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"Il buon corvo dice: "Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango...".
Tratto dalla sceneggiatura del film
"Non ho mai "messo al mondo" un film così disarmato, fragile e delicato come Uccellacci e uccellini. Non solo non assomiglia ai miei film precedenti, ma non assomiglia a nessun altro film. Non parlo della sua originalità, sarebbe stupidamente presuntuoso, ma della sua formula, che è quella della favola col suo senso nascosto. Il surrealismo del mio film ha poco a che fare col surrealismo storico; è fondamentalmente il surrealismo delle favole [...] ".
Totò e Ninetto, padre e figlio, camminano per una strada desolata di periferia, tra viadotti abbandonati e sobborghi colpiti dalla miseria, il nome dei luoghi sembra non avere importanza per Pasolini, i fatti che accadono potrebbero riguardare le periferie di ogni città italiana. I nomi delle vie dei centri abitati non sono reali ma simbolici e sono dedicati a persone disoccupate, a ragazzi scappati di casa a 12 anni, a uomini che hanno svolto lavori umili come lo scopino etc; di tanto in tanto tra le vie compaiono provocatoriamente cartelli stradali strani, indicanti la direzione e la distanza dal sobborgo di paesi ad etnie e culture molto diverse, come la Turchia.
I due viandanti sono accompagnati da un corvo parlante che si presenta come la coscienza critica del marxismo. L'uccello, che una certa tradizione simbolista pare assegnarli una funzione divina dualistica (collegata, da una parte, con la saggezza la preveggenza e la lungimiranza, dall'altra, con la morte e la distruzione, intese nel loro senso più drammatico ed esistenziale), sembra osservare e studiare i cambiamenti sociali e ideologici del paese-Italia dialogando con le masse protagoniste in quel momento della storia, incarnate in questo caso da Totò e Ninetto. Il corvo racconta loro una favola in cui sono protagonisti gli stessi Totò e Ninetto,nelle vesti di due frati mandati da San Francesco ad evangelizzare i falchi e i passeri.
Questi uccelli rappresentano la società del momento nella sua divisione tra classi borghesi e proletarie. Dopo alcuni tentativi, andati a vuoto, di comunicare con gli uccelli e un duro inverno meditativo, nevoso, ricco di preghiere, frate Totò in primavera riesce a simulare finalmente il linguaggio vocale dei corvi, trasmettendo con giubilo ai falchi la lieta notizia evangelica, un annuncio impregnato di pace e amore per il prossimo. I falchi inaspettatamente rispondono, colmi di stupore e meraviglia per i buoni propositi di Dio verso ogni sua creatura.
Con i passeri frate Totò, in un primo momento, nonostante l'esperienza acquisita con i falchi, non riesce a trovare un linguaggio vocale adatto alla comunicazione e la sua insistenza nella ricerca linguistica lo porta allo sfinimento. Un giorno però, vedendo Ninetto fare un gioco simile a quello della campana, saltellando cioè a piedi uniti su un lastricato a quadri, a Totò balza alla mente un'idea geniale: la caratteristica saliente del comportamento dei passeri è il ritmato movimento delle due zampette, veloce e a scatti, improvviso e simile a una danza, il frate pensa che quello potrebbe essere il mezzo idiomatico dei passeri e non il linguaggio privo di senso espresso con il cinguettio, prova quindi a muoversi in quel modo, e dopo qualche istante nota con esultanza che i passerotti rispondono al richiamo.
Il frate riesce quindi a trasmettere anche a loro la lieta notizia evangelica. I passeri dimostrano meraviglia e sbalordimento per il lieto annuncio, anche se subito hanno pensato che la lieta notizia fosse una gratifica da parte di Dio in beni materiali: grano e becchime e non certo l'amore con il creatore e gli altri esseri per una vita pacifica ed eterna nella spiritualità assoluta.
Riusciranno Totò e Ninetto, con l'evangelizzazione, a rendere il mondo degli uccelli pacifico, senza aggressività tra specie diverse? E il loro cammino nel sociale italiano, con il corvo privilegiato osservatore ideologico, dove sfocerà?
La forma metaforica e favolistica del film rappresenta un'Italia attraversata in buona parte dal pensiero marxista e da ideologie borghesi reazionarie. Verso la metà degli anni '60 con la morte di Togliatti, dopo la svolta di Salerno del '43, che vedeva il Partito comunista accettare le regole della democrazia e collaborare alla costruzione di un paese diretto da diversi partiti, intesi come rappresentanti delle numerose espressioni sociali, culturali, economiche dell'Italia; il marxismo compie la sua seconda sterzata storica, questa volta solo psicologica ma di grandi effetti politici: la morte del grande leader comunista getta nello sconforto e nell'incertezza ideologica gran parte degli iscritti e dei simpatizzanti marxisti; la linea della direzione del partito, guidata dall'integerrimo segretario subentrante Longo, mantiene, si, una posizione tattica e strategica di chiara espressione togliattiana ma i suoi risultati di coesione psicologica tra gli iscritti risulteranno insufficienti.
Per la maggior parte dei comunisti di allora marxismo voleva dire rivoluzione, dittatura del proletariato, o protagonismo fortemente riformista nella vita politica del paese, questo nonostante il parziale e tattico tradimento di Togliatti a Salerno nel '43; l'attività politica del grande leader, molto carismatico, sembrava in qualche modo preannunciare un imminente futuro politico dominato democraticamente dal PCI che sarebbe stato in grado, secondo i più, di incidere notevolmente sulle condizioni di vita dei lavoratori e della povera gente in generale.
In seguito il PCI non riuscirà mai ad essere forza di governo e ad attuare riforme consistenti, dalla morte di Togliatti in poi la sua deriva ideologica e utopica sarà costante, scivolando verso una socialdemocrazia popolare di comune impronta europea, con una inevitabile deriva anche psicologica dei militanti più ideologizzati, sconfortati e delusi, sempre più depressi per il forte investimento psichico degli anni precedenti andato perduto. Il declino ideologico arriverà a un punto tale da portare allo scioglimento del nome glorioso di Partito comunista italiano a favore di un termine storicamente più blando per le classi povere: Partito democratico della sinistra.
Pasolini nel '66, con i suoi film, intuisce tutto questo ed elabora la nota teoria della inarrestabilità del processo di uniformità culturale tra ceti diversi", che riguarda l'assimilazione al costume borghese di gran parte delle masse popolari. Quest'ultime desiderano, sognano, pur da una posizione di subalternità, la cultura borghese, con tutti gli svaghi che essa propone, e gran parte dei desideri che animano le attività dei ricchi, in parte rappresentati nei film commedia anni '60 quando ad esempio i borghesi esibiscono in vari modi le loro debolezze, che vanno dai bisogni sessuali sempre più raffinati a un consumismo più simbolico, di status quo. Il proletariato si identifica in tutto ciò alienandosi in un essere altro totalmente virtuale, lungo una dissociazione psichica che cancella ogni sua identità precedente portando le masse proletarie a cercare una soddisfazione solo nella speranza, nell'attesa o in un sogno privo di ogni fondamento reale aventi per oggetto il raggiungimento di un godimento storico nuovo, un piacere comune tra classi diverse.
Inoltre in quel periodo, il maschilismo e la donna oggetto sono propagandati dalla borghesia come richiamo alla bellezza del potere creando una suggestione popolare sempre più vasta che ruota intorno al bel vivere dei benestanti, lo dimostra il boom di vendita dei rotocalchi, che spiano per il popolo, nell'intimità, la vita dei personaggi borghesi più famosi.
Il mito dell'operario massa che può diventare finalmente padrone o piccolo borghese, attraverso le qualità professionali e la intraprendenza, dilaga.
Pasolini, con questo film, prospetta una vittoria borghese su tutti i fronti che sembra farsi beffa delle teorie marxiste, in quanto il miracolo economico degli anni '60 ha spostato il conflitto di classe dalla rivoluzione al riformismo, e con i media ha compiuto un'operazione culturale che ha il sapore di un grande evento storico: l'omogeneizzazione culturale della differenza di classe tra ceti di diversa estrazione sociale.
E' vero quello che dice il corvo a un certo punto del percorso a Totò e Ninetto: "Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e a portarla avanti! È su me stesso che piango...", ma è anche vero che il marxismo da allora in poi sarà nel mondo sempre più minoranza, sia nell'azione che nel pensiero e quindi chiunque abbia poi preso quella bandiera tenuta dal merlo ha avuto, nell'azione di propaganda, scarso successo, rendendo necessarie sempre nuove revisioni della teoria previsionale marxista.
Da sottolineare in questo film il falso ruolo degli attori, che anziché immedesimarsi in un personaggio preciso, recitano se stessi, come voluto da Pasolini. Ogni dialogo e apparizione nella narrazione testimonia in ciascun protagonista, nell'assoluta spontaneità, caratteristiche proprie, sociali, culturali, dialettali, caratteriali. Ciò rende il film di una originalità e autenticità espressiva unica, che ne fa un'opera indubbiamente di gran pregio, dimostrando già allora a molti cineasti-commerciali famosi come lo spazio inventivo, rappresentativo, formale, stilistico nel cinema stava tutt'altro che esaurendosi; occorreva forse solo osare di più, prendersi qualche rischio maggiore al botteghino o in alternativa divenire come Pasolini un vero poeta, un cantore anche per il cinema, tutto di un pezzo, militante.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 21/09/2011 15.47.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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