a londoni ferfi regia di Bela Tarr Francia 2007
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a londoni ferfi (2007)

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locandina del film A LONDONI FERFI

Titolo Originale: A LONDONI FERFI

RegiaBela Tarr

InterpretiMiroslav Krobot, Tilda Swinton, Ági Szirtes, János Derzsi, Erika Bók

Durata: h 2.12
NazionalitàFrancia 2007
Generedrammatico
Al cinema nel Giugno 2007

•  Altri film di Bela Tarr

Trama del film A londoni ferfi

Maloin lavora in una stazione ferroviare vicino a un porto. Una notte si trova a osservare lattracco dell'ultima nave della giornata e diventa così l'unico testimone di un omicidio. Corso sul molo per cercare di salvare l'uomo caduto in mano, trova solo una valigia che scopre essere piena di soldi. Deciderà di chiamare la polizia o di tenere il denaro per sé?

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Voto Visitatori:   7,50 / 10 (9 voti)7,50Grafico
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Voti e commenti su A londoni ferfi, 9 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Filman  @  03/06/2023 12:26:09
   7 / 10
A LONDONI FERFI (L'Uomo di Londra) è un film della seconda fase di Bela Tarr, diretto con lunghe carrellate visive e con energia filosofica, in cui però diventa paradossalmente importante la palpabilità narrativa, la storia, i suoi personaggi e la loro condizione sociale, per dare senso al film. Questo è il più evidente dei termometri cinematografici per l'autore, che in questo caso fa un film che non riesce ad essere personalistico, perdendo in forza e credibilità, al netto di un risultato comunque ottimo.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  17/12/2021 21:12:16
   7½ / 10
The Man from London è la trasposizione cinematografica di Bela Tarr del romanzo di Simenon. L'incontro fra due sensibilità che il regista ungherese ambienta in un contesto ai limiti del metafisico, poco riconoscibile a livello temporale. L'esistenza monotona del protagonista cambia radicalmente quando assiste ad un omicidio e recupera una valigia piena di denaro. I lunghi piani sequenza di Tarr non fanno che aumentare il senso di straniamento della pellicola e dello stesso protagonista preda di inquietudini morali di fronte a questa improvvisa ricchezza. Formalmente eccellente, tuttavia seguire Tarr non è facile.

Danae77  @  09/07/2015 17:29:05
   9 / 10
Elogi anche per il grande Bela Tarr. Dopo aver visto due dei suoi capolavori, quali "Il cavallo di Torino" e le "Armonie di Werckmeister", ecco un altro film eccelso. Un bianco e nero degno di una Londra fredda e d'altri tempi. La trama si snocciola in un giorno e mezzo, ma la lentezza che caratterizza le sue pellicole, da' la sensazione che sia trascorsa una vita intera. Negli occhi dei personaggi glaciali si legge una profonda miseria di sentimenti, assetati di colore, come la pellicola, in profondo contrasto con la compostezza della commiserazione ed il ghigno, l'unico che appare, degli arrivisti. Tutto convoglia ad un finale scontato ed inevitabile, ma il colpo di scena inaspettato non delude. Assolutamente da non perdere.

Ciaby  @  12/09/2013 22:34:40
   7 / 10
Un noir cupo ed asfissiante con i soliti temi legati a Bela Tàrr. Ho apprezzato molto di più "Il Cavallo Di Torino", gran film, dove paradossamente non accadeva nulla, al contrario di questo: la trama c'è eccome, ma i personaggi sono visti con incredibile distacco, tanto da renderne difficoltosa la visione.

Lucignolo90  @  20/08/2013 20:50:49
   7½ / 10
Primi 20 minuti da antologia del cinema, poi cala un pò per ritornare prepotentemente bello nel finale. Tuttavia il fatto che non sia scritto dal suo scrittore solito ma sia un giallo di Simenon, l'utilizzo stesso di un'attrice nota come la Swinton, me l'hanno fatto sentire meno suo. Interessantissimo e suggestivo a tratti come nella magnifica scena del pedinamento sotto casa con quell'incrocio dii sguardi con l'uomo sotto al lampione....il finale....magnifico....sono però arrivato un pò stancamente alla fine. Le ore e mezza di Satantango sono volate al confronto

1 risposta al commento
Ultima risposta 20/08/2013 20.51.21
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  25/07/2013 11:57:51
   7 / 10
Insostenibile visione. Pur ritenendolo personalmente e dopo averi meditato un bel pò un passo indietro rispetto al precedente "Le armonie di Werckmeister" (per me il capolavoro di Bela Tarr) e anche a "Satantango" che per mole e dimensioni è un oggetto a sé, "The man from London" resta senza ombra di dubbio un'opera di rara fascinazione capace di portare l'immagine e il cinema in territori inesplorati continuando, il regista ungherese, su percorsi artistici tutti suoi.
Che per forza di cose gli sia rimasto poco altro da dire dopo un tale percorso cosi articolato e coerente, a me pare ovvio, e la notizia del suo ritiro dopo "Il cavallo di Torino" che mi aveva inizialmente sorpreso adesso mi pare sensata e ponderata.
Ma parliamo del film in questione...

Tratto da un romanzetto di Simenon la trama, un "giallo" come volgarmente detto, è soffocata dal senso di alienazione totale dato dalla regia di Tarr.
Alcune scene sono di una forza ipnotica maestosa, il ciondolare frustrante e incantatore della macchina da presa trasporta in una dimensione altra accessibile da pochi, una immersione totale all'interno di un mondo che non può che esistere in bianco e nero, di svuotamenti non solo cromatici ma anche di senso, moralità.
Ciò che mi ha deluso in parte è stato proprio non aver ritrovato la stessa forza dei lavori precedenti del maestro ungherese, compreso "Dannazione": quella forza che pur non permettendoti di godere appieno della visione in toto riusciva in alcuni frangenti a prenderti di peso e allucinarti come se fossi anche tu in quel riquadro, in quel posto, in quel film. Che poi è la sconsolante realtà di tutti i giorni. Non è stato cosi almeno per questo film, anche se scene che mi hanno sconvolto non sono mancate: e sono quelle dove Tarr gioca con il bianco e nero, o quel fantastico finale col volto immobile fino al terrore supremo (si è bloccato il video? ha bloccato il video Tarr stesso? cosa è successo? perché non si muove mio dìo?) e la sfumata nella cecità bianca.
Come sempre, ero partito col volergli dare un voto minore ma ripensando a fondo a cosa ha significato la visione estenuante di "A man from London" mi sono reso conto che no, non meritava meno di questo. Perché? Perché Tarr è riuscito a fare di meglio, lo ripeto, ma anche quando pare ricalcarsi troppo con un esercizio di stile ne viene fuori un pezzo di cinema cosi unico nel suo genere da non poter essere né affrontato né valutato a cuor leggero.
La leggerezza, con Tarr, non è di casa, è bene saperlo.

9 risposte al commento
Ultima risposta 20/08/2013 22.31.38
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CinemaD'Arte  @  08/05/2013 19:31:36
   8 / 10
Ennesima prova di un'abilità registica forse ineguagliabile, il film vive su tecnicismi tanto cari al cinema di Béla Tarr: fotografia in bianco e nero di rara qualità, giochi di luce ed ombre, pochissime inquadrature, piani sequenza, movimenti di camera tanto lenti quanto eleganti e splendidi. In una pellicola in cui i dialoghi sono quasi nulli, l'incomunicabilità, l'alienazione, la solitudine e la desolazione umana sono i temi cardine, mentre lo svolgimento della trama, seppur sotto una cornice noir/poliziesca, passa in secondo piano, lasciando volutamente distante e freddo (anche se forse un po' troppo anche per gli standard a cui ci ha abituato il regista ungherese) lo spettatore. Lasciarsi ammaliare dallo stile, ancor prima che dalle emozioni, non è mai stato così bello.

Crimson  @  09/03/2012 09:51:22
   8 / 10
Spoiler presenti.

Ho letto il romanzo di Georges Simenon, lo consiglio perché è poco voluminoso e molto scorrevole, lo si consuma piacevolmente nel giro di un pomeriggio. Lo trovo molto moderno perché esplora minuziosamente una coscienza in subbuglio. E' un racconto tragico, beffardo, malinconico, che restituisce un protagonista non colpevole, solitario e incompreso.
Béla Tarr pur stravolgendo il finale si adatta piuttosto fedelmente al testo letterario di derivazione, utilizzando l'impianto noir esattamente con lo stesso intento di Simenon, ossia come mero rivestimento. Sono due autori atipici che trovano il loro punto d'incontro nella descrizione di una storia senza colore, che sfugge al cliché colpevole/moralmente riprovevole, inquinando il giudizio con la forza delle parole il primo, con quella delle immagini il secondo.
Il film è un vero prodigio visivo, c'è poco da fare. Bela Tarr ha uno stile indistinguibile e quando osa riesce ad essere più lento dei vari Wenders, Tarkovskij, Ceylan, Antonioni...
E' interessante osservare come il suo indiscusso capolavoro 'Satantango' rappresenti nella sua carriera un centro nevralgico (anche sul piano cronologico) tra i primi film, in cui i dialoghi sono serrati, soffocanti, esasperanti (di quell'istrionismo tipico dei film di Cassavetes o forse Fassbinder che lui giurava di non conoscere per via della censura che vigeva in Ungheria a quei tempi - anni '80 - ) e gli ultimi, in cui al linguaggio verbale prevale l'immagine e il silenzio ad essa connesso.
Come costante che pervade tutta la carriera di questo straordinario poeta visivo restano i lunghissimi piano sequenza, alcuni dei quali in questo film sono a dir poco superbi e perfettamente funzionali al movimento visivo che egli intende delineare. Il primissimo è quello che resta forse più in mente. Circa mezz'ora (? Nel film il concetto della dilatazione del tempo è talmente labile da renderne assolutamente soggettiva l'interpretazione) in cui dal piccolo gabbiotto l'occhio di Maloin ha una panoramica molto estesa. L'azione avviene esclusivamente in quell'arco spaziale ben definito e ben controllato. Solo una persona può cogliere tutto e noi vediamo con i suoi occhi. L'effetto voyeuristico che si crea è potentissimo, indimenticabile.
Rispetto al testo di Simenon il regista ungherese elimina alcuni personaggi superflui (il figlio di Maloin, Ernest, e il cognato Victor. Mitchel e sua figlia) e alcuni passaggi, arrivando subito al dunque.
Gli unici momenti piuttosto dialogati nel film, in cui è presente l'ispettore Molisson, ricalcano rigorosamente il romanzo, mentre le diatribe famigliari cambiano d'intensità tra carta e celluloide; le esplosioni di isteria tra i coniugi Maloin sono infatti molto più ruvide e animate nel film, soprattutto in seguito all'acquisto della pelle di volpe per Henriette. Anche il litigio tra Maloin e la proprietaria della macelleria, pur conservando i toni ridicoli del romanzo, nel film assume al tempo stesso una connotazione più violenta e bellicosa (nel romanzo i due non hanno una vera e propria colluttazione, ma solo un alterco).
In tutti i modi Tarr oltre al silenzio siderale del suo protagonista dipinge puntigliosamente un clima famigliare deprimente, e un contesto extrafamigliare in cui i movimenti routinari hanno arrugginito e incancrenito la vita di quest'uomo.
Quasi tutto è costruito sulla figura di Maloin. Egli è spesso ripreso di spalle. I Dardenne hanno costruito persino un film pensando innanzitutto alla nuca del proprio attore protagonista, Olivier Gourmet. Qui l'intento è simile, la nuca mostra solo il retro della figura di un uomo, quasi un ostacolo oltre il quale è difficile accedere. Cercare di procedere oltre quella barriera per scovare i movimenti interiori del personaggio principale, questa è la ricerca filmica. E' un percorso che avanza per sensazioni più che per meticolose indagini psicologiche, contrariamente dunque da quanto avviene nel libro.
Tarr introduce un particolare interessante: mentre l'ispettore parla con Brown, Maloin è a pochi metri (gioca a dama) e ascolta la conversazione! Nel libro questo elemento non c'è.
La sequenza dell'omicidio: Maloin avanza verso il capanno, l'intento sembra chiaro, vuole lasciare qualcosa da mangiare a Brown. La camera non ci permette di entrare con lui, resta ad osservare l'uscio. A distanza di tempo dalla visione di questo film, ancora mi chiedo quanto tempo sia trascorso. Potrebbero essere stati cinque o dieci minuti, persino mezz'ora, per me sarebbe lo stesso. E' un attesa lacerante, interrotta dall'uscita di Maloin completamente sconvolto. Possiamo e dobbiamo immaginare l'accaduto ma non ne abbiamo la certezza. In questa parte finale avvengono le maggiori difformità tra romanzo e pellicola. Mentre il primo si sofferma col suo solito puntiglioso taglio psicologico sulla tragicità della vicenda (la polizia che incalza Maloin e tratta rigidamente il caso come se fosse un criminale; il pensiero ricorrente del protagonista a Brown e la moglie, la ricerca delle motivazioni che avrebbero potuto scongiurare la fatale concatenazione degli eventi), la seconda giunge ad una conclusione che non necessariamente coincide con quella che lo spettatore ha immaginato sulla base delle proprie suggestioni. E inventa un riscatto morale che forza implicitamente la riflessione su quel determinato risvolto degli eventi.
E' un finale 'british' quanto il compunto dell'ispettore, che strozza un po' le aspettative, rendendo meno ambiguo il quadro complessivo e di conseguenza sciogliendo un po' la prodigiosa atmosfera imponderabile e fatale che avvolge fino a quel momento quella manciata di personaggi.
Ad ogni modo una visione è d'obbligo per concedersi il privilegio di un cinema forse unico nel panorama contemporaneo. E' un noir assolutamente anticonvenzionale che richiede impegno. La prerogativa deve essere quella di lasciarsi suggestionare, abbandonarsi a perdere contatto con confini spazio-temporali predefiniti verso una riflessione intima e spontanea.
Un film non per tutti che non argomenta, non si muove e non comunica attraverso le parole.
Impressionante Miroslav Krobot e ottima Tilda Swinton.

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Ultima risposta 09/03/2012 14.51.20
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Gruppo REDAZIONE K.S.T.D.E.D.  @  19/03/2010 17:40:11
   6½ / 10
Classico esercizio di stile questa volta. Una fotografia ancor più bella, se possibile, rispetto a quella delle pellicole precedenti e, più in generale, una tecnica come sempre eccellente. Tuttavia, quest'ultima pellicola di Tarr non coinvolge, risultando fredda e incolore.

Curiosa l'incursione di Tilda Swinton, come al solito bravissima.

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