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Se considerassimo semplicemente la trama, i personaggi, la drammaticità delle loro vite e l'intreccio a fortissime tinte dei loro casi, "Tutto su mia madre" risulterebbe come un feuilleton di altri tempi; con sangre y arena, incidenti fatali, passioni senza freno, nascite e morte a ruota, storie di sentimenti complessissimi e irresistibili. Ancor più, ove alcuni personaggi assumono una connotazione surreale e grottesca, come maschere simboliche del teatro antico; neppure distinguibili come uomo o donna, in quanto transessuali (il padre travestito Esteban). Questa tipologia di racconto odora di melodramma classico, come pure di certi romanzi di evasione (di serie B) dell'ottocento, che mescolavano volutamente sacro e profano, amore e morte, condanna e perdono, bontà e perfidia, in una miscela poco credibile, ma piuttosto intrigante sul piano emotivo.
Ma la riserva si scioglie assolutamente, a cospetto di un grande come Almodovar, che, se si rifà a generi letterari desueti, non lo fa a caso, ma espressamente, per amore fine a se stesso della citazione. Su questo in particolare si potrebbe parlare a lungo, ma ci manca lo spazio; basti dire che, a dispetto delle critiche di chi considera le "citazioni" come sfoggio di cultura e presuntuosa ostentazione, a nostro parere queste sono invece segno di modestia e onestà intellettuale: "dichiaro le fonti cui mi ispiro, e facilito la lettura dell'opera con l'impiego di strumenti già noti ai più" E questo lo fanno solo i grandi, che non cercano appropriazioni indebite! Nella fattispecie le "citazioni" si sprecano: la narrazione melodrammatica, la figura della grande attrice isterica sul viale del tramonto, Eva contro Eva, la fine tragica alla Margherita Gautier (dove l'HIV si sostituisce al mal sottile...).
Tali riferimenti si riducono quindi a semplice pretesto per introdurre a grandi problematiche dell'umano, e della vita in sé: sulla caducità del corpo, il mistero della procreazione, la morte e gli espianti, per finire con la maledizione odierna dell'Aids, TBC o sifilide dei giorni nostri! Il tutto nel consueto contesto di invenzioni stilistiche e di materiale umano tipici di Almodovar, con personaggi trasgressivi, diversi e alternativi, dissacranti ed ambigui in quanto a sessualità.
E proprio sulla distinzione uomo - donna si gioca il terzo, fondamentale, assunto del film, capace di farne un'opera superlativa. Il mondo ivi proposto è un mondo, praticamente, tutto al femminile, dove l'uomo gioca una parte quasi superflua e accessoria, come i fuchi nell'alveare. Regine sono loro, le donne, con il potere grandioso e monopolistico della procreazione, ma pure nevroticamente autodistruttive, irrazionali e passionali, ma capaci di generosità, con il cumulo insostenibile della loro sentimentalità; dove la loro vocazione "metafisica" ad auto-riprodursi viene raccontata col difficile paradosso del travestito Esteban, padre naturale di entrambi i figli delle protagoniste. A conferma l'immagine del vecchio non autosufficiente, non più di una ombra insignificante.
La visione futurubile di un ipotetico mondo al femminile deve fare riflettere, perché, malgrado l'apparente paradosso, preconizza l'avvento di una rivoluzionaria metamorfosi sociale e culturale, dove l'uomo perderebbe sostanzialmente il ruolo dominante. Che poi non è pura invenzione di fantasia, per chi conosca l'antropologia culturale: al mondo già esistono società matrilineari, dove parentela e successione ereditaria sono legate alla madre e alla famiglia di lei; dove l'autorità virile viene demandata al fratello della madre, mentre il padre naturale non viene riconosciuto come tale, ma solo come amico tenero ed affettuoso. Ne deriva una minore conflittualità dell'Edipo, sostituita, eventualmente, da una ostilità verso la madre per eccesso di vicinanza. Consideriamo, ancora, che l'idea di madre ha uno sviluppo storico, legato non solo alla sfera psico-affettiva, ma pure al contesto socio-economico; e in effetti è proprio il gruppo familiare che si evolve in continuazione, perchè realtà non statica. Come emerge prepotentemente nel film del grande Almodovar!
Che tali intuizioni gli vengano dalla coscienza della sua stessa diversità, o, subliminalmente, dal vissuto personale del suo inconscio, è un fatto che la tesi principale del film prefigura una scadenza fondamentale nel divenire della condizione umana; del genere maschile in inevitabile declino, non più significativo per la riproduzione, destinato a soccombere di fronte alla progressiva femminilizzazione dell'umano. Il tutto rappresentato patentemente, in sintesi simbolica, col padre transessuale Esteban.
Vero questo, un'altra riflessione: si dice che il "genio, diversamente dal ricercatore puro, non ha bisogno di studiare per conoscere, perché precede e previene la conoscenza stessa". E questo vale a mio avviso, per la profezia di Almodovar sui destini prossimi venturi di maschile e femminile.
E sfido chiunque a contraddirmi, guardando con occhi spassionati la dinamica attuale dei rapporti uomo-donna nelle società dell'Occidente: con donne sempre più volitive, rampanti e aggressive, ma altrettanto insoddisfatte ed isteriche; e uomini sempre meno decisi e determinati, deprivati della doverosa autostima, oltre che spaventati e impauriti dall'immagine pseudo vincente della donna d'oggi.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 11/07/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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