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"Un matrimonio all'Inglese" ("Easy Virtue"), liberamente adattato da una commedia di Noel Coward del 1925 e già portato sullo schermo da Hitchcock ai tempi del muto (!), si rivela tutt'altro che la classica trasposizione. La pellicola incuriosisce già dagli originali titoli di testa, per poi regalare un'ora e mezza di battute fulminanti e situazioni esilaranti, seppur spesso un po' telefonate. Colpisce la ricercatezza con cui ogni inquadratura sembra studiata, cosa peraltro inusuale sia per una commedia che per un film in costume. Non c'è nulla di banale, dalle scelte musicali (geniale anche l'uso di brani moderni "antichizzati" ad hoc come "Sex Bomb" nella scena della caccia alla volpe) agli effetti per i cambi di scena, fino ai paesaggi rurali inglesi che fanno da sfondo alla storia.
La trama: John, un giovane aristocratico inglese, sposa mentre si trova all'estero Larita, un'esuberante americana pilota di macchine da corsa, più vecchia e decisamente più navigata di lui; decide quindi di portarla nella tenuta di famiglia, nella campagna inglese.
Il matrimonio lampo dell'unico figlio maschio, per giunta con un'americana divorziata e di dubbia morale ("easy virtue", appunto), scatena una guerra di nervi tra l'algida suocera, spalleggiata dalle due figlie zitelle, e la povera nuora, peraltro per nulla aiutata dalla sorte nel suo iniziale tentativo di integrarsi in un mondo ostile e antiquato.
Quando Larita ne ha abbastanza di subire, decide di passare al contrattacco, forte dell'alleanza di un divertito suocero - che vede messo in subbuglio il piccolo mondo antico in cui è stato relegato dalla moglie - e della servitù. Il povero neo sposo si trova preso nel mezzo di una guerra femminile tra madre (e sistema di valori da cui proviene) e moglie, che però nasconde qualche scheletro nell'armadio che non tarda ad uscire ed a complicare ulteriormente le cose.
Stephan Elliott torna alla regia dopo una lunga assenza con un lavoro sorprendente, curato e divertente come pochi altri quest'anno. La sua rilettura del materiale di partenza consente una visione, pur sempre in toni leggeri, su diverse tematiche: i retaggi familiari, le scelte individuali, le ingerenze dei genitori, la sofferenza per la guerra, la vacuità della vita aristocratica.
"Un matrimonio all'inglese" è però soprattutto un affresco in chiave brillante della fine di un'epoca, del Novecento a motore che prende il posto dell'Ottocento a vapore, del nuovo che irrompe nel vecchio, come un Picasso sul camino della tenuta di campagna dei nobili inglesi. Non ci può essere mediazione, solo scontro, niente finale conciliante; chi sceglie il vecchio resta indietro ed è inevitabilmente destinato a perdere.
La distanza geografica tra Nuovo e Vecchio mondo diventa distanza temporale, culturale e spirituale. Non a caso l'unico a cogliere ed apprezzare il cambiamento è il personaggio del padre reduce della Grande Guerra, definitivamente separato dalla propria vuota realtà, fatta di ricevimenti e caccia alla volpe, a causa del trauma subito in battaglia, e pertanto pronto ad accogliere ciò che di nuovo la vita gli porta.
Da ricordare diverse sequenze, come quella del tango o quella della caccia alla volpe, grazie anche a un cast di prim'ordine: Colin Firth e Kristin Scott Thomas, che nel ruolo dei genitori danno vita a dei duetti al fulmicotone in puro umorismo inglese, Ben Barnes, già Principe Caspian a Narnia, e Jessica Biel, bravissima e sorprendente, nei panni succinti e affascinanti dell'americana Larita.
Da vedere e, preferibilmente in lingua originale.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 09/01/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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