Recensione possession regia di Andrzej Zulawski Francia, Germania 1981
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Recensione possession (1981)

Voto Visitatori:   8,19 / 10 (81 voti)8,19Grafico
Voto Recensore:   9,00 / 10  9,00
Miglior attrice protagonista (Isabelle Adjani)
VINCITORE DI 1 PREMIO CÉSAR:
Miglior attrice protagonista (Isabelle Adjani)
Miglior attrice (Isabelle Adjani)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior attrice (Isabelle Adjani)
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locandina del film POSSESSION

Immagine tratta dal film POSSESSION

Immagine tratta dal film POSSESSION

Immagine tratta dal film POSSESSION

Immagine tratta dal film POSSESSION

Immagine tratta dal film POSSESSION
 

Semplicemente uno dei film più allucinanti e disturbanti di ogni tempo. Il cinema di Andrzej Zulawski è considerato una sorta di tumore informe all'interno della cinematografia mondiale, e "Possession" ne è la pellicola più emblematica, in cui Isabelle Adjani (premiata a Cannes) mette i brividi e firma la sua interpretazione più convincente.
Si è scritto tanto su Possession, film maledetto (ancora oggi non è chiara la sua durata effettiva), venerato da David Lynch, il quale alla consegna del Leone d'oro alla carriera a Venezia nel 2006 lo definì la pellicola più completa degli ultimi trent'anni: horror metafisico, boutade onirico-visiva, opera provocante e malata.

In realtà il film più celebre e celebrato di Zulawski altro non è che una storia sul fallimento del rapporto di coppia. Certo, i motivi di ermetismo, se non di vero e proprio depistaggio, sono molti e disseminati non sempre con coerenza (o forse proprio per via dei numerosi tagli, mai director's cut, che la pellicola ha dovuto subire) durante tutta la durata della pellicola. Solo altri film maledetti come "Salò o le 120 giornate di Sodoma" e "Cannibal Holocaust" hanno subito sequestri ed incomprensioni da parte della critica al pari di "Possession".

Questa la trama: siamo nella Berlino della cortina di ferro; una Berlino immaginaria, le cui strade e piazze sono vuote quasi come se ci si trovasse all'interno di un sogno, o di un'opera di De Chirico, o ancor meglio, di Magritte. In un appartamento a ridosso del muro, metaforicamente a simboleggiare il bene e il male, yin e yang, maschile e femminile, vivono Marc ed Anna, interpretati da due bravissimi Sam Neal e Isabelle Adjani, coppia sposata con pargoletto di cinque anni. I due sono in crisi; Marc scopre che la moglie lo tradisce con Heinrich, uno strano personaggio (interpretato da un altrettanto straordinario Heinz Bennet) dedito all'uso costante di droghe che lo aiutano ad intraprendere dei favolosi viaggi onirici in cerca di Dio.
Per questo motivo Marc, che lavora nei servizi segreti tedeschi, decide di abbandonare il lavoro. I suoi datori di lavoro (loschi agenti segreti berlinesi) gli propongono un periodo di riflessione e nel frattempo lo incaricano di un tanto bizzarro quanto misterioso incarico: ritrovare uno strano tizio ricercato il cui unico indizio sembra essere quello di portare dei calzini rosa.
Esasperato dai comportamenti di Anna, Marc si affida quindi ad un investigatore privato. Questi, dopo averla pedinata lungo le strade di una Berlino inquietante ed irreale, la segue con una scusa fin dentro l'immobilito appartamento che la donna ha preso in affitto. Da lì scopre l'orripilante verità. Anna ha un secondo amante, un rivoltante essere polipesco con il quale si accoppia regolarmente. Anna elimina quindi il poliziotto ed il suo successivo aiutante che si era recato nell'appartamento a cercarlo.
A questo punto Marc si rivolge ad Heinrich e questi decide a sua volta di far visita ad Anna. Dopo avere anch'egli scoperto l'allucinante verità, si salva dalle pugnalate di un'inferocita Anna, ma viene ucciso da Marc nei bagni del bar situato proprio sotto la casa di lei. Da qui il grande ed apocalittico finale: scopriamo che Anna ha generato l'essere polipesco con un processo di partenogenesi nei corridoi della metropolitana di Berlino, in quella che viene definita una delle scene più schoccanti della storia del cinema.
Anna ha partorito due esseri: bene e male, nero e bianco, est ed ovest, maschile e femminile. Il bene si è sviluppato in un'Anna ideale, buona compagna di Marc e materna ed amorevole maestra d'asilo del piccolo figlio della coppia. Anna ha custodito e allevato la parte maligna, il Male (il bene per Zulawski non è altro che un riflesso del male) per farlo diventare un superuomo, il Marc ideale. In questa visione nichilista si trova però uno spiraglio di luce: anche il male può diventare bene. Ma a quale prezzo?

Si potrebbero scrivere fiumi di inchiostro sull'opera più controversa del grande regista polacco, che si addentra in territori così estremi da essere quasi impossibile analizzarli (in ultimo il suicidio finale del bambino, davvero terrificante: la coppia forse nemmeno in questo momento può dirsi perfetta).

Citando Freud, Nietschze e Platone ed entrando nella metafisica junghiana Zulawski mantiene una forte lucidità ideologica anche se non sempre unita ad una linearità narrativa (alla fine si scoprirà che l'uomo ricercato da Marc altri non è, forse, proprio colui che gli ha affidato l'incarico).

Il muro di Berlino ("il muro deve cadere" cita una scritta in tedesco all'inizio del film) è metaforico; tanto che in una scena, forse tagliata in fase di montaggio, il protagonista rinato avrebbe dovuto scapapre attraverso i tetti della città proprio in quella Berlino Est temuta e sconosciuta, come sconosciuto è il nostro inconscio. Bene e Male devono unirsi: non dobbiamo avere paura della nostra Ombra se vogliamo arrivare alla verità.

"Possession" fu presentato al Festival di Cannes nel 1981 e scandalizzò subito gli spettatori benpensanti. Alcune scene furono immediatamente tagliate ma l'impatto con la critica fu forte: Isabelle Adjani vinse la Palma d'Oro come miglior attrice protagonista e la pellicola incontrò i favori del pubblico non omologato. A colpire gli spettatori furono soprattutto i dialoghi esasperati, le carrellate vorticose e le scene di estrema violenza, o più che altro di una violenza fastidiosa, sconcertante, sconveniente. La Adjani che si isola dal mondo (vero o inconscio?) eliminando, proprio come la Deneuve di "Repulsion" (guardacaso opera di un altro grande regista polacco, Roman Polanski), tutti coloro che cercano di entrarvi, mette davvero i brividi ed i messaggi che Zulawski vuole lanciare vanno ben oltre l'horror metafisico, etichetta che il film si porta dietro ancor oggi; anche se il fatto di averlo classificato come horror metafisico (estremo) ha non poco giovato nel successo della pellicola.

Tuttavia, ritornando a quanto scritto in precedenza, l'opera di Zulawski può essere considerata semplicemente come il tentativo di raccontare lo sfacelo di una coppia borghese in crisi: in un'intervista lo stesso regista ha ammesso che in parte si è ispirato nello scrivere la sceneggiatura ad una sua vicenda personale, mostro compreso. Nemmeno altri film grandiosi quali "Eyes Wide Shut" o "Shining" sono forse riusciti ad esprimere così bene la crisi di un uomo e una donna che forse si amano, ma non riescono a comprendersi.

Dopo Possession Zulawski firmò altre opere importanti e controverse, quali "La Sciamana" e "La Femme Publique", senza tuttavia raggiungere i livelli estremi toccati con "Possession".
Risale al 2000 "La fidelité", l'ultima fatica del regista.
Da anni Zulawski ha comunque in cantiere un'opera che, se portata sul grande schermo, sarà certamente un altro pugno nello stomaco per lo spettatore: la storia di Gilles de Rais, conosciuto dai più come Barbablù, amante di Giovanna d'Arco, l'incarnazione perfetta di yin e yang. Santo e difensore dei diritti dei più deboli, ma anche dedito alle messe nere e ad orge in cui, per raggiungere l'orgasmo, doveva squartare vivi fanciulli in fiore, di età non oltre i dodici anni.
Un'opera che appariva controversa già prima di vedere la luce, anche se recentemente Zulawski, preoccupato circa impatto che un lavoro simile potrebbe avere sulla gente, nonchè padre di un bimbo piccolo, si è detto non più interessato a trasporre per il grande schermo la storia di Gilles de Rais ed ha infatti scritto un libro, in parte trattante l'argomento ed in parte invece autobiografico, intitolato per l'appunto "Barbablù".

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Recensione a cura di paul - aggiornata al 28/09/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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