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Nello stesso modo in cui paradossalmente, ma assai più frequentemente di quanto non si creda, un fulmine può cadere due volte nello stesso punto, così anche nel cinema possono uscire fortuitamente due prodotti apparentemente similari. Se poi uno di essi ha avuto successo, è inevitabile che la campagna pubblicitaria del successivo (in ordine cronologico di uscita *1) richiami il precedente, obbligando quindi pubblico e critica ad instaurare un confronto fra i due.
Questo è il caso di "The Illusionist" di Neil Burger.
Spesso nella pubblicità, negli articoli, nelle critiche, che hanno accompagnato l'uscita di questa pellicola nelle sale italiane, ci troviamo a leggere frasi del tipo: "Dopo il successo di 'The Prestige' la magia continua a stregare il grande schermo", "Un altro film sui maghi e sulla magia", "Un duello all'ultimo trucco sullo sfondo della Vienna di fine ottocento", "Dopo 'The Prestige' ecco un altro film che fonde il fascino dell'illusionismo con quello di un thriller", eccetera.
È bene chiarire subito che le analogie fra il film di Christopher Nolan e quello di Neil Burger, più che essere assai poche, non ci sono affatto. I soli punti di contatto fra queste due pellicole sono l'ambientazione di fine ottocento e il fatto che si parli di magia e di giochi di prestigio. Per il resto non esiste nessun'altra somiglianza. Se proprio qualcuno volesse andare a fare paragoni cinematografici (anche se non se ne comprende a fondo la ragione), il film di Nolan potrebbe essere accostato a "I Duellanti" di Ridley Scott mentre "The Illusionist"... beh, potrebbe essere accostato a centinaia di altri film.
Fra "The Prestige" e "The Illusionist" l'assenza di analogie è tale da fugare anche qualsiasi sospetto, non solo di ipotetico plagio, ma addirittura di comune ispirazione.
Ciò precisato, purtroppo sarà comunque necessario, durante il corso di questa analisi, fare un paragone fra le due pellicole a causa dell'apparente incapacità della critica e del pubblico di farle prescindere l'una dall'altra.
"The Illusionist", scritto e diretto da Neil Burger, è liberamente tratto da un racconto breve del professore premio Pulitzer (1997) Steven Millhauser. Il regista, qui al suo esordio cinematografico, se si esclude un (finto) documentario sull'omicidio del presidente J.F. Kennedy intitolato "Interview with the Assassin" (2002, inedito in Italia), ha radunato un cast di buon livello, puntando molto sulla professionalità e sulla popolarità degli attori, nonché sulla loro capacità di richiamare un pubblico giovane, col duplice intento di contenere i costi complessivi di produzione (la pellicola è costata 16,5 milioni di dollari) e di ottenere un buon successo al botteghino.
La scelta è caduta sul carismatico Edward Norton, ottimo attore, forse uno dei migliori della sua generazione e che la critica ha già messo allo stesso livello di Robert de Niro e di Dustin Hoffman, ma non certo uno dei più pagati di Hollywood; su Paul Giamatti, altro bravo attore cui però abitualmente non viene conferito un ruolo primario (ma si ricordi che il debole ed insulso "Lady in the Water" gravava completamente sulle sue spalle); su Jessica Biel, molto bella e con già alle spalle alcune pellicole di forte richiamo per un pubblico adolescenziale o comunque giovane. Jessica Biel poi, è stata una seconda scelta, infatti il ruolo della duchessa Sophie era stato inizialmente assegnato a Liv Tyler, anch'ella, specie dopo il successo della saga de "Il Signore degli Anelli", molto amata dal pubblico degli adolescenti.
Neil Burger ha anche voluto sceneggiare "The Illusionist" modificando radicalmente il racconto di Millhauser, in cui non figuravano né il personaggio di Sophie (Jessica Biel), né quello del principe ereditario Leopold (Rufus Sewell), e dove il ruolo dell'Ispettore Capo Uhl (Paul Giamatti) era semplicemente marginale.
Il regista ha così spiegato questa sua scelta durante un'intervista:
"Ho voluto modificare il racconto originale apportando cambiamenti sostanziali perché volevo che il film fosse completamente dominato da sogni e misteri".
Ora, se da un lato è assolutamente vero che Burger nel dirigere "The Illusionist" ha curato prevalentemente, se non esclusivamente, il lato estetico dell'opera, conferendole questo dichiarato alone onirico e misterioso, è ancor più vero che la motivazione da lui addotta non convince completamente.
Quello che appare evidente anche agli occhi dello spettatore più ingenuo è che la storia, così come è stata riscritta da Burger, ha un intreccio narrativo assai blando e banale, di facile presa su quel già citato pubblico adolescenziale o comunque giovane.
"The Illusionist" racconta la storia di un amore, osteggiato a causa dei conflitti di classe, fra il figlio di un'ebanista ebreo, che una volta cresciuto diventerà Eisenheim l'illusionista (Edward Norton), e una bellissima duchessa, sullo sfondo della Vienna cosmopolita della seconda metà dell'ottocento e della decadenza dell'Impero Austro-Ungarico. Un feuilleton che con un certo autocompiacimento reinventa la Storia, raccontando un dramma che resta in bilico fra mélo e fantasy.
Si pensi che uno dei personaggi chiave del film è il figlio dell'Imperatore Francesco Giuseppe, il Principe Ereditario Leopold (in realtà personaggio mai esistito), che ci viene presentato come un aspirante tiranno, sadico, brutale e dispotico, irascibile ed altezzoso, con mire eversive. Nella Storia, giova ricordarlo, il Principe Ereditario, figlio dell'Imperatore Francesco Giuseppe, si chiamava Rodolfo d'Asburgo (o Rudolf che dir si voglia) e morì probabilmente suicida (ma è assai forte l'ipotesi del complotto) nella tenuta di Mayerling insieme con l'amante, la baronessa Mary Vétzera, nella sera fra il 29 e il 30 gennaio del 1889. Rodolfo d'Asburgo (1858-1889) aveva la reputazione di essere un amante delle arti, in particolare della poesia, e di abbracciare gli ideali di libertà, di uguaglianza e di democrazia, propri dell'illuminismo cosmopolita (pare anche che fosse un uomo di formazione massonica). Egli creava scandalo a corte a causa dei suoi amori e delle sue amicizie che non tenevano conto né del rango, né della classe sociale, né della razza.
Leopold infatti non solo è il fidanzato-tiranno della donna di cui il nostro protagonista Eisenheim è innamorato, ma si diletta anche di giochi di prestigio. L'incontro scontro che si instaura fra i due personaggi è quindi giostrato a tutto campo e su tutti i fronti.
Ora il personaggio di Leopold, inventato da Neil Burger, come accennato, è ben differente, pur sovrapponendosi alla figura storica di Rodolfo. E questo perché? Perché in un feuilleton, dove i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivi, si necessita l'introduzione della figura di un antagonista spregevole ed esecrabile.
La struttura machiavellica del film sembrerebbe voler accentuare come l'intelletto sia più forte del potere dispotico ed istituzionale e di come l'amore, principe dei sentimenti, renda capaci di superare tutte le avversità.
Nel complesso è quindi facile intuire come l'opera di Burger, apparentemente molto ambiziosa, mescoli in un unico calderone una serie di cliché, di banalità e di volute falsità storiche. Una struttura assai fragile ed inconsistente, narrata con ritmi lenti e rarefatti, che certo non stimolano l'attenzione.
Il finale "a sorpresa" (da gran parte della critica paragonato a quello de "I Soliti Sospetti") è prevedibile, ma disonesto. Nel senso che quello che avviene veramente (senza ora scendere in troppi dettagli, visto che la trama è già di una banalità spaventosa) è palese, ma la sua esecuzione non viene mostrata in nessun modo ed è accuratamente celata da un montaggio e da alcune scelte di regia sgradevoli e funzionalmente lacunose.
Per tutta quella parte della critica che ha voluto in tal senso instaurare un paragone con "The Prestige", è bene dire che la pellicola di Nolan, al contrario di "The Illusionist", ha alla base una storia solidissima, ricca di idee e di trovate brillanti, narrata con piglio veloce e con ritmo incalzante. Inoltre la regia di Christopher Nolan è estremamente rigorosa e formalmente ineccepibile, onesta nei confronti del pubblico e rispettosa della storia narrata. Ma la differenza qual è? Nolan ci racconta un gioco di prestigio, svelandoci gli artefici che vi sono dietro; Burger invece ci racconta un'illusione, una falsità, un qualcosa che in effetti non esiste.
Nel calderone di "The Illusionist" regna sovrana l'osteggiata storia d'amore (giova ripetere che essa non esisteva nel racconto di Millhauser, così come non esistevano tre dei quattro protagonisti del film?), che viene miscelata con un poco di conflitto di classe, con molta demagogia al consumo delle masse, con micro e macro falsi storici, toccando solo a volo radente il complesso e sottile confine, che separa la scienza dalla magia, e l'istanza di una società che stava cercando (non troppo diversamente da quella contemporanea) di riscoprire una spiritualità profonda ed irrazionale da contrapporre ai lumi della Ragione.
Inoltre sono presenti degli impasse narrativi e delle forzature, volte proprio alla costruzione di quel presunto "finale sconvolgente", che francamente oltre ad essere banale e prevedibile nel senso più fastidioso del termine, in realtà non si regge in piedi contribuendo ad aggravare la fragilità della struttura di questa pellicola.
Se "The Illusionist" dovesse essere giudicato esclusivamente sulla base dell'intreccio narrativo, si deve ammettere che la sua valutazione sarebbe una grave insufficienza.
Neil Burger però sembra aver scritto appositamente una trama pretestuosa, di facile presa sul pubblico; un soggetto senza metafore né chiavi di lettura più profonde, che trascendano l'apparenza della storia narrata. Questa scelta, finalizzata sicuramente al conseguimento di un buon successo commerciale, ha permesso a Burger di curare la dimensione più strettamente artistica del suo film.
Non è un caso che in "The Prestige" dietro ogni trucco ci sia una rigorosa spiegazione tecnica, mentre in "The Illusionist" i trucchi di Eisenheim (e si vuole chiarire che si tratta sempre e solo di trucchi, mai di magia né di poteri soprannaturali o paranormali) non vengano mai rivelati al pubblico, neppure quello dell'Albero delle Arance, la cui spiegazione tecnica viene fornita all'ispettore Uhl come compenso per essere stato l'involontaria pedina della più grande illusione creata dal nostro Eisenheim.
Non rivelare i misteri al pubblico favorisce il sorgere degli interrogativi, dovrebbe tener desta l'attenzione, contribuisce sicuramente a rafforzare l'alone onirico e misterioso che domina l'intera pellicola.
Burger sembra assai più interessato ad esaminare il confine fra la realtà e la percezione della realtà, fra la verità e l'illusione. La sua scelta di affidare la narrazione della storia di Eisenheim al personaggio cocciuto e cinico dell'Ispettore Capo Uhl, è evidentemente finalizzata alla volontaria commistione fra reale e irreale, fra la verità e la menzogna.
In un'intervista egli ha infatti dichiarato:
"Ho deciso di raccontare la storia dal punto di vista dell'ispettore Uhl. Tutto ciò che vediamo è quello che Uhl ha verificato o quello che alcuni dei suoi agenti hanno riferito. Alcune volte la sua storia è una congettura, quello che immagina non è ciò che succede e quindi non è necessariamente veritiero... ma pur sempre il suo punto di vista".
Neil Burger ha curato la costruzione di ogni singola sequenza di spettacolo magico cercando di valorizzare al massimo l'impatto visivo dell'illusione. La scelta delle luci e dei colori, fra cui dominano le tonalità forti ma cupe, unitamente all'uso di immagini accuratamente sfocate, volte a concentrare l'attenzione dello spettatore solo su determinati elementi, garantisce un film visivamente seducente e suggestivo. La dimensione artistica della pellicola è ulteriormente rafforzata dal buon lavoro svolto dal direttore della fotografia Dick Pope, da sempre collaboratore del regista Mike Leigh ("Naked", "Segreti e Bugie", "Il segreto di Vera Drake"), ma anche noto per film come "Dark City" e "Tredici Variazioni sul Tema". Anche le scenografie sono ben curate e di buona fattura. Vienna di fine ottocento è stata ricostruita a Praga e risulta convincente (nonostante siano presenti numerosi anacronismi come ad esempio i treni a locomozione elettrica visibili in almeno due sequenze).
Le atmosfere risultano quindi ben costruite e hanno una grande forza di seduzione, questo anche grazie all'accompagnamento delle musiche armoniose, incisive e mai invadenti, del sempre bravo Philip Glass ("La chiesa", "Kundun", "Candyman", "The Hours"). L'accuratezza dimostrata nella dimensione artistica ed estetica del film riscatta in parte una pellicola che altrimenti sarebbe stata decisamente scadente.
Burger ha affermato anche di essersi assai documentato sul casato degli Asburgo e sulla Vienna di quegli anni:
"Ho letto tutto ciò che potevo sugli Asburgo, sul movimento secessionista e sulla magia del tempo, sia sulle illusioni sia sul mondo sociale dei maghi. La maggior parte dei trucchi che sono presenti nel film sono basati su reali illusioni del tempo e i personaggi che ho inventato sono basati su personaggi realmente esistiti. Volevo che tutto fosse il più credibile e onesto possibile, ancora di più dato che la storia esamina la nostra percezione della verità e dell'illusione... ed offusca la relazione tra questi due concetti. Se si vogliono esagerare certi elementi per far diventare il tutto surreale, fantastico o misterioso, bisogna essere sicuri che il resto abbia una base solida in quel periodo".
Per quanto riguarda i trucchi e le illusioni, questa dichiarazione risulta veritiera. Si pensi che il personaggio di Eisenheim, proprio come nel racconto di Millhauser, è stato costruito sulla figura storica di Erik Jan Hanussen (1889-1933), un mago e supposto veggente austriaco di origine ebraica che divenne confidente di Hitler e di vari gerarchi nazisti, che poi lo fecero assassinare dalla Gestapo (cfr. Mel Gordon, "Il Mago di Hitler. Erik Jan Hanussen un ebreo alla corte del Führer").
Inoltre l'affascinante trucco de L'Albero d'Arance era stato inventato da un prestigiatore francese di nome Robert-Houdin (Jean-Eugène Robert- Houdin, 1805-1871).
Molti dei giochi di prestigio sono veramente eseguiti da Edward Norton che per prepararsi si è avvalso della consulenza del mago inglese James Freedman e di quello americano Ricky Jay, che è stato anche consulente di magia e attore nel film "The Prestige". Quest'ultimo era già conosciuto da Norton, che in un'intervista ha dichiarato di aver lavorato per mantenersi agli studi come maschera nei teatri in cui Jay si esibiva:
"In cartellone c'era un mago, Ricky Jay, l'avrò visto dozzine di volte. Era una cosa incredibile, niente a che vedere con il classico spettacolo di magia. Ho chiesto che mi affiancasse per questo film, e gli ho ricordato di quando facevo la maschera ai suoi spettacoli... Ho passato diverse settimane con lui, ed è stata la parte più divertente, la realizzazione di un sogno".
Per la parte invece in cui Burger dichiara il proprio intento di credibilità e di onestà (narrative?) fondando il suo film sulla (ri)costruzione di una solida base storica... Beh, è proprio il caso di dire che qui ci troviamo davvero di fronte ad una grandissima illusione!
Si deve constatare poi che la sceneggiatura è piuttosto piatta e rende così la storia ancor meno credibile (al di là dei già accennati impasse ed errori narrativi) e un poco noiosa. Anche se nei dialoghi vi sono alcuni scambi di battute ad effetto (ennesima strizzata d'occhio al citato pubblico adolescenziale), queste non sono da sole sufficienti a riscattare lo script, benché riescano a ravvivarlo almeno un po'.
Tuttavia si deve riconoscere a Neil Burger di aver realizzato un film artisticamente valido, anche grazie alle ottime interpretazioni di Edward Norton e di Paul Giamatti (meno convincente Rufus Sewell).
Come prodotto di puro intrattenimento, senza nessun'altra pretesa e se si chiude un occhio sulle sue numerose pecche ed incongruenze, può anche risultare gradevole per una serata d'evasione. Inoltre, nonostante i ritmi rarefatti e le possibili calate di noia, le atmosfere misteriose, cupe, surreali e suggestive incuriosiscono lo spettatore e lo invogliano a seguire la storia fino alla fine.
"The Illusionist" è un film che non sembra essere destinato a lasciare traccia, che non invoglia ad una seconda visione e che probabilmente sarà presto dimenticato.
Recita Paul Giamatti:
"Dietro questa illusione potrebbe esserci la verità".
No! Tutto quello che resta è solo un'illusione.
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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 11/04/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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