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Il terzo capitolo dell'ormai saga di "A Quiet Place" è quello meno horror e meno action. Michael Sarnoski mette da parte l'ambientazione rurale dei primi due per girare un fantascientifico nelle affollate strade di New York, tra pizzerie e teatri. La cosa coraggiosa (e per me interessante) è quella di aver volutamente lasciato in secondo piano il tema "alieni" (e tutto ciò che ne è connesso: da dove vengono? cosa sono? quale la loro genesi? ecc.) per raccontare primariamente gli esseri umani e la vita, nella sua forma più pura di esistere e sentire empiricamente il mondo (quel pezzo di pizza da Patsy's vale più dell'esperienza del cibo). Così l'attenzione che si concentra su di un personaggio che sta morendo e che nonostante ciò rifiuta di lasciarsi andare, che cerca di vivere fino gli ultimi momenti è un qualcosa di interessante perché inaspettato: quando tutti si aspettavano il solito survival-sci fi, qui questo aspetto è decisamente secondario: nel racconto della vita che prova a non arrendersi quando tutto intorno è morte c'è un tentativo di analizzare il dramma che ci ricorda come qualunque siano le sfide poste dalla fanta(scienza) all'uomo, alla fine della giornata restiamo pur sempre esseri umani. Per me il miglior film dei tre.