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Con "The dreamers" Bernardo Bertolucci continua la riflessione, sottesa a gran parte del suo cinema, sulla ricerca dell'identità e sulla difficoltà di conciliarla con passione, desiderio e sogni.
Si può osservare come tale tema, già presente nella produzione poetica del regista parmigiano, si leghi indissolubilmente alla problematica della scoperta di un proprio stile cinematografico, e come questi due aspetti, l'identità e il cinema, pervadano la "materia onirica" di cui i suoi film si costituiscono.
In un'opera che fa proprio della citazione filmica la sua stessa struttura portante sono però i riferimenti alla storia dell'arte ad esplicitare la maniera i cui i dreamers confondono le identità, riplasmano lo spazio che ospita i loro desideri, riconfigurano i ruoli e modificano i corpi per dare forma al proprio sogno. I protagonisti, per vivere la loro "rivoluzione culturale privata" (come la definisce l'americano) si auto recludono nell'abitazione dei genitori di Theò e Isabelle e, all'interno di questa, in altri infiniti bozzoli e gusci (le stanze, la vasca, la tenda montata in salotto), lasciano fuori il mondo, ignorano la televisione che lo mostra e riplasmano gli spazi a misura dei loro desideri.
La forza dirompente, vitalistica, rivoluzionaria della passione è possibile solo in un territorio di sogno, in quella dimensione parallela dichiarata già in qualche modo nel titolo (l'ultimo tango si ballava ancora, comunque, a Parigi) che i ragazzi creano con la reclusione e con il cinema, unico ospite ammesso a varcare le soglie della loro claustrofilia e motore di giochi e di personali rivoluzioni. Il motivo iconografico delle sbarre rimbalza per tutto il film: dalla struttura metallica della Tour Eiffel nei titoli di testa che imbriglia il titolo "The dremers" (a prefigurare il destino dei sognatori), a quello dietro cui vediamo Theò prendere il vino del padre, fino a quella dell'ascensore in cui Matthew viene spinto dai gemelli (la cella dell'ascensore costituisce, peraltro, proprio il primo contatto dell'americano con la casa in cui vivrà recluso).
E, non a caso, il primo incontro dei tre ragazzi avviene davanti alle sbarre del cancello di un cinema, cui Isabelle sembra addirittura incatenata. Anche gli specchi onnipresenti all'interno dell'appartamento, il cui riflesso sostituisce il campo/controcampo, bloccano i personaggi in un perenne gioco di unioni di corpi ed esclusione del fuori: imprigionano, insieme ai sognatori, anche il loro sogno inconciliabile e non esportabile nel mondo. Durante la sua prima notte nell'appartamento dei gemelli, Matthew osserva la riproduzione de "La libertà che guida il popolo" di Delacroix ma, all'apice della piramide si trova, a nascondere il viso della Libertà, il volto di Marilyn Monroe. Una diva di Hollywood incollata sul corpo di una donna che incarna la Libertà: forse l'essenza del sogno di Matthew, Theò e Isabelle è tutta qui (e non solo perché, come si sottolineava, è proprio il cinema a rendere la loro rivoluzione privata tanto vitalistica ed eversiva).
Ma l'immagine di Marilyn, oltre che al mondo del cinema, richiama anche l'esperienza della pop art e, almeno in un primo momento, i dreamers sembrano seguire la lezione di questo fenomeno artistico che nasce e si sviluppa proprio negli anni '60. E come la pop art non assume un atteggiamento apertamente critico e polemico, ma "vuole piuttosto interpretare il proprio momento storico", così i sognatori di Bertolucci provano a ridare vita al mondo (o almeno al loro mondo) disertando manifestazioni ed assemblee per chiudersi in casa ed ascoltare dischi, a riprodurre spezzoni di cinema e a disegnare sulle pareti di una stanza la forma, personale e rivoluzionaria, del loro sogno.
I protagonisti fanno dell'identità un collage, una sovrapposizione di ruoli. In primo luogo scardinano le figure canoniche di famiglia e società: smettono di essere studenti sessantottini e reinventano nucleo familiare e forme relazionali. Poi arrivano addirittura ad appiccicare sulle loro identità svuotate le ombre dei personaggi che imitano e si smarriscono in un cinema che è gioco, assunzione di altre personalità, fino a mischiare se stessi con i ruoli presi in prestito dal grande schermo. Allora Theò, Isabelle e Matthew, per vivere il loro sogno, cercano di tornare all'infanzia (nel momento in cui, cioè, l'uomo non ha ancora assunto un'identità) rendendo i corpi bambini: girano per casa svestiti, inventano giochi e fanno penitenze, si radono il pube, dormono nudi in posizione fetale "come se abitassero ancora nel medesimo utero".
I dreamers pietrificano la loro identità: sono fedeli, cioè, solo a quell'accezione del termine che comporta l'uguaglianza di qualcosa rispetto a se stessa in momenti diversi, la sua persistenza al di là dei mutamenti. Il tutto si può racchiudere nel rimprovero dell'americano agli amici (e a se stesso) "Penso che non crescerete mai... Finché continuerete ad aggrapparvi l'uno all'altra".
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Recensione a cura di baloum - aggiornata al 29/01/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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