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A discapito di qualunque possa essere la critica che venga fatta al film (tratto da un romanzo, bisogna ricordarselo) sulla rappresentazione di fatti/eventi/situazioni/persone che vengono raccontati in questo biopic riguardo la vita di Marilyn Monroe, vi è comunque un valore oggettivo che non può essere discusso (e che vale tutto il film), ovvero l'incredibile potenza visiva offerta dal regista Andrew Dominik (talento che non ha bisogno di presentazioni), del direttore della fotografia Chayse Irvin, dal montaggio di Adam Robinson e dalle scenografie di Florencia Martin e Erin Fite. Davvero, nella straziante e galvanizzante storia della protagonista si viene immersi in una messa in scena, che ho riscontrato in quanto sperimentazione (per il genere, in tempi recenti) solo nel "Mank" di David Fincher, solo che la scala in crescendo è continua tanto quanto il dramma che prende piede, a tratti così forte da ricordare venature thriller e quasi al limite dell'horror, anche se le sfumature sentimentali e romantiche hanno la stessa forza d'impatto il tragico epilogo le rende amare come il fiele al solo pensarci. Impossibile rimanerne indifferenti, cinema d'alta qualità che ovviamente può polarizzare chiunque ci si immerga a tutto tondo. Notevole il cast: una toccante e bellissima Ana de Armas si prende sulle spalle un ruolo non facile ma lo fa con una grazie e costanza davvero d'altissima professionalità (e in particolare con credibilità), ma anche il lavoro svolto da Bobby Cannavale, Adrien Brody e Julianne Nicholson è di un fascino micidiale nella rappresentazione dei personaggi. Il cerchio di luce nella vita di Norma Jeane Mortenson Baker Monroe, quel caos a tratti evocativo dei personaggi di Kubrick come anche la figura "del bambino di luce" e infine quel rimando alle stelle sono meccanismi cinematografici davvero folgoranti. Questo film è in tutto e per tutto una vera esperienza cinematografica che solo la settima arte può regalare.
Per chi conosce Andrew Dominik era chiaro che questo non potesse essere un biopic canonico: non solo perché è in realtà l'adattamento di un romanzo, ma anche perché ciò che Dominik fa non è il riassunto anonimo ed evenemenziale della vita della Monroe, quando un suo ritratto allo stesso tempo intimo e brutale sia sul concetto cinematografico di immagine sia sull'immagine stessa che della Monroe è stata divinizzata. Tramite il corpo della diva Dominik conduce un atto d'accusa contro lo stesso sistema che l'aveva eletta a bambola da sfruttare, a immagine da idolatrare, a pezzo di carne da utilizzare. È quello stesso corpo che Dominik "utilizza" ora per svelare lo schifo di quel "sistema hollywoodiano" che non a caso non ha mai amato un cineasta come Dominik. Ma questo è anche un film teso a svelare la dicotomia di Marilyn, quella tra la mente di Norma e le sue proiezioni mentali e, di nuovo, quel corpo, che è invece quello della Marilyn che tutti guardano e che si guarda allo specchio consapevole che quello è ciò che gli altri bramano, mentre lei vorrebbe apparire per ciò che è e non per ciò che gli impongono di essere (e l'immagine di lei che si guarda/che viene guardata allo specchio è ricorrente per tutto il film). È quindi il ritratto decadente, disperato, si, anche provocatore, della fragilità dietro l'immagine, della depressione nascosta dal trionfo dell'apparire, del successo a mascherare i vuoti e le inascoltate grida. Perché questo è anche un horror dell'anima, un thriller, un dramma esistenziale, un torture porn, un film romantico (splendida la sequenza del bacio con Arthur Miller) e un grande esempio di sperimentazione stilistica e visiva: e non a caso Dominik ha dichiarato di aver scelto il cambio di aspect ratio e l'alternanza del colore e del bianco e nero in base alle foto di Marilyn degli anni '50 e '60. E non attribuite a Dominik intenti retrogradi o feticisti: perché "Blonde" è non solo un atto d'accusa di tre ore contro il machismo più tossico ma è anche (e direi soprattutto) uno sperimentare con le immagini per rendere gli stati emotivi di un'icona tragica, incompresa, in perenne lotta con i propri demoni interiori.
Un lungo e patinato videoclip incentrato pateticamente sulla fragilità di un'icona dell'epoca. Rivela poco e niente della carriera della Monroe, ma rivela poco anche della sua vita privata, tranne i piagnistei e i momenti di depressione. Un filmetto pretenzioso, che lascia pochissimo, tranne la testimonianza della bravura e della bellezza di Ana de Armas.
Tanta, ma proprio tanta roba. Allora, andiamo per gradi: Andrew Dominik è un grande. Fa un film ogni 10 anni e ogni volta fa uscire un filmone. La sceneggiatura può piacere o meno, è chiaramente una questione di gusti personali, ma oggettivamente è densa che la metà basta. La solitudine sia di Norma Jean che di Marilyn ti viene sbattuta in faccia con una violenza sconvolgente. Visivamente è un saggio di virtuosismo: ho perso il conto dei piani sequenza e dei long take, delle soggettive impossibili (la scena del pomp1no credo sia una delle scene più impossibili che abbia visto in vita mia), dei formati utilizzati (e tutti, ma proprio tutti, con una padronanza dell'editor devastante). E poi la de Armas regala l'interpretazione della vita. Ribadisco che "Blonde" è di una durezza devastante (e anche io l'ho trovata talvolta esagerata e con più di un filo di compiacimento). ci sta che possa non piacere, ma se quando escono film del genere non riusciamo a riconoscerne i valori oggettivi, un po' ci meritiamo "Emily in Paris".
Si vede solo per la De Armas e già basterebbe, comunque un biopic classico con dei punti di forza molto nascosti e dei difetti molto lampanti (la scena con il presidente assurda). Non ha avuto alcun senso farlo durare così tanto.
Blonde è un film che ha fatto scalpore di recente e secondo me a ragione. Blonde è un bellissimo film che racconta la vita di Marilyn Monroe e le sue relazioni con diversi uomini, tra cui Arthur Miller. La storia di Marilyn Monroe non è il solito biopic, ma un andirivieni nel tempo che ci rende la complessità della vita ed è raccontata in modo molto cinematografico, facendo riferimento all'universo immaginario che circonda la sua figura mitica, fatto di foto che sono nella storia del cinema. Blonde non è facile da seguire perché la vita è complessa e la sua vita non è stata sicuramente facile ed è finita in tragedia. Il film inizia mostrando Marilyn come una giovane ragazza desiderosa di diventare un'artista e ballare sul palco per poi proseguire nell'ascesa che l'ha portata ad essere un'icona mondiale, ma anche considerata una specie di oca senza cervello. cosa che non era affatto vero e a cui lei si è ribellata. Il film racconta che ha dovuto subire molti abusi sessuali (eravamo in un'epoca lontana dal me too) ed è stata manipolata fino in fondo. Grandissima prova del regista Andrew Dominik e dell'interprete principale. Grazie a Netflix per questo film.
Film controverso che tende a vittimizzare esageratamente un'intramontabile icona del cinema, concentrandosi quasi esclusivamente i punti più bassi della sua vita e della sua carriera. L'adattamento del romanzo della Oates è solo parzialmente riuscito. Da oscar Ana de Armas.
Tempo fa mentre discutevo sul tema dell'aborto con delle persone, una di queste disse che la vita embrionale dell'essere umano è come quella di una formica e schiacciare una formica è una cosa da nulla. Così lo salutai in fretta dicendo che si era fatto tardi e che dovevo rientrare nel formicaio.
Etichettato da molti come antiabortista (come se la cosa fosse un reato) "Blonde" è sicuramente un film senza mezze misure e senza compromessi. L'enfasi negativa dell'etichetta "antiabortista" e le critiche ricevute a Venezia, dove è stato presentato in anteprima mondiale, non devono stupire, in particolare in questo momento storico dove si ha paura di parole come "natalità" e "famiglia", considerati flagelli dell'umanità e piaghe d'Egitto.
Il film è un condensato della vita di Marilyn Monroe e della donna che c'era dietro la maschera, che il regista tratteggia con uno stile psichedelico e orrorifico, non per darsi delle arie, ma perché non è un mistero che la vita di Norma Jeane Baker, dall'infanzia fino alla prematura scomparsa, sia stata una sofferenza costante, un incubo mentale e spirituale, causato dal prematuro abbandono del padre e dalla voracità di un mondo predatorio e perverso, che divora chi è più fragile, proprio come il ghepardo fa con la gazzella più debole, quella più propensa ad inciampare (pure su questo pioggia di critiche dalle femministe "vecchia scuola" per le quali la donna non può essere debole ma sempre forte come Schwarzenegger).
Non è una biografia patinata, ma una rielaborazione romanzata che vuole puntare il dito sull'annullamento della persona ridotta ad oggetto. E la debolezza di certe critiche nasce proprio dal non rendersi conto che il film non vuole parlare di Marilyn Monroe, bensì di chi la osserva, di chi ne abusa, di chi ne ha fatto una pepita d'oro costringendola perfino a rinunciare alla gravidanza causandole un trauma, mentre lei continuerà a ricordare quel bambino mai nato abbandonandosi a suggestioni oniriche (male interpretate dagli abortisti di trincea che alla vista di un feto non capiscono più niente e non dormono più la notte).
Il fatto che Dominik stesso inciampi in alcune scene, perdendo un po' il senso della misura (mi riferisco ad esempio all'enfasi sbrodolona del rapporto a tre con Chaplin Jr. e Robinson Jr.), è la conseguenza dell'estrema densità della materia narrata. Non è un film perfetto e non bisogna esaltarlo oltre un certo limite, soprattutto non è un film per tutti, ma per un pubblico maturo potenzialmente fornito delle giuste chiavi di lettura, visto che la forza con cui parla di abuso e disperazione mette a dura prova lo spettatore e non teme confronti con altre opere sul tema, in particolare perché lo fa per immagini, fino a diventare metacinema. Le fotografie di Marilyn Monroe, che hanno letteralmente fatto il giro del mondo, è come se prendessero vita. Ana de Armas sembra uscire dall'iconografia per dare vita a Marilyn, attraverso quello che, a tutti gli effetti, sembra un miracolo di esperienza visiva e che, per questo, trova piena legittimazione sul grande schermo.
Era difficile raccontare la storia di un personaggio come Marylin/Nornman... per i suoi trascorsi difficili, l'animo tormentato, la personalità complessa, il suo abisso di solitudine interiore a volte è vivido e palpabile. Tecnicamente è perfetto: ambientazioni, particolari, fotografia... tutto al suo posto... non mi stupirei di qualche nomination. La durata mi è un po' pesata e, per il fatto di essere romanzato, non sempre si capisce cosa ci sia di vero e cosa no... è un aspetto che capisco essere parte integrante del film (essendo tratto dal libro) ma non mi è piaciuto.
Destrutturazione, vera, figlia di finzione, sceneggiata dalla Oates, non importa.
Andrew Dominik ne fa uno sguardo d'autore, mette o non mette a fuoco a sua santissima volontà questo mito che ci avvolge ci sovrasta ci accoglie ci disgusta ci fa incazzare ci fa lacrimare in attesa di una madre ma soprattutto di un padre fantasma (io non sono orfana!).
L'icona è subito in pensione, altro che bionda in vacanza, lei, Norma Jean Baker, ogni come la chiamerete rimarrà lei, la nostra Norma dietro il cartonato di Marylin, bambina, cresciuta, incompiuta, evasa, disarcionata dalla storia, spo.mpinata dal potere, a pecorina per incarico.
Blonde è un film difficilissimo da fare senza cadere nelle centinaia di fosse della cinematografia "di rito e di mito" e Andrew le passa tangente ma non ne tocca una, se non la morte anticipata e ricollocata di un mito, RIP anticipato e perpetrato in vita in un'escalation al contrario, come in Jesse James consapevole della pallottola con il suo nome, attraverso una tensione costante, una lettera, un cassetto-culla, una vasca da bagno, un'icona da ingo.io, un aborto sotto le cui pinze crepare sotto luci al neon.
Dominik di certo il piede e la caviglia non li toglie mai per salvarsi dai calcioni della critica cinematografica, usa più di un bianco e nero, colore, analogico, contrastato, denaturato, controluce a bizzeffe, ne fa un biopic spezzettato, fra capitoli – aborti, idiozie di stato o di sport, cavallerie a 3 stalloni, foto, pubblicità, ne fa cinema allo stato brado come solo può essere una vita dissestata e rappresentata.
Che rimane è lei, Norma Jean, alla ricerca di una figura paterna, il "daddy" impossibile ed eppure ovunque, nel bignami farmaceutico di un incontro fantasmagorico di icone (con Miller ne fa peso e contrappeso con Magda), ognuno cerca qualcun altro con un altro nome, simulacri su simulacri.
Il corriere suona, anch'esso, per nulla. Il postino non suona. Le bionde, passano, sotto i flash di uomini con la bava alla bocca.
Le inquadrature suonano allarmi, requisiscono bellezza come nessuna, ne fanno mito, tossico e immortale.
Veramente ben fatto. Funziona tutto. Ana de Armas bellissima e bravissima. Peccato solo di aver saltato un bel po' del passaggio bambina / adulta soprattutto lo scabroso matrimonio avuto a 16 anni...
Un film introspettivo e profondo che mette in luce aspetti particolari della vita privata e non di una delle icone sex symbol più amate e note di sempre. Premesso che essendo tratto da un romanzo difficile capire se i fatti raccontati nel film siano accaduti realmente o meno ma resta il fatto che Dominik ha diretto un film coraggioso e Ana De Armas è stupefacente nell'interpretare Marilyn. Viene letteralmente analizzata dall'interno la diva Monroe, scoprendo che non amava il successo più di quanto si potesse immaginare, una donna fragile e tormentata, carente degli affetti familiari su tutti la mancanza di un padre ignoto dalla nascita. Gli amori, i matrimoni, gli aborti spontanei e non, tutti insuccessi che gradualmente la porteranno a rifugiarsi nell'alcool e nelle droghe. Dalla scena dell'incontro "amoroso" con il Presidente, mi è salito un magone interiore ed una tristezza nel vedere un personaggio amato e famoso abbandonarsi in quel modo e fare quella fine. "Goodbye Norma Jean Though I never knew you at all You had the grace to hold yourself While those around you crawled They crawled out of the woodwork And they whispered into your brain They set you on the treadmill And they made you change your name And it seems to me you lived your life Like a candle in the wind Never knowing who to cling to When the rain set in And I would've liked to know you But I was just a kid Your candle burned out long before Your legend ever did" Sir Elton John
Andrew Dominik non è un regista a cui piace girare film "normali", forse per questo attende molto tra un film e un altro. Pero' è capace di lasciare sempre il segno in qualcosa.
Questo "Blonde" è sicuramente il suo lavoro piu' ambizioso perche' toccare la vita di una star come Marylin non è facile. Ma il film in realta' parla di Norma Jean Baker, non della star Marilyn. Gia' nel recente passato avevamo avuto un racconto "sporco" dell'attrice nel film di Curtis del 2011 ma niente a che vedere con questo di Dominik che getta fango su chiunque abbia incrociato la vita di questa ragazzina alla continua ricerca di stabilita'.
Come ci suggerisce il film la famiglia è l'inizio di tutto, la madre malata e il padre assente sono giustamente antagonisti della vicenda. Del resto cosi si spiega la facilita' con cui si lascia andare tra le braccia degli uomini causa di questa continua ricerca della figura paterna.
Montaggio e regia sono d'autore, forse non originale ma capaci di portare l'angoscia della protagonista sullo schermo. Appunto la protagonista...la bellissima Ana de Armas al primo vero ruolo della sua carriera fa centro e probabilmente finira' nella cinquina dell'oscar.
Un allucinante viaggio tra i lustrini ipocriti di Hollywood...
Leggo commenti postati probabilmente solo per abbassare il voto globale. Film coraggioso, scelta altrettanto coraggiosa di Netflix di metterlo in catalogo nonostante alcune scene davvero "pesanti". Piaciuto molto per il taglio, per la regia, le interpretazioni e ricordiamoci che il film è tratto dal libro di Joyce Carol Oates, non è per forza una rappresentazione della realtà vera, anche perchè quella la conoscono solo gli interpreti, che per la totalità credo non ci sono più (Marylin, Miller, Kennedy, Di Maggio). Prendete il film per quello che è- una bomba ad orologeria per certi versi- e non scandalizzatevi per qualcosa che sicuramente non sapremo mai. Per certo, ad esempio, il criticato incontro tra la Monroe e Kennedy sappiamo che c'è stato, a porte chiuse, cosa sia successo esattamente non lo sapremo mai, la Oates e Dominik lo hanno reso così. Ci sta. Otto e mezzo.
Wow che bastonata questo film: per la prima volta un "biopic" (c'è molta finzione nel film, che è l'adattamento di un romanzo e non di una biografia) mostra sofferenze, abusi, dolore e morte per quel che sono, senza alcuna concessione allo spettatore e senza alcuna indulgenza. E così l'immedesimazione in Norma/Marilyn è più profonda e senza speranza, tanto da rendere la visione quasi insostenibile in alcuni passaggi.
Ho letto molte critiche a questo approccio, quasi che il film volesse fare pornografia del dolore. Invece io ci ho visto un grande amore ed un grande rispetto per la Norma dietro Marilyn, per l'essere umano prima ancora che per il personaggio: la Monroe ormai ha assunto i contorni del mito, dell'icona pop da poster, e invece Dominik e la Plan B di Brad Pitt (una garanzia) ci ricordano che dietro il sorriso smagliante e le forme generose dell'icona c'era una donna abusata e maltrattata pressoché da tutti, mentalmente provata ed instabile, che ha perso la vita giovanissima, in circostanze tragiche, in totale solitudine in una villa meravigliosa: ennesimo contrasto della vita infelice di una delle più grandi dive del cinema.
Note a margine sul film: Ana de Armas è stellare, prevedo nomination ai prossimi oscar.
Meravigliosamente inquietante la scena della premiere di A qualcuno piace caldo, con i volti deformati del pubblico in estasi, con le bocche innaturalmente spalancate quasi volessero divorare Marilyn.
Unico limite del film: è così ambizioso che spesso rischia di travalicare il confine della pretenziosità, soprattutto all'inizio. Dominik è bravo, ma a volte sembra ancora troppo acerbo per gestire un'opera di questa portata. Nell'insieme però credo ci sia riuscito alla grande, non era semplice.
I critici lo hanno accolto male a Venezia, invece è un film profondo e toccante. Tratto dal romanzo di Joyce Carlos Oates, narra la storia di Norma Jeane non di Marilyn, biondissima e acclamata diva. Vediamo Norma bambina, il rapporto con la sfurtunata madre e le successive fasi di una breve e intensa vita costellata di incontri con il mondo maschile (i produttori, gli amanti "gemelli" i mariti e il Presidente). Tutti gli uomini a cui lei si aggrappava l'hanno delusa, in un eterno confronto con il padre che non ha mai conosciuto. Dall'ex pugile e dallo scrittore divenuti suoi mariti, lei cercava il sostegno della figura paterna, per lei erano "daddy", un dolce appellativo che gli attribuiva, come se si aggrappasse ad un'illusione di affetto sincero e protezione che non ci sono stati mai stati davvero. L'amore incondizionato di un padre, Norma non lo ha mai avuto, ha conosciuto solamente amanti e compagni che l'hanno sfruttata per quello che rappresentava, che non l'hanno mai davvero compresa, da qui la sua profonda solitudine. Ci sono due scene che non vorresti vedere che infangano l'immagine di una dea, ma Norma Jeane le ha vissute di certo (anche se il romanzato si sovrappone alla storia reale) e ti arrivano dritte nella loro crudezza. I bagni di folla in bianco e nero, rappresentano bene quello che tutto il pubblico vedeva ma che nascondeva la vera essenza di questa donna dolce, bellissima e sfortunata. Se amavo Marilyn prima di questo film ora amo Norma, una persona unica che nessuno ha saputo proteggere ed aiutare davvero. La sua solitidine ti arriva al cuore oggi a distanza di 60 anni dalla sua morte e vorresti che non fosse andata così. Bravissima Ana de Arnas, merita tutto a mio avviso.
Un mini capolavoro,Ana de armas e la reincarnazione della Monroe per la sua bellezza e interpretazione, non riesci a staccare gli occhi dalla TV nonostante le quasi tre ore,ci si immedina al film,ti entrano dentro le emozioni l'angoscia per tutto il film:e in tutto ciò non sono i miei generi di film;da vedere
Era da tempo che un film non mi lasciava una tale sensazione di vuoto addosso. Aspettarsi da Blonde un biopic patinato e glorificante significa non avere bene idea di come funzioni il cinema iconoclasta di Andrew Dominik: più che una classica biografia, è paragonabile a una seduta spiritica pregna di immagini sontuose, drogate di reminiscenze oniriche in cui l'icona pop viene riportata alla sua essenza di donna sottoposta a metamorfosi da figure paterne false e orribili. Inutili le lodi alla mimesi di Ana de Armas.