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Gerry Lane (Brad Pitt, "Fight Club" e "Seven") è un ex investigatore delle Nazioni Unite chiamato a tornare in campo per salvare il mondo prima che venga distrutto dalla pandemia zombie che sembra esplosa in ogni parte del globo. Scatenata da un virus, il nostro eroe deve scoprire, insieme ad un giovane virologo, da dove è partita, individuare il paziente zero e trovare, se possibile, una soluzione.
La prima tappa è la base aerea statunitense in Corea del Sud, Camp Humphreys, dove perde subito la vita proprio lo scienziato a causa di un attacco degli infetti. Nella seconda missione, a Gerusalemme, Gerry inizia ad accorgersi di un possibile punto debole del virus, idea che lo porta nel centro ricerche dell'OMS a Cardiff, dove purtroppo pochi superstiti sono tenuti in una sorta di ostaggio da zombie "dormienti", che non sentendo rumori e odori umani, camminano con la tipica andatura caracollante piuttosto che correre come finora si era visto. Per sopravvivere e portare al mondo una risorsa, Gerry dovrà mettere a dura prova il suo coraggio iniettandosi per primo una fiala dal contenuto per lui sconosciuto.
Muniti i militari dei mezzi per rendersi "invisibili" ai veloci e carnivori non morti del ventunesimo secolo, inizia quella che verrà ricordata come la Guerra Mondiale degli Zombie.
Diciamolo chiaramente: un film sui morti viventi nel momento in cui spadroneggiano le avventure di Rick e gli altri nella serie TV "The walking dead", non è per niente facile. Eppure...
Eppure alcune premesse ci sono eccome.
L'idea nasce dal libro "World War Z. La guerra mondiale degli zombie" di Max Brooks del 2006, il quale si riserva di scegliere personalmente e fortemente il protagonista: Brad Pitt, che, in linea di massima, è sempre sinonimo di qualità recitativa, interesse al botteghino e incentivo per il gentil sesso. A conti fatti lui non delude, se non per un taglio di capelli che, all'alba dei suoi bei 53 anni, è decisamente un pugno in un occhio e ci si chiede "perché?". Ma d'altronde lui è Brad, e si può permettere anche un casco di banane in testa.
Poi c'è il regista, tale Marc Foster, autore di ottime commedie barra dramma come "Vero come la finzione" e "Neverland - Un sogno per la vita", ma anche di un discreto James Bond in "Quantum of solace". Coadiuvato alla sceneggiatura da Matthew Michael Carnahan ("Leoni per agnelli"), Damon Lindelof ("Lost" e "Cowboys & aliens"), ed infine quel Drew Goddard autore di "Cloverfield " e dei telefilm "Lost", "Angel " e "Buffy - L'ammazza vampiri", ma soprattutto regista e sceneggiatore di "Quella casa nel bosco", ossia uno degli horror più belli, intelligenti, interessanti e sorprendenti degli ultimi dieci anni, se non di più. Insomma: i nomi sulla carta ci sono, eccome.
Poi c'è sempre il discorso: "Si va beh ma quanto dura? Non starete davvero pensando di tenerci due ore e mezza a guardare gli zombi contro la versione figlio-dei-fiori di Brad Pitt, vero?". Assolutamente no, ed infatti tutto si risolve in 116 minuti, che è sempre un tempo apprezzato, a giudizio di chi scrive, quando si parla di horror. Niente filosofie, niente intrallazzi. Ci sono i non morti, c'è il buono, c'è il mondo da salvare, si corre, BAM, SBAM, GNAM, e fine, qualunque sia la fine...
A questo si aggiungono altri aspetti interessanti: in primis la quantità di soldi spesi per un genere che sembra aver detto tutto il possibile, in quanto non ha molto altro da dover svelare e gli effetti si sa, sono ben graditi quando fatti bene e messi al servizio della storia senza diventare la storia stessa. Ma qui la storia c'è, perché c'è un libro di fondo a garantirla, bella o brutta che sia. Ed ecco che anche le location diventano una parte gustosa dell'insieme: La Valletta (Malta, per le scene a Gerusalemme), Budapest (Ungheria), e poi si rimbalza dalla Scozia all'Inghilterra agli Stati Uniti per enfatizzare il discorso di "Guerra Mondiale" premesso nel titolo. Ultimo, ma non ultimo, anzi forse principale, il motivo per cui guardare questo film: gli zombie corrono. E corrono forte. Ricordano vagamente gli infetti di "28 giorni dopo". Non sono senzienti, a guidarli c'è sempre il caro vecchio odore di carne umana, le fattezze sono ancora dettate dai soliti canoni, insomma tutto sembra ben apparecchiato per una gran bella visione.
Ed infatti al pronti-via si grida al miracolo. Le scene in cui i malinconici ritornanti inseguono e mordono funzionano alla grande, così come ben colpisce l'occhio il vederli evitare quella che sarà l'arma da usare e comprendere per combatterli nella guerra che vede coinvolti tutti.
Si rende ora obbligatorio l'avvertimento della presenza di SPOILER.
A quella vecchia volpe di Jerry Lane non sfugge che i non morti evitano accuratamente un certo tipo di umani. I malati. Come tutti i virus, anche quello "zombesco" gradisce solo corpi sani e rifugge quelli dove ce ne sono già altri, probabilmente per evitare una sorta di orgia virale. E così la soluzione diventa: iniettare gli umani di una qualche sorta di malattia facilmente curabile, rendersi così "invisibili" ai mangia carne, e combatterli con più facilità, passandogli sotto il naso putrefatto. La soluzione è interessante e lo svolgimento pure, anche grazie alla presenza nel centro ricerche dell'OMS a Cardiff del nostro Pierfrancesco Favino ("Romanzo di una strage" e "A.C.A.B.: All Cops Are Bastards") nei panni di uno dei medici e di Ruth Negga (serie TV "Misfits"), l'unica gnocca del film. Funziona meno la finta tensione montata quando, per tornare nella stanza sicura, Jerry si inietta una delle fiale di cui ignora il contenuto non potendo comunicare coi dottori. In pratica potrebbe trattarsi di qualunque virus, anche non curabile: Ebola, Marburg, HIV, e così fare l'eroe sacrificando la sua vita per portare una speranza al mondo. Ma a questa ipotesi non ci crede nessuno nemmeno per un secondo. E infatti, senza svelarne il contenuto, viene immediatamente curato con un'altra iniezione. Probabilmente in una scatola di robe letali, lui ha pescato il raffreddore, in barba alle leggi di Murphy...
Abbastanza risibile è la morte del cervellone, il giovane virologo Fassbach, individuato dall'esercito per trovare la soluzione che troverà invece Jerry: in pratica alla prima missione (a Camp Humphreys, una base aerea statunitense in Corea del sud dove si hanno notizie di un possibile paziente zero), gli parte un colpo di pistola e addio uomo della speranza. Che però, durante il volo, in una chiacchierata con l'unico eroe del film, gli svela tutti i segreti di 5 anni di biologia in 5 frasi a effetto che il nostro userà ricordandole al momento opportuno. Un po' troppo "telefonata" e soprattutto decisamente macchiettistica la sua fine. Ma si può accettare.
Quello che non si accetta, quello che rovina tutto, quello che non si capisce, è la mancanza di splatter. O meglio: troppo poco. Gli zombi non sono il conte Dracula o l'uomo lupo, non hanno nobili origini letterarie, non hanno la possibilità di essere riflessivi, non si sentono "vittime" di dannazione. Gli zombi mangiano carne, la strappano, se non si vede il sangue a fiumi in un film di zombi è come fare un film sui gatti in calore che si soffiano (citazione da Zerocalcare). Manca il succo del discorso, in pratica. "The walking dead", pur essendo un telefilm per la TV, ne ha molto di più e questa è una grossa pecca.
"World War Z" rimane un film da vedere e anche da rivedere perché la fotografia è su livelli molto alti, ma non potrà essere pietra angolare per il cinema di genere proprio per questa sua enorme mancanza.
Peccato.
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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 15/07/2013 15.01.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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