Recensione soul kitchen regia di Fatih Akin Germania 2009
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Recensione soul kitchen (2009)

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locandina del film SOUL KITCHEN

Immagine tratta dal film SOUL KITCHEN

Immagine tratta dal film SOUL KITCHEN

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Immagine tratta dal film SOUL KITCHEN

Immagine tratta dal film SOUL KITCHEN
 

36 anni, già vincitore di un Orso d'oro a Berlino 2004 e di una Palma d'oro a Cannes 2007 per la migliore sceneggiatura con "La sposa turca", Fatih Akin è il nuovo enfant prodige del cinema tedesco e, in assoluto, uno dei migliori registi under 40 in circolazione.
Nato in Germania da genitori immigrati turchi, stabilitisi ad Amburgo negli anni '60, Akin ha mietuto allori festivalieri un po' ovunque con la sua splendida trilogia sull'amore, la morte e il diavolo, di cui fanno parte il cult "La sposa turca" ed il sottovalutato "Ai confini del paradiso"; entrambi notevoli per completezza formale e rigore stilistico.

Con "Soul Kitchen" il giovane turco-tedesco conferma le sue notevoli capacità registiche e si prende una pausa dal genere drammatico, con cui si è fatto apprezzare, non soltanto dalle giurie, e ci regala una divertente (ed intelligentissima) commedia; leggera e plurispeziata, multietnica e multiculturale, che alla Mostra di Venezia 2009 ha conquistato il prestigioso Leone d'oro - Gran Premio della giuria e che a noi spettatori offre 90' di "soul kitchen", di cucina dell'anima.

Con questo film, dedicato alla "sua" Amburgo, il giovane regista decide di farci sorridere (o ridere di cuore) con una commedia che parla di amicizia e di famiglia, di lealtà e di fiducia, di amore e di sesso e, naturalmente di cibo.

Ricca di ammiccamenti allusivi e metafore culinarie, in cui si incrociano motivi multietnici e multirazziali, la commedia corre veloce sui binari paralleli e gravosi di come conquistare il proprio posto nel mondo e la propria dignità personale.
Impresa difficile per tutti, ardua se si è stranieri, disperata se si è immigrati ed extracomunitari.

Fin dagli esordi Akin si propone di non realizzare film sull'immigrazione e sulle difficoltà ad essere immigrati, ma per un verso o per l'altro, finisce quasi sempre col trattare storie che raccontano di integrazione, di rapporti interrazziali, di politiche sociali, di tutela sanitaria, di mondo del lavoro, seppure in modo originale e personalissimo, con un occhio rivolto al potere salvifico dell'amicizia, dell'amore e del cibo.

Per raccontare questa storia il regista turco di Amburgo si avvale, ancora una volta, di alcuni degli attori dei suoi film precedenti: Birol Ünel, Moritz Bleibtreu, Catrin Strienbeck, Cem Akin e, soprattutto, Adam Bousdoukos, giovane attore-ristoratore greco-tedesco, nel cui ristorante, "Taverna Greca", che Bousdoukos aveva anni fa ad Amburgo, è nata l'amicizia tra i due.
Ed è sempre nella Taverna Greca dell'amico (il luogo dell'anima del regista, al quale si è ispirato volendo raccontarne i ricordi, in un progetto inseguito da tempo) che il regista ha passato "le migliori serate della sua vita", ed è stato "educato" ai piaceri del cibo e dell'alcol, delle nottate insonni e, a dar credito al film, anche delle donne e di molto altro ancora.
Insomma a quei piaceri, come dice l'eccentrico e geniale chef di "Suol Kitchen", "non possono essere venduti: l'amore, il sesso e l'anima", che, insieme agli amici, al vino, alle donne e al cibo, rendono piacevole la vita e regalano giornate (o nottate) indimenticabili.

Ancora una volta al centro di questa vicenda vi è una famiglia, non esattamente tedesca (ma questo ormai in Germania non è una novità).
Protagonisti sono infatti due fratelli di origine greca, i Kazantsakis: il minore, (Adam Bousdoukos), gestisce quello che lui ritiene il suo "ristorante", il Soul Kitchen, appunto, (in realtà è più una bettola ubicata in un vecchio e fatiscente capannone industriale dismesso, nella periferia di Amburgo, dove Zinos sforna pizze surgelate, frigge patatine e hamburgher di pesce, mentre cuoce crauti che sanno di merluzzo; il maggiore, Illias (Moritz Bleibtreu), invece, entra ed esce di prigione e non ha alcuna voglia di lavorare, ma è obbligato a farlo per poter tutti i giorni uscire dal carcere.

Zinos è in una fase delicata della sua vita: il suo ristorante nel quartiere amburghese di Wihelmsburg (in odore di riconversione modaiola), famoso per le pietanze non propriamente raffinate, che gli avventori sembrano, comunque, apprezzare moltissimo (insensibili al perenne odore di fritto rancido che aleggia sotto il capannone), naviga in acque molto agitate, mentre la sua ragazza, Nadine (Pheline Roggan), contro la sua volontà, è in procinto di partire per la Cina dove assumerà l'incarico di corrispondente per un importante quotidiano.
La sera in cui i falcoltosi parenti e amici di Nadine sono riuniti in un elegante ristorante sulle rive del fiume Elba per festeggiare il nuovo incarico e la partenza della ragazza per Shangai, Zinos vorrebbe esserci, e fa di tutto per arrivare puntuale, ma, a causa degli impegni nel suo ristorante finisce per arrivare a festa già cominciata.
In tempo però per assistere al licenziamento, da parte del proprietario, dell'eccentrico e permaloso chef del ristorante, Shayn, (uno straordinario ed esilarante Birol Ünel), che si rifiuta di preparare un gazpacho caldo (ed è a questo punto che uscendo grida, rivolto al datore di lavoro: "vuoi vendere quello che non può essere venduto: l'amore, il sesso e l'anima".

Quando non può più cucinare né servire ai tavolini a causa di un un dolorosissimo strappo alla schiena, che si è procurato nel tentativo di spostare una lavastoviglie (straordinaria ed esilarante la scena con la fisioterapista che tanta di curargli il dolore a suon di massaggi, ma lui ha un'imbarazzante erezione, accolta dalla donna con malcelato orgoglio e ammirata meraviglia), Zinos si ricorda di Shayn, lo chef lanciacoltelli, e lo assume come nuovo cuoco.
Ma qui cominciano i guai, perchè i vecchi clienti non gradiscono le raffinatezze da nouvelle cuisine che Shayn prepara per loro e cominciano a boicottare il locale, reclamando il vecchio junk food di Zinos.

Gli unici avventori rimasti sono Illias, uscito di prigione in libertà vigilata, e due suoi amici poco raccomandabili.
Per Zinos comincia così il periodo più buio della sua vita: Nadine vorrebbe lo raggiungesse a Shangai; la funzionaria dell'ufficio imposte gli contesta alcune cartelle non pagate e gli sequestra l'impianto stereo; mentre l'ufficiale sanitario minaccia di chiudergli il locale a causa del mancato rispetto delle norme igieniche.
Tuttavia Zinos, nonostante i grossi problemi, non ha assolutamente alcuna voglia di vendere il suo locale e rifiuta l'offerta di Neumann, un ambiguo ex compagno di scuola, divenuto speculatore immobiliare.

Poi, nel giro di qualche giorno il vento inizia a spirare nel verso giusto, quando una scuola di ballo apre i battenti nelle vicinanze.
I clienti della scuola prendono a frequentare il ristorante di Zinos e, inaspettatamente, cominciano ad apprezzare la nouvelle cuisine del genialoide e permaloso chef, accompagnata dalla musica del gruppo rock del suo cameriere. In breve la voce si sparge e il Soul Kitchen diventa un ricercato locale che fa tendenza.

Illias, intanto, innamoratosi della cameriera, Lucia, per far colpo sulla ragazza e mostrarle le sue doti di dj, ruba un impianto stereo, che non fa che aumentare il successo e il prestigio del locale.
Ma l'inaspettata fortuna, ben presto si tramuta in un nuovo momento di amarezza per Zinos, quando Nadine non vuole più che la raggiunga a Shangai, a causa del nuovo fidanzato con gli occhi a mandorla che si è trovato in Cina.
Intenzionato a scoprire il motivo del mancato invito, Zinos decide di vendere il ristorante e partire lo stesso alla volta dell'estremo oriente.
Quando però scopre che l'acquirente ha intenzione di demolire il locale per costruirvi un immobile, cambia idea e ne affida la gestione al fratello.
La festa di commiato al Suol Kitchen, sottolineata meravigliosamente da una musica accattivante, si trasforma in un'orgia a causa di una potente spezia afrodisiaca che Shayn "dalcoltelloveloce" mette nella sua torta, da lui battezzata "Schiuma di Venere".

Ora Illias è il nuovo gestore del ristorante e la prima serata sembra andare a gonfie vele, fino a quando nel locale non fa il suo ingresso Neumann, che sfida Illias a giocare a poker. Le mani si susseguono, le ore passano, Illias vince una partita dietro l'altra, ma poi nuovamente il vento cambia direzione e comincia a spirare in senso contrario, che sembra la definitiva catastrofe.
Se non fosse per Zinos, prontamente rientrato in patria dopo la scoperta del tradimento di Nadine, che sa il fatto suo, e i soldi per rimettere tutto a posto sa dove andarli a prendere. Una volta tanto.

Tutto questo, e molto altro ancora, pigiato insieme nei 90 e passa minuti del film: il gazpacho caldo e tre bastoncini di merluzzo surgelati che diventano un piatto da 45 €; il sesso virtuale con la webcam e quello reale con l'iPhone; spezie antiche e dessert afrodisiaci; i costi della sanità pubblica e lo spaccaossa della porta accanto; l'amore che giustifica per il fratello scapestrato e sbagliato e l'amore che perdona per la ex, attraverso la condivisione di un piatto a base di pollo e patatine fritte.

Fatih Akin, forse stanco di premi gratificanti ma sterili sia economicamente che in termini di popolarità, sceglie di mettersi in gioco con una commedia politicamente scorretta, a tratti anche triviale, in cui abbondano doppi e tripli sensi, il cui menù prevede battutacce e colpi di scena, situazioni divertenti e ambientazioni particolari; il tutto raccontato con una leggerezza che non mortifica l'intelligenza, e richiama alla mente certe commedie, divertenti e graffianti, dall'humour tipicamente britannico (pensiamo ad esempio a "Full Monty", "Funeral Party", "La famiglia omicidi", "Matrimonio all'inglese").
Akin confeziona così un film che non è solo un pout pourri di arguzie salaci e situazioni paradossali, ma un lavoro costruito su una sceneggiatura intelligente e vivace, che tiene lontana ogni forma di retorica e fa del percorso di emancipazione sociale dei protagonisti una strada irta di difficoltà relazionionali e una rincorsa verso l'identità di origini, comuni a tutte le persone sdradicate dalle loro realtà e dalle loro culture, tra confusioni esistenziali, solitudini frustranti, drammi privati e ordinamenti sociali punitivamente unidirezionali.

Straordinari i movimenti della macchina da presa, che dilata lo spazio e la scena in primo piano, per una resa totale più profonda e una cura particolare dei dettagli, con inquadrature prolungate e insistite, ed una attenzione singolare a creare una sinergia fra movimenti dei personaggi, movimenti di macchina e brani musicali della colonna sonora.
Perché il film si avvale di una colonna sonora strepitosa, che tiene alto il ritmo del racconto, e che spazia dall'hip-hop al sound elettronico; dal rock più duro al soul anni '70, fino al rebetiko greco (parola che pare derivi dalla parola turca rembet, che significa "fuorilegge". E già questo vuol dire molto sul significato della musica e sui rebetes. Coloro che suonano rebekitos sono anticonformisti che parlano in slang e stanno dalla parte degli emarginati e dei poveri).

Il valore aggiunto del film sono però gli interpreti, principali e caratteristi, con in primo piano la faccia comica del greco-tedesco Adam Bousdoukas (amico e attore feticcio di Akin) che si fa carico, anche fisicamente, di un personaggio logoro e snervato e riempie di significati simbolici le sue vicende e i suoi comportamenti.
Al suo fianco, Moritz Bleibtreu, nuova icona del cinema tedesco e del cinema di Akin, irresistibile nel ruolo del fratello scapestrato e un po' cialtrone.
Azzeccati tutti gli altri attori di contorno, a cominciare da Birol Ünel, canagliesco e talentuoso chef che trascina e coinvolge nel suo mondo surreale godereccio.
Ottime anche le due attrici, l'esordiente Anna Bederke, musa ispiratrice e sensuale cameriera, e Pheline Roggan la sofisticata fidanzata bene di Zinos; con contorno stipato di parenti e amici: il fratello di Fatih, Cem (l'amico di Illias), la mamma di Bleibtreu, Monica (la nonna di Nadine), con Monique Akin (moglie di Fatih) al casting.

Un film che riempie gli occhi e le orecchie di colori e musica; con l'avvertenza di non alzarsi dalle poltroncine prima che si accendano le luci in sala: i titoli di coda sono un capolavoro imperdibile.
Fidatevi! Ne vale veramente la pena.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 21/01/2010

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