Voto Visitatori: | 7,32 / 10 (17 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 5,00 / 10 | ||
Focus on... Jim Morrison, uno dei più grandi miti mai esistiti.
Il cantante dei Doors ha rappresentato un'icona imprescindibile per intere generazioni. Quella giovane degli anni '60, per la quale ha simboleggiato la ribellione da una società incancrenitasi sotto il peso delle istituzioni, la voglia di libertà sessuale, di parola, la forza di essere se stessi. E quelle successive, trascinate nel magico regno del sogno non solo musicale, e bisognose della conquista dell'indipendenza da una famiglia troppo soffocante. Nucleo dal quale Jim si affrancò da subito, dichiarandone la morte (non vera) nei suoi curriculum e documenti.
Presentato due anni fa al Sundance Festival di Salt Lake City, il film procede senza molti sussulti, tra le prove negli studi di registrazione, con Morrison quasi sempre strafatto o ubriaco. E poi i concerti, dove il comportamento del cantante è volutamente smodato e provocatorio.
Interessante il film per lo studio intimo della parte musicale: i Doors non avevano un bassista, e l'uso delle tastiere di Ray Manzarek resta magistrale, con la voce smagliata che pare una nenia sofferente, la chitarra di Robby Krieger che richiama le sonorità del flamenco e la batteria di John Densmore ammiccante al ritmo sincopato del jazz. Le canzoni prodotte sono entrate nella storia: "Light my fire", "Break on through", "The end", "People are strange", "Love me two times", "Hello, I love you" e "Riders on the storm", forse la mia preferita.
L'unica sezione (piccola, purtroppo) che si affranca da questo andazzo è quella che vede protagonista lo stesso Morrison, in un film sperimentale girato da lui. Guida un'auto in mezzo al deserto californiano. È solo, sembra in fuga da qualcosa. Ascolta le notizie sulla sua morte (sovrapposizione sonora che lascia abbastanza basiti per la sconvenienza), avvenuta a Parigi. Non ha nessun aereo da prendere, nessun conoscente con cui parlare. Un gruppo di sciamani ad alimentare la mitologia. Forse è il fantasma di Morrison (o quello vero, il leggendario eroe dalla spinosa vicenda umana che avrebbe gabbato il mondo intero, inscenando una falsa dipartita), ancora lì, lanciato a folle velocità su una strada sconosciuta.
Tom DiCillo alita addosso al personaggio, tampinandolo in ogni sua memorabile esibizione, tutte passate alla storia per la poliedricità del talento vocale e la sua egocentrica figura. C'è solo una ricostruzione per immagini d'epoca (delle quali pochissime inedite): qualche apparizione televisiva e un commento vocale di Morgan che sembra giungere (forse come geniale similitudine?) dall'oltretomba. Nient'altro. Nessuna circostanza che esalti e dia significato all'ambito storico e sociale. Un reading letterario con documentario sullo sfondo, più che una sceneggiatura cinematografica. Materiale di archivio e di repertorio messo in bella posta, una foto via l'altra.
Non c'è niente di nuovo, le canzoni sono quelle, bellissime e quasi al completo, la biografia è quella (che per un fan devoto deve essere solo una gran rottura doverla "ripassare", come nei peggiori periodi scolastici). La pietà a posteriori sa tanto di falsa indulgenza, in tempo per cavalcare la ricorrenza del quarantennale della morte. L'idea del fiammifero che brucia e poi si spegne è di maniera; non vale un minuto della potenza devastante del fuoco che arde per la conquista della sessualità in "Cuore selvaggio".
"When you're strange" è la pellicola che il mito idolatrato, studente alla UCLA di Los Angeles, non avrebbe mai realizzato e mai avrebbe voluto vedere. E DiCillo non ha niente di "strange" (leggi eccezionalmente artistico) per essere ricordato.
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Recensione a cura di pompiere - aggiornata al 01/07/2011 16.46.00
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