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Curiosamente, The Orphanage, pellicola spagnola che segna il debutto di Juan Antonio Bayona, affronta la stessa tematica di Changeling di Clint Eastwood, contemporaneamente in sala in Italia: la scomparsa improvvisa di un bambino e la lotta disperata e solitaria della madre per ritrovarlo. Lungi dall'affrontare tematiche sociali e civili raccontando i lati oscuri dell'America e chi riesce a combatterli, The Orphanage (El Orfanato, in originale) è un thriller horror. Invece di lottare contro il corrotto sistema di polizia di Los Angeles, stavolta la madre indomita deve vedersela con delle presenze paranormali nell'orfanotrofio in cui è cresciuta.
Laura (una Belen Rueda intensa, ma fisicamente inadatta al ruolo) si trasferisce con il marito Carlos ed il piccolo figlio adottivo Simon nell'orfanotrofio in cui ha trascorso la sua infanzia per trasformarlo in una casa famiglia. Proprio nel giorno dell'inaugurazione, Simon scompare nel nulla dopo un banale litigio con Laura, e le presenze che egli stesso diceva di avvertire, scambiate per amici immaginari dai genitori, cominciano a manifestarsi pericolosamente, anche se solo Laura sembra avvertirle. Mentre Carlos si concentra in una ricerca su larga scala geografica con mappa della Spagna e appunti appesi alla parete, in un'azzeccata metafora della sua incapacità a cercare vicino a sè e a stare vicino alla moglie, la crescente disperazione e la convinzione che le presenze nell'orfanotrofio non siano una suggestione da stress portano Laura a consultare una medium (Geraldine Chaplin).
Laura dovrà "credere per vedere" e dipanare il mistero che apparentemente lega la scomparsa di Simon al tragico passato dell'edificio ed alla sua infanzia, dovrà stare al gioco che lo stesso Simon le aveva mostrato prima di sparire, una caccia al tesoro alla ricerca di qualcosa di prezioso che i bambini invisibili sottraggono a chi sceglie di giocare con loro. Nel caso di Laura, la posta in gioco è la vita di suo figlio e nessuno spirito può incutere una paura maggiore di non ritrovarlo sano e salvo.
The Orphanage parte piano, poggiandosi sulle tipiche leggerezze narrative del genere horror per cui le persone devono necessariamente muoversi da sole e disarmate verso pericoli ignoti, il più delle volte inesistenti e creati ad arte dagli effetti sonori e dalla regia, e invece di scappare il più lontano possibile insistono a disturbare chi non deve essere disturbato.
Invece la sceneggiatura tiene e cresce costantemente, la storia coinvolge perchè rimane centrata sul legame madre/figlio, e quando Laura capisce che l'unico luogo che ha delle risposte è la casa dove abita, diventa ovvio che non può andarsene, a costo di restarvi da sola. L'angoscia che monta nello spettatore non deriva tanto dall'ignoto sovrannaturale quanto dall'empatia che si genera mentre il tempo passa e le speranze di trovare vivo Simon, bisognoso di cure mediche costanti, diminuiscono. Non c'è alcuna concessione ai topos del genere (tranne uno, ma è quasi un omaggio/parodia, nella scena in strada con la vecchia) e nessun momento gratuitamente spaventoso e bisogna farne un merito ai realizzatori.
Il momento della verità è sconvolgente e bellissimo nella sua resa scenica, e riesce nell'intento di nascondere il vero finale; tutto alla fine s'incastra drammaticamente,il mondo dei morti e quello reale sono coesistenti, ma molto più nettamente separati di quello che si crede, insieme alla protagonista, durante tutto l'arco narrativo del film, vista anche la condizione psicofisica necessaria ad entrare in contatto con gli spiriti. Quando il brivido termina, c'è spazio per una virata finale, con una citazione da Peter Pan che accompagna lo spettatore verso la conclusione, la più lieta e contemporaneamente amara possibile.
Il finale merita una citazione per la sua compiutezza: innanzitutto non c'è una sorpresa che ribalti interamente la percezione della storia e impedisca di godere allo stesso modo di ulteriori visioni (chi ha rivisto Il Sesto Senso?). Tutto il film ha una sua coerente solidità, merito anche di una regia elegante e sempre attenta a non creare inutilmente suspense quando ormai non ce n'è più bisogno.
Altro merito, The Orphanage non sarà il capostipite di un franchise, non ci sono ganci per sequel, non ci sono apparizioni dell'ultimo secondo. La storia di Laura, Simon e Carlos si conclude alla parola "fine", sullo sguardo rasserenato di Carlos, e non lascia dentro adrenalina o terrore, ma solo un senso di serena ma dolorosa accettazione delle conseguenze estreme dell'amore di una madre.
Solo la campagna pubblicitaria può associare The Orphanage alle opere visionarie e gotiche di Guillermo Del Toro, qui in veste di produttore. The Orphanage potrà forse deludere i fan hard-core del genere horror e tenere ingiustamente lontani gli spettatori d'altro genere, ma rimane una piccola perla indipendente, in un cinema in netta crescita come quello spagnolo, da cui in Italia dovremmo cominciare ad imparare qualcosa, in termini di idee, realizzazione e coraggio.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 07/01/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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