Durata: h 1.31 Nazionalità:
Francia, Giappone1958 Genere: drammatico
Tratto dal libro "Hiroshima mon amour" di Marguerite Duras
Al cinema nel Settembre 1958
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Un altro film dove è la POESIA a farla da padrona. Si parte con le immagini stupende di due corpi che si avvinghiano in un abbraccio passionale, carnale, non si vedono i volti ma soltanto le mani che si muovono dolcemente sulla schiena dell'altro. Una pioggia di cenere, poi il sudore... a quel punto iniziano le parole, sussurrate, ma dense di significato. La letteratura si mischia alla pittura e così dalla dimensione erotica si viene presto catapultati ad Hiroshima, in mezzo a scene di dolore e devastazione. Corpi straziati, bambini in lacrime, donne senza occhi, palazzi distrutti, campi desolati... E poi di nuovo i dialoghi in camera da letto. La "grande" storia ha fatto il suo corso, ma c'è anche la "piccola" vicenda dell'attrice francese in trasferta ad Hiroshima per girare un film e di un architetto giapponese. Si stanno amando, ma già si intuisce che è un amore destinato a finire con rapidità. Entrambi sposati, entrambi con la propria vita, che si aprono l'uno all'altra, si confidano i ricordi, i dubbi, le paure. Che sono, però, destinati a dimenticare. E' infatti un film essenzialmente sul tempo... il tempo che scorre inesorabile e rende tutto precario ed evanescente. E' un film sui ricordi destinati a dissolversi, sulle grandi passioni destinate a spegnersi... Si ritorna ad Hiroshima, ci vengono ripresentati i dati, una voce ci ricorda che di come ci furono "200.000 morti e 80.000 feriti in nove secondi. Queste cifre sono ufficiali. Ma tutto ciò si ripeterà. Avremo 10.000 gradi sulla terra: 10.000 soli, si dirà. Brucerà l'asfalto, regnerà un profondo disordine, un'intera città sarà sollevata da terra e ricadrà in cenere, e vegetazioni nuove sorgeranno dalla sabbia."
"Come in amore esiste questa illusione di non poter mai dimenticare", ed invece sembra che tutto prima o poi si dimentica... E così siamo di nuovo insieme ai due amanti, li seguiamo mentre vagano insieme per Hiroshima, si salutano, si abbandonano, si rincontrano, si sfuggono. Dalla dimensione storica si passa a quella sentimentale, esistenzialista. Il tutto, mentre continuiamo ad essere accompagnati da una carrellata di immagini in bianco e nero, una più bella dell'altra. Lei parla a lui del suo amore giovanile, un soldato tedesco incontrato a Nevers e quindi anche il passato si intromette, dal Giappone si torna in Francia, la si segue narrare della propria follia, della propria depressione, mentre lui le dice "Sei come mille donne messe insieme"... L'atmosfera si fa sempre più magica, surreale. Ormai la storia si fa lontana, ormai si fluttua in una dimensione esterna... C'è di tutto: la guerra, l'amore, la memoria, la pazzia, la paura... Il Morandini scrive: "Il suo fascino nasce dall'impiego dei contrari (Nevers e Hiroshima, l'amante tedesco ucciso e l'amante giapponese di 36 ore senza domani), l'etnia e la cultura diverse, il passato e il presente, la percezione e l'immagine mentale, la necessità della memoria e la fatalità dell'oblio, il dialogo e il monologo, il documentario e la poesia, la realtà quotidiana e l'incantatrice litania erotica), dalla dialettica tra fascinazione e decostruzione, tra partecipazione e distanziazione. Nel trasformare il ricordo (uno stato) in memoria (un atto) la donna si libera di quell'incantesimo e ricomincia a vivere."
Alcune scene indimenticabili ed una delle affermazioni più precise ed azzeccate di sempre: <<È come l'intelligenza, la follia. Lo sai? Non si può spiegarla, proprio come l'intelligenza: ti viene addosso, ti riempie di sé, e allora la capisci. Ma quando t'abbandona, non la capisci più.>>
Splendida la Fotografia di Sacha Vierny e Michio Tanasaki.
Resnais è riuscito con questo film ad avviare un discorso su come demolire lo status quo attraverso le "impalcature semantiche" della rappresentazione, riuscendo laddove molti fallirono a non rappresentare “ il concreto” e “ il mentale” dell’apparato industriale, e ad avviare un discorso di decostruzione dei "segni" del capitale rappresentato, attraverso filtri futuristi, o spingere la velocita 'oltre alla percezione sensoriale, scardinando tempo e spazio (e non parlo solo dell'uso rivoluzionario del flashback, me ne battu ù belin io della nouvelle vague). Se si dovessero salvare solo 10 film dall'apocalisse imminente questo film rientrerebbe sicuramente tra quelli quelli da portare al riparo nello spazio interstellare.
Durante i primi 10 minuti del film sono rimasto come allibito. Non si sa chi sono i corpi che si abbracciano, né perché né per come. Si rimane semplicemente incantati dalla bellezza, dal nitore, dall’intensità e dalla perfezione delle immagini. Lo scorrere lento e posato, le parole chiare ed essenziali e subito il tema bruciante della distruzione e della memoria. “Ho visto” – “No, non hai visto niente” e dietro una carrellata di immagini da foto e da filmati della distruzione nucleare di Hiroshima e dello strazio della gente. Insieme a queste immagini scorrono anche quelle del presente, di una città che è sorta più attiva e sfavillante di prima, creando contrasto stridente. A completare la sensazione profondissima che si crea nello spettatore, come sottofondo suona una musica incantevole oppure un suggestivo silenzio. Mai film è riuscito a infondere tanta sospensione, tanta magia, tanta impressione e riflessione. Quest’atmosfera incantata, sospesa, prosegue per tutto il film dandogli quasi un andamento astratto, da riflessione filosofico-spirituale, grazie semplicemente alla potenza dell’immagine e del suono. Il tema del film si rivela essere quello molto profondo della memoria, di come gli avvenimenti spiacevoli e drammatici vengano piano piano assorbiti e poi quasi cancellati, buttati in un angolino della memoria e quasi dimenticati. La vita prosegue. Ecco però che i fatti potrebbero accadere di nuovo e solo riportando a galla la memoria si potrebbe (condizionale!) evitare che si ripetano. Nel film il discorso, che era partito su di un piano storico, prosegue su di un piano esistenziale e sentimentale. Si tratta però di una trasformazione metaforica del tema. I due protagonisti non hanno nome, si chiamano fra di loro con un nome di città (Hiroshima e Nevers), diventano il simbolo delle distruzioni che opera la guerra, quella materiale estrema di Hiroshima e quella interiore e amorosa (non meno drammatica) di una ragazza innamorata della persona sbagliata. I personaggi sono perciò contenitori vivi e sofferenti del concetto di conflitto (storico e interiore) che deriva dalla necessità di rimuovere, per continuare a vivere. Infatti non viene mostrato niente della loro vita normale (hanno famiglia, figli, lavoro). Ci si concentra solo e semplicemente sul loro conflitto interiore. La loro storia all’inizio prende l’aspetto di un dolce incontro amoroso riflessivo ed è espressa in modo molto affascinante e intenso. Si sente e si capisce la loro intesa amorosa. Poi, con il proseguimento della storia diventa più qualcosa di astratto e simbolico e si perde un po’ la corrispondenza emotiva con i personaggi. Dall’emozione si passa all’ossessione. Qui la storia si avvita un po’ su stessa e assume toni a volte melodrammatici. L’impossibilità sentimentale (e pratica?) di un nuovo rapporto, il parallelismo e l’identificazione con il passato, la sofferta constatazione che la storia (politica e amorosa) è destinata in eterno a ripetersi o almeno a non risolversi, colora malinconicamente la fine del film. Quello che però fa di quest’opera qualcosa di unico è la tecnica cinematografica. L’essenzialità e la pienezza di significato delle immagini è qualcosa che colpisce ed emoziona ad ogni inquadratura. Si vede il debito di Resnais verso i grandi documentaristi Flaherty e Ivens. Si sente però soprattutto l’influenza di Dreyer. Le inquadrature pulite, nitide, essenziali, lo scorrere dolce, il disporsi dei personaggi e degli oggetti in maniera significativa e naturale allo stesso tempo, sembra presa di peso da “Giovanna d’Arco”, “Dies Irae” o “Ordet”. L’effetto incantatore è lo stesso. Che meraviglia artistica e cinematografica questo film !!!
Un film a cui sono sempre stata molto affezionata per il lento dipanarsi, per i sentimenti composti e strazianti che affiorano via via alla luce. Un uomo ed una donna in una città che riassume ogni orrore, ogni dolore, ogni violenza, ma nella quale i fiori ripresero a fiorire ben prima di quanto ci si aspettasse. E' tuttora attuale il senso di straniamento quando si visita Hiroshima, eppure questo non è un film sulla guerra, ma un film su quel sentimento che ti germina dentro di fronte all'insensatezza degli eventi della vita. Chi ha visto tutto ad hiroshima, chi ha oltrepassato la comprensione della sofferenza, non può non aver scavato nel fondo della propria anima per affrontarne i fantasmi.
Il film di Resnais è un delicato affresco di un romantico amore impossibile. L’inizio (un po’ troppo lento, forse) da il tema dell’amore come autodistruzione della persona con una forte “attrazione” (in senso di montaggio) tra gli amanti nel letto che parlano dei morti di Hiroshima (città nel quale il film è appunto ambientato) e le immagini della tragedia dovuta all’esplosione della bomba atomica. I personaggi si svelano lentamente, ma è soprattutto il carattere di lei ad essere complesso e sfaccettato rivelando poco alla volta il lato oscuro di un amore impossibile vissuto in tenera età e mai del tutto dimenticato. Resnais segue i personaggi quasi senza disturbarli nel loro cammino interiore fino a svelare tutti i segreti. Persone prima ancora che personaggi. Nel film si respira il profumo della vita vera, vissuta fino in fondo. E’ un film romantico, ma mai sdolcinato, semmai duro e impietoso con i blandi sentimenti perché l’amore vero, sembra dirci, è violento e ti investe con la forza di un fiume in piena. Un gran bel film da (ri)vedere con calma per apprezzarne tutte le sottigliezze.