Recensione hiroshima mon amour regia di Alain Resnais Francia, Giappone 1958
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Recensione hiroshima mon amour (1958)

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locandina del film HIROSHIMA MON AMOUR

Immagine tratta dal film HIROSHIMA MON AMOUR

Immagine tratta dal film HIROSHIMA MON AMOUR

Immagine tratta dal film HIROSHIMA MON AMOUR

Immagine tratta dal film HIROSHIMA MON AMOUR

Immagine tratta dal film HIROSHIMA MON AMOUR
 

"Non hai visto niente, niente..."

"Hiroshima, Mon Amour" è il tipico film-manifesto che assurge a monito contro la reazione passiva (o meglio, l'indifferenza) della memoria collettiva.

E per quanto assurdo, se è probabile che non riusciremo mai a liberarci dal ricordo traumatico di certi recenti avvenimenti (su tutti l'11 Settembre 2001), al contrario subentra in molti di noi un'ombra di rimozione, se non di indifferenza, inerente a certe immani tragedie del XX Secolo, nel nostro passato più prossimo.

La necessità della memoria è impressa dalle inquadrature del film, dall'apparato scenografico che rilegge l'Arte Post-contemporanea, come il Dadaismo e la Metafisica, e non a caso è ancora oggi l'Arte l'unica messaggera che aspira all'indivisibilità del Ricordo, alla Ragione e alla Coscienza eterna e infinita dell'Individuo.

La narrazione della stessa Marguerite Duras, autrice del testo, nelle prime immagini del film sembra acuire la necessità del cinema di elevarsi a Summa Artistica Assoluta, sposando l'Avanguardia e il Messaggio attraverso parole, frasi come "Mi ricordo tutto di Hiroshima", "Non hai visto niente, niente", "Ho visto tutto", che sembrano andare al di là del Monolitismo imperante di ogni forma artistica, cercando in questo modo una Concretezza che vada ben oltre il linguaggio Cinematografico, Filosofico, Letterario, o Teatrale chiuso in se stesso.

"6 AGOSTO 1945"

Primo lungometraggio di Alain Resnais, "Hiroshima Mon Amour" non è, dal punto di vista formale e tecnico, del tutto coerente con l'implosione della Nuovelle Vague, come lo furono/sono gli esordi di Truffaut o Godard, o anche per altri versi i primi film di Chabrol e Vadim.
E' un'opera a se stante, ma magnificamente "inopportuna" - e proprio per questo fondamentale - ai fini di un linguaggio espressivo nuovo: rappresenta una nuova sfida al mezzo cinematografico.
Un film ispirato, si diceva, a certe geometrie sonore di Stravinskji, al cinema di Cocteau e Vigo, persino qualche eco di esistenzialismo francese à la Boris Vian.
Resnais, già autore di diversi cortometraggi e documentari (si segnala soprattutto lo splendido "Ombre e nebbia", sui campi di sterminio ad Auschwitz, altro film sul tema della Memoria) veniva dall'esperienza del Rive Gauche, decisamente più letteraria che cinematografica.
Il cinema di Resnais, negli anni successivi, si è sempre più affinato come efficace espressione ed esplorazione temporale della Memoria, anviso agli spettatori poco predisposti alla collocazione Metaforica e Filosofica del suo Cinema: ricordiamo "L'anno scorso a Marienbad", dove un uomo continua a credere di aver già visto un anno prima una donna incontrata occasionalmente, o "Muriel, il tempo di un ritorno", titolo emblematico che evoca la stessa Persistenza del Tempo - per dirla alla Dalì - presente in questo film.

"Il Mondo Intero ne fu felice, e tu ne eri felice come il Mondo Intero."

Introdotto dalla narrazione della nota scrittrice (Marguerite Duras, cfr.) il film rompe gli schemi con una certa presunzione letteraria, lasciando però al potere delle immagini il compìto di veicolare e subentrare al classico svolgimento di un film: script=storia=prosecuzione della storia.
La sua apparente frammentarietà, quasi a sintomatizzare lo stesso "terrificante disordine" all'indomani dell'esplosione della bomba atomica, è in realtà rigorosa e intransigente nella sua realizzazione.
E' un film d'avanguardia? Per certi versi è facile stigmatizzare e collocarlo in quest'ottica, ma la coesione del film è antitetica al risultato, e plasma ogni possibile tentativo di definizione.

Prima di tutto noi vediamo due corpi abbracciarsi, quasi "divorarsi" e annientarsi, in un processo che ha ben poco dell'amplesso erotico tradizionale, e anzi sconfina nella necessità di Perdita, di Annientamento, di Amnesia. E poi - con uno stile documentaristico riflesso dalla splendida fotografia - la Metafora del Tempo assurge a realtà distinta (oppure il contrario) e veniamo sopraffatti da brandelli di carne umana, ovunque il senso alienante di distruzione e morte, compresa la logorante brutalità dei dati, di quelle 200.000 vittime di un'ingiustizia abnorme: tutto ciò diventa provocatoriamente l'Invettiva Ideologica contro la stessa Umanità spettatori inermi compresi ("Il Mondo Intero ne fu felice, e tu ne eri felice come il Mondo Intero").
Un'irritante espressione che rilegge la Coscienza altrui, e che sembra rispondere comunque alla domanda "Perchè negare l'evidente necessità del ricordo?".
L'effetto è davvero quello di una lunga prefazione letteraria che rischia di confondere e mettere lo spettatore nelle condizioni di attendere con eccessivo disagio allo sviluppo successivo della storia.

E' proprio superando il limite tra Sperimentazione e Cinema Classico, attraverso un parallelismo di due mondi apparentemente opposti che fanno pensare ad Ejzenstejn, che il regista confonde ancora di più gli spettatori: la vicenda racconta 48 ore di due amanti, un giapponese e un'attrice venuta a Hiroshima per girare un film "sul ricordo", entrambi sposati ed entrambi divorati dal peso del tempo e dei Segreti a lungo covati. Una relazione breve, fulminea che costringe la donna a rievocare la sua stessa esperienza "scandalosa", in un paese della Borgogna chiamato Nevers (emblematicamente "Mai" in inglese) con un soldato tedesco morto prematuramente a vent'anni.
"Il mio amore morto è un nemico della Francia", e se la Bomba Atomica diventa un pretesto, è altrettanto facile, dati alla mano, ricordare come fu fabbricata con componenti fondamentali - l'uranio - di fabbricazione tedesca, una transazione tra Germania e Usa nello scambio di materiali bellici tra Hitler e l'Imperatore Hirohito.
E' un caso o una coincidenza? Quale terribile Caso di Coscienza sconvolge la donna? Un tradimento sul Fronte Opposto o una responsabilità indiretta nei confronti della città da cui sta parlando?

Ma se il 6 Agosto 1945 è la data della più terribile sciagura mortale compiuta per mano dell'Uomo, la Seconda Guerra Mondiale rievoca anche il conflitto di un'amore difficile, di un ricordo indelebile che la donna porta con se' come un ricordo di cui vergognarsi ed è facile capire il perchè... Una verità che ha taciuto al marito, e che racconta, consapevolmente adultera, all'amante Occasionale, prima di respingerlo e poi ritrovarlo, smarrirlo e riconciliarlo a sè, come se la città fosse una realtà piccolissima dove facilmente ritrovarsi.

Una struttura a incastri, ravvivata da una fotografia dove il riflesso delle cose sembra quasi abbruttire la gente, quella che (stoltamente?) è sopravvissuta alle colpe dell'Umanità.
I monologhi dei due amanti appesantiscono il film, ma ne rafforzano paradossalmente la dimensione Intimistica e Corporale, che dopo una fortissima adesione sessuale (i corpi avvinghiati, pronti a mordersi, a unirsi in un'emblematico abbraccio ma anche in un'endemico bisogno di Morte) si respingono e cercano disperatamente di separarsi.
Recisi, dopo un impossibile e utopico Cordone Ombelicale.

"Il mio nome si cancellerà a poco a poco dalla memoria, poi svanirà con me"

Se poi dovessimo cercare una frase ricorrente che emblemizza tutto il film, il finale serve splendidamente allo scopo.
Lei dice "Hiroshima è il tuo nome, il mio è Nevers, en France".
E così anche la riflessione temporale del film di Resnais diventa un codice di appartenenza ora geografica, ora individuale, ora razziale, straziante e comunicativo, evocando la ferita di un dramma consumato nell'Indifferenza dell'Umanità.

Un cinema, questo di Resnais, che ha fatto proseliti guardacaso proprio in Cina e Giappone, con i nomi di alcuni tutelari e intransigenti cineasti nipponici pronti a dichiararsi Vinti o affascinati da questi Contrasti Narrativi (su tutti, Hsiao-Hsien).

Ora irritante, ora profondamente espressivo, il film di Resnais sconfessa la Memoria e la rende tragicamente vivida come l'immaginario di un Cinema che sa di poter raggiungere gli obiettivi più lontani.

Quanti chilometri dista Hiroshima da Nevers? Forse, per l'uomo di ieri, di oggi e di domani, non abbastanza...

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 16/10/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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