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Il personaggio di Cetto Laqualunque imperversa sugli schermi televisivi italiani già da qualche anno, portarlo al cinema è diventata una naturale conseguenza. Ci ha pensato Giulio Manfredonia, regista poco noto ai più, a costruire una storia credibile (fin troppo vista la realtà dei tempi), circondando Cetto con personaggi alla sua altezza.
Colpisce la scelta di inserire Cetto in un contesto luminoso e colorato; gli abiti che i protagonisti indossano (sua moglie in primis) sono esagerati, così come spicca la cafonesca cialtroneria della sua abitazione. Il tentativo è di fare di Cetto e dei suoi sodali dei personaggi fumettistici, per suscitare ilarità.
Ma "Qualunquemente" non fa affatto ridere. Strappa qualche sorriso perché le battute ci sono, perché Albanese ha pensato al suo personaggio fondamentalmente per far ridere, ma diventa quasi impossibile divertirsi davanti alla storia presentata dalla pellicola. Raccontare la storia di un uomo ex latitante, colluso in una miriade di affari sporchi, disposto a qualsiasi bassezza (persino a mandare in carcere il suo unico figlio) pur di riuscire nel suo intento di diventare sindaco, non può che amareggiare.
I parallelismi con la realtà di oggi sono tanti anche se ovviamente la sceneggiatura non è stata concepita in contemporanea all'attualità. Sconvolge la relazione tra Cetto e il sesso femminile, visto essenzialmente come corpo.
Cetto torna dalla latitanza con una nuova compagna di colore di cui ignora il nome (la chiama "Cosa") e che viene imposta alla moglie (interpretata da Lorenza Indovina), una donna fisicamente poco vicina al canone muliebre apprezzato da Laqualunque e che, pur tentando deboli ribellioni alle assurde imposizioni del marito, sfoga nell'alcol e nell'isterismo silenzioso le sue numerose frustrazioni.
Nella campagna elettorale Cetto non manca di regalare a guisa di caramelle donnine compiacenti per ottenere favori, ripromettendosi poi di nominarne altre come assessori usando come unico metro di giudizio il fisico (tra l'altro induce il suo timidissimo e pertanto degenere figlio Melo a lasciare la serissima fidanzatina colpevole di avere un busto decisamente esiguo).
Sconvolge la sua campagna elettorale che abbonda di colpi bassi (persino al momento dello spoglio), arrivando addirittura dall'intimidazione più grave: la vettura dell'avversario fatta saltare in aria.
Sconvolge la facilità con cui tutti si vendono al migliore offerente (chi non lo fa ne paga le conseguenze, come la vecchietta abbandonata per strada dopo aver dichiarato di voler votare per l'altro candidato), sconvolge lo stravolgimento operato nei confronti del candidato De Santis, mite e onesto, a cui viene impedito platealmente di esprimere il suo pensiero durante un confronto televisivo da un anchorman viscido e venduto.
Albanese è superlativo e naturale nella sua interpretazione; i momenti comici e caricaturali, come pure i tormentoni, non sono mai fini a se stessi ma si inseriscono talmente bene nel contesto da fare di Laqualunque un personaggio autentico.
Così come autentico potrebbe essere il suo curatore d'immagine (un Sergio Rubini bravo ma meno efficace se rapportato ad altre sue interpretazioni), un pugliese che per essere qualcuno si finge di Milano, pur sbottando nel suo dialetto nei momenti topici.
"Castigat ridendo mores" dicevano gli antichi Romani. Il guaio è che non ci viene da ridere se alla fine l'antieroe Laqualunque vince.
Se comunque l'intento di Albanese e Manfredonia è stato quello di fare un film di denuncia o, come avveniva ai tempi di Swift, di feroce satira politica, allora il risultato è da dieci e lode.
Da vedere per pensare e per cercare di evitare che il peggio dilaghi.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 25/01/2011 10.12.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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