borat - studio culturale sull'america a beneficio della gloriosa nazione del kazakistan regia di Larry Charles USA 2006
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borat - studio culturale sull'america a beneficio della gloriosa nazione del kazakistan (2006)

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locandina del film BORAT - STUDIO CULTURALE SULL'AMERICA A BENEFICIO DELLA GLORIOSA NAZIONE DEL KAZAKISTAN

Titolo Originale: BORAT: CULTURAL LEARNINGS OF AMERICA FOR MAKE BENEFIT GLORIOUS NATION OF KAZAKHSTAN

RegiaLarry Charles

InterpretiSacha Baron Cohen, Pamela Anderson, Ken Davitian

Durata: h 1.24
NazionalitàUSA 2006
Generecommedia
Al cinema nel Marzo 2007

•  Altri film di Larry Charles

Trama del film Borat - studio culturale sull'america a beneficio della gloriosa nazione del kazakistan

Mockumentary (falso documentario) sul giornalista Borat Sagdiyev (alter-ego di Ali G, alias Sacha Baron Cohen, comico inglese), celebre giornalista del Kazakhstan, inviato negli Stati Uniti per realizzare un documentario sull'american way of life. Durante la sua permanenza negli States Borat conosce, attraverso lo schermo televisivo, la sex symbol Pamela Anderson di cui si innamora. A quel punto la sua professionalità e l'interesse per il proprio lavoro verranno decisamente trascurati...

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Voto Visitatori:   5,39 / 10 (362 voti)5,39Grafico
Voto Recensore:   7,00 / 10  7,00
Miglior attore in un film commedia o musicale (Sacha Baron Cohen)
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior attore in un film commedia o musicale (Sacha Baron Cohen)
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Voti e commenti su Borat - studio culturale sull'america a beneficio della gloriosa nazione del kazakistan, 362 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  10/03/2007 14:17:53
   6 / 10
ll fenomeno-Borat entra di soppiatto nel culto di milioni di spettatori occidentali dimostrando, una volta per tutte, che la realtà si puo' strumentalizzare ai fini persuadendo molti di noi che si tratti di un film coraggioso, eversivo, realmente anarchico. Se era questo il suo fine, c'è riuscito ampiamente: ma se doveva essere una rivalsa alla convenzionalità con cui gli americani trattano certi personaggi filo.asiatici (es. The terminal vs. Spielberg) e uno sfottò all'ipocrisia dell'Occidente venato di un "liberismo di facciata" qualcosa non va: confesso che mi sono divertito, ma a che pro?

Leggo di frequenti denunce di alcuni "interpreti loro malgrado" del film intervistati con un pretesto e edulcorati di battute razziste come in una candid-camera, non proprio con le finalità di realizzare uno spaccato sociale demenziale ma realistico quanto piuttosto con il bisogno di fare un sacco di soldi mettendo alla berlina gli ingredienti (razzismo e integrazione razziale, misoginia, pacifismo, terrorismo, etc.) atti a favorire dissensi polemiche e proprio per questo successo ai botteghini.

Dai baraccati di un Kazakistan gioviale, degradante e vagamente vicino a un presepe vivente, Borat compie il suo viaggio negli States, costruendo la sua personale "visione" dell'America in un bonsai di tutto cio' che è talmente diffuso e acclamato nel suo antiamericanismo da risultare persino "sconveniente". Pero' alla fine il suo "politically uncorrect" è - mi spiace per tutti coloro che non hanno colto questo limite - quanto di piu' conformista e prevedibile si possa vedere.
Inanzitutto per mettere alla berlina usi e costumi occidentali le dichiarate (?) intolleranze deve esistere un confronto culturale ben preciso, non un semplice gioco grossolano di sketch (e tali sono e rimangono) che si concludono con la mdp mentre sorvola, soddisfatta, sull'ultimo bersaglio (furbescamente questa velleità conquista gli spettatori che pensano di aver assistito a un film realmente "cattivo" e dissacrante) e soprattutto non dev'esserci spazio per alcun tipo di "buonismo", concessione che il film acclama e volentieri, ad esempio enfatizzando l'antisemitismo ma con una strana prudenza ideologica nei riguardi della comunità afroamericana (la più vasta d'America e ... la piu' filo-islamica), o - guarda un po' - degli omosessuali colorati e variopinti del gay-pride.
Oltretutto, il film sembra dirci che negli States c'è spazio anche per B., immenso cialtrone che sopravvive adeguandosi solo quel tanto che basta per diventare un'Icona suo malgrado.
Per certi versi ho assistito a un film in cui l'antiamericanismo diffuso non mi ha saziato, anzi per una volta ho provato "solidarietà" per gli americani manipolati da codesto Micheal Moore che ha trovato (evviva) una nuova frontiera di marketing dopo i fasti del serissimo (brutto) "Fahrenheit" del bonario ciccione.
Il pretesto di raccontare una realtà era già deficitario in Moore, in quanto sparare contro Bush era (e rimane) un'azione precostituita, in quanto è facile disprezzare uno dei presidenti degli States piu' odiati e discussi di sempre.

La (presunta) cattiveria di Borat consiste nel tentativo di preconfezionare un film che ha tutti i clichè dell'americanismo vigente, e che non ammicca - come ha detto qualcuno - a South Park (eh magari) ma a certi short movies in 8 mm. degli stessi cittadini americani con i loro popular games sconcertanti e irriverenti, al mondo degli stuntmen e a Johnny Knoxville, icona (questa sì) trash di un mondo che vive per qualche minuto l'ebbrezza di una corsa parodistica verso la libertà dei gesti, della parola, delle azioni...
In altre parole, siamo di fronte a una candid-camera travestita da anomala macchina eversità di scorrettezza e scurrilità. Capirai che coraggio...

E lo stesso Borat, bandito dai paesi asiatici per l'immagine che dà dei popolani e di certe esigue nazionalità, diventa a questo punto la parodia di se stesso, emblematico non come clichè di un deterrente universale nei riguardi delle razze meno fortunate, ma come clichè conformista all'immagine che si dà di lui.

Irresistibile, certo, quando parla lo slang "nigger", quando si lascia conquistare dai gay e dalla loro "visione cromatica della vita", o quando invita a una cena di bon-ton una prostituta, francamente risibile quando esibisce il suo sacchetto di feci, o denuncia la sua "povertà spirituale" in una chiesa Pentecostale, ricordando di essere l'erede di Belushi casomai qualcuno se ne fosse già dimenticato (cfr. Blues Brothers).

E Borat chiede continuamente di essere compreso, accudito, forse venerato: lo fa nei riguardi di alcuni ragazzotti americani che gli impongono la dottrina, che solidarizzano con lui e gli indicano la strada da seguire "non permettere mai agli altri di dirti chi sei...", insomma questo bisogno di "accettazione" sacrifica non poco la dissacrazione (ripeto presunta) del personaggio.
Moralina degna di un romanzo harmony "se tu va cacciando sogno... puoi perdere bellezza vera che è davanti ai tuoi occhi".

Grazie del consiglio, ne faro' proseliti per il futuro

Quanto al film, devo dire che ho riso di gusto spesso e (piu' o meno) volentieri e questo giustifica una risicata sufficienza.

L'impressione di essere di fronte comunque alla piu' "colossale truffa cinematografica del xxi secolo" è pero' molto forte.
Tanto piu' che, se addottiamo Borat (ma sì che vuol essere addottato...) come unico anti-eroe di questa specie estinta, siamo messi male: per inciso, il film è quanto di piu' spudoratamente americano ci sia, e non è detto che sia un difetto...

Tra gli spettatori che adottano la risata liberatoria come scherno delle nostre miserie umane e quelli che intellettualmente credono di aver assistito a un
realistico (???) ritratto sociale mi sembrano piu' credibili i primi, che vogliono soltanto "divertirsi".
Oltre la risata liberatoria e strappamutande, non c'è molto altro.

Ma già mi pare indecente imporre il doppiaggio a un film del genere: pretendo di ridere o di identificarmi in questo mondo qui?

Infatti, dopo "Borat" sono tornato sulla terra, a ridere e piangere della nostra umanità, che almeno si mostra - senza effettismi e strumentalizzazioni - la ***** che è sempre stata.

Grazie lo stesso, pero', per avermi espresso quanto la frontiera tra rispetto e intolleranza sia ormai del tutto superflua: non è che lo sapevo già prima di questo film?

1 risposta al commento
Ultima risposta 10/03/2007 14.22.12
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