ma per tutto il resto del film è necessario sorbirsi l'ennesima puntata del "Sandler show": le solite battute, le solite scene sopra le righe, i soliti scambi di insulti divertenti dieci anni fa quando erano qualcosa di nuovo. Il marchio di fabbrica di Adam Sandler applicato stavolta all'universo dei nerd - anch'esso tratteggiato in maniera così inefficace e anacronistica da risultare quasi offensivo.
Non bastano e anzi sono sprecati in ruoli marginali Josh Gad, Kevin James e Peter Dinklage, i cui personaggi sono tutti - per quanto completamente assurdi - più interessanti di Brenner (che vive nel rimpianto di essere arrivato secondo da bambino a un torneo di videogiochi... davvero non c'era altro modo per definire il personaggio?)
La cultura popolare che celebra se stessa è una pratica ormai comune, che non riesce ad affrancarsi da difetti endemici. L'autoreferenzialità conta sulla partecipazione del pubblico al gioco della nostalgia e dei rimandi (non si contano nella sceneggiatura le battute parafrasate da altri film e classici del cinema di intrattenimento), ma il risultato finale è un non-prodotto che nulla aggiunge alla cultura che celebra e che rischia di essere incomprensibile da qui a pochi anni.
"Pixels" è un film senza pubblico, l'ennesimo prodotto basato esclusivamente sul richiamo del concept. La linearità e l'eccessiva semplicità di certi passaggi della trama farebbero pensare ad un film per ragazzi (e la scelta di Columbus conferma tale ipotesi), ma il richiamo agli anni Ottanta e la struttura tipicamente "sandleriana" ne fanno un prodotto pensato per i trentenni e quarantenni, col risultato di uno strano ibrido che faticherà ad intercettare un largo consenso e sembra destinato all'oblio.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 27/07/2015 17.14.00
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