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Insieme ai "Dannati Di Varsavia" è la pellicola che ha fatto conoscere al mondo il talento di Wajda. Storia interessante e mai banale,anzi parecchio complessa,basandosi sull'odio e sugli scontri che contrapponevano i reazionari ai comunisti nell' immediato dopoguerra in Polonia. Uno sfacelo socio/politico che si rispecchia facilmente nel disordine morale del protagonista Maciek ( interpretato dal bravissimo Cybulski,che negli anni successivi diverrà uno dei più amati attori polacchi) A metà strada tra i classici film americani e la Nouvelle Vogue francese è un lavoro che non si fa mancare neanche degli azzeccati momenti surreali ( il finale),diretto con maestria ,con molte buone trovate visive,delle atmosfere credibili e dei personaggi mai banali. Un gran bel film,da recuperare.
L'anno dopo quel miracolo de "I dannati di Varsavia" Wajda prosegue idealmente il racconto mettendo in scena un film sempre riguardante la resistenza polacca però ambientato poco dopo la guerra, è il maggio del 45', la Germania ha appena firmato la resa incondizionata, la Polonia è libera dalla minaccia nazista, eppure la resistenza non si è smembrata, perché sembra dall'Unione sovietica stiano arrivando nuovi venti del regime, l'influenza comunista incombe sulla nazione, è l'ora di combattere.
Piccola premessa: è un film principalmente per il pubblico polacco, sebbene le tematiche trattate diventino universali, serve un buon background della storia polacca per comprendere a pieno gli svariati significati e simbolismi che Wajda mette in gioco, personalmente ho sempre avuto grossi dubbi su cosa potessero significare il crocifisso capovolto che si vede penzolare nelle macerie della chiesa, così come il cavallo bianco che spunta dal nulla.
In ogni caso, Wajda realizza un film che va a spezzare l'ideologia, a favore della determinazione del singolo e non più del sogno collettivo, è un film disilluso col protagonista, che sarebbe un sicario della resistenza, che intraprende un percorso di graduale consapevolezza. La prima scena mostra un omicidio a sangue freddo, senza esitare, convinto dell'azione che sta facendo, ma era la persona sbagliata, è stato confuso un povero operaio con un grosso esponente del partito. Nel procedere del film il protagonista maturerà un pensiero diverso, conoscerà questa barista con cui passerà la notte e proverà per la prima volta l'amore, questa esperienza assieme al progredire della sua coscienza gli farà sorgere talmente tanti dubbi dal voler disertare la resistenza, smetterla di uccidere e vivere lontano da questo massacro, ma ormai l'accordo è stato preso e deve compiere il suo dovere.
Forte è la disillusione che mostra Wajda, scaricando tutta l'enfasi delle uccisioni, diventate comuni in periodo bellico, quasi un motivo di vanto per i soldati, che ora con il ritorno alla normalità riprendono ad avere un forte peso sulla coscienza, come si vede da più scene che enfatizzano il senso di colpa, da quella voyeurista alla finestra dell'hotel con l'amante della vittima disperata a quella della chiesa con i due corpi delle povere vittime, la vita umana torna ad avere un valore e quel valore pesa sulla coscienza del personaggio e sulle sue decisioni.
Forte è la componente empatica che mette l'autore, le scene sentimentali sono rappresentate con una delicatezza straordinaria, parlo dei primi piani dei due amanti a letto, una messa in scena sublime dell'autore che riesce ad essere asciutta e virtuosa al punto giusto, la bellezza delle immagini è sempre contestuale al racconto, non c'è un virtuosismo che sia di troppo o che distacchi dai sentimenti, anzi li enfatizza volentieri, dall'amore narrato con la barista alla forte tensione, molto vicina al senso di colpa, nei momenti della premeditazione dell'omicidio - a proposito di questo, ma che spettacolo è la scena delle scale? Con quelle ombre a spirale, straordinario - fino ad arrivare al dolore e l'amarezza finale, il protagonista dopo aver attraversato le fogne per salvarsi - Il riferimento al film precedente è palese - è comunque ancora vittima di un circolo vizioso, non più la guerra però, che non gli lascerà via d'uscita e spezzerà, come successo per la compagnia, i suoi sogni.
Dopo "I dannati di Varsavia" un altro titolo imperdibile di Wajda, capace di raccontare lo sfacelo di un popolo e la relativa mancanza d'identità ( la guerra è appena finita e la Polonia passa dall'influenza tedesca a quella, certamente diversa, russa ) attraverso le pene interiori del killer Maciek. Tra i suoi pregi il grandissimo lavoro sul bianco e nero di una pellicola a forte taglio espressionista; e ancora, diverse scene clou che si stagliano nell'immaginario dello spettatore ( l'agguato iniziale, la notte d'amore, la resa dei conti finale in mezzo alle lenzuola stese ) . L'unica pecca è qualche sottotrama politica un pò confusa, forse perchè ha forti rimandi con la storia polacca che io ovviamente non posso cogliere.
Quello di Andrzej Wajda è una lavoro difficile e non per tutti masticabile. Bisogna essere addentrati nella politica e nella societa' Polacca di quel periodo storico dove il tuo stesso fratello poteva appartenere ad'una fazione armata differente dalla tua. Tutto si svolge all'interno di un albergo con casi di coscenza, amore e tentativi di fuga dalla propria storia. Finale amaro per un lavoro che complessivamente ho trovato un po' freddo e poco comprensibile.
Non è facile addentrarsi nel terzo capitolo della trilogia wajdiana. Il contesto storico delle vicende è difficile da inquadrare e alcune figure secondarie stentano a trovare una logica collocazione nella mente dello spettatore. Ciò nonostante "Ceneri e diamanti" è un film straordinario, un ritratto umano viscerale ed ambiguo, specchio di una nazione distrutta ma sopravvissuta, di un popolo che cova insieme rancore e speranza. Accusato ai tempi di calligrafismo, in realtà vanta un equilibrio fra intuizioni formali ed intensità narrativa che ha del miracoloso. Si è di fronte ancora una volta ad un incantevole cinema del contrasto. La dicotomia fra candore ed efferatezza, già preannunciata dal titolo, trova il suo mediatore ideale nel personaggio di Maciek (bravo e molto bello Cybulski). Giovane studente universitario, durante la rivolta di Varsavia ha vissuto nelle fogne (palese il legame con "Kanal") per poi votarsi totalmente alla causa anticomunista. La sua epopea interiore è come racchiusa fra due atti di violenza, l'uno compiuto con autentico convincimento, l'altro con rassegnata passività. La svolta è costituita dall'incontro con una ragazza fragile e sfiduciata. E' lei il barlume di Bellezza che Wajda accende nella tragedia, ovvero il diamante nella cenere. Eppure, quando il lenzuolo bianco si macchia del sangue di Maciek, appare chiaro quanto lo sguardo del regista sia disilluso, irrigidito in un nichilismo dalle radici profondamente autobiografiche. Memorabile l'ultima inquadratura, istantanea di sconfitta e morte che lascia il segno.
" …dalla vampa consunto ignori se dal fuoco avrai libertà agognata o se tutto ciò che ti appartiene andrà disperso o se dell'essere tuo non resterà che cenere sparsa che il vento dissolve o se nella cenere ascoso non resti un diamante che splende luminoso come luce di vittoria"
Una pellicola interessantissima che fonde la Storia di un paese con una confezione che richiama molto il genere noir. La Polonia dopo la caduta dei tedeschi si ritrova al suo interno una situazione di elevata conflittualità tra nazionalisti e comunisti. Un paese spaccato tra dissidi inconciliabili in cui la mancanza di comprensione reciproca e pulsioni autodistruttive distruggono quello che di meglio c'è da entrmbe le parti. Chi si salva? Gli arrivisti, i servi, i doppiogiochisti. Un'amara nascita di una nazione quella descritta con lucidità da Wajda.