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"Trasformiamo il mondo in una massa d'acciaio. Facciamolo arrugginire, così che si sbricioli nel cosmo".
Questo anatema, urlato in conclusione da un grottesco e metallico carro armato a due teste, sintetizza la logorante follia che accompagna e consuma l'inerme spettatore per tutta la durata dell'opera di Shinya Tsukamoto.
La pellicola è cruda e di estremo disturbo. Un feticista, interpretato dallo stesso regista, applica alla carne viva del suo corpo componenti metallici, dopo averne brutalmente dilaniato le carni.
Sopravviviamo a fatica davanti ad un incubo di sessualità distorta e emotivamente sconcertante, dove il protagonista subisce la metamorfosi del suo pene in una enorme fresa, con cui penetra a morte la sua donna.
Annaspiamo appesantiti in un oceano delirante di rugginose frenesie, dove il montaggio epilettico ci tortura, privandoci di quell'ossigeno necessario per metabolizzare ma lasciando la nostra mente vigile nell'affrontare le assurdità che impongono un nuovo limite alla sopportazione, obbligandoci a varcare una nuova frontiera sensoriale.
La coppia che, dopo aver involontariamente investito un feticista estremo, decide di non soccorrerlo ma sconvolta e eccitata dall'accaduto, consuma il pasto sessuale riparata in un bosco, non merita alcuna pietà.
Il virus metallico che ne deflagra le bianche carni è la flagellazione obbligata per accedere "nel nuovo mondo".
La trasumanazione del protagonista da uomo di carne a uomo di metallo è inedita e spettacolare. La malata violenza delle immagini è l'unico veicolo per coinvolgere lo spettatore che, privo di alcuna via di salvezza, attende l'epilogo delle gesta dei nuovi eroi, tra estasi e convulsioni.
Il masochismo estremo, evidenziato dalle protuberanze ferrose che aggrediscono i corpi, è una cavalcata trionfale di ribellione e distacco dalle carni.
Le ambientazioni scarne e claustrofobiche, come i corridoi sterminati del sottosuolo di Tokyo, teatro di incubi e scempi, e l'angusta fabbrica abbandonata, dove il feticista estremo scarnifica il suo corpo nella ricerca convulsa di componenti metallici da innestare sotto la pelle, aumentano la densità d'impatto di rumori, immagini, sensazioni e conseguenti illogiche conclusioni.
Ogni elemento riflette distinte condizioni sociali: la disumanizzazione è rappresentata dall'inorganicità dei componenti metallici, le esplicite allusioni sessuali, sempre presenti nella produzione giapponese, sono uno sfogo isterico alla grigia e degradata società industriale e al suo tessuto urbano in rapida decomposizione.
Lo scorrimento veloce delle immagini, animato dalla fuoriuscita di tubo-razzi dai piedi del protagonista, è una metafora di come l'individuo cerchi di fuggire dal mondo che si è costruito, sempre più simile ad una severa condanna.
La ricerca della salvezza al di fuori del mondo ordinario viene inconsciamente imposta da un destino più forte di ogni difesa e il suo fallimento si riassume nella delirante conclusione, dove la fusione fra vittima e carnefice in un unico corpo corazzato da inizio alla distruzione del mondo che forse non merita altro.
Shinya Tsukamoto ha il controllo di ogni cosa, quasi voglia partecipare alla totale fusione dei metalli.
Oltre a essere regista e attore è il responsabile della fotografia e del montaggio. Tutti addendi la cui somma non è altro che un'icona sfacciata, disturbata, avanguardista e violentemente sublime.
Benvenuti "nel nuovo mondo".
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Recensione a cura di Luca Davide Valtolina - aggiornata al 30/06/2010 10.39.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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