Un cavaliere torna dal campo di battaglia solo e trova ad attenderlo una terra devastata dalla peste, e la Morte che lo reclama. Riuscirà a prolungare la propria esistenza impegnando la Mietitrice in una lunga partita a scacchi che sa di non poter vincere.
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La figura della morte ò ambigua, assume a volte tratti demonistici e a volte confessionali. Grande film per la poesia e i pensieri filosofici che evoca e incarna con un gioco di immagini in bianco e nero superbo. E' ancora l'Apocalisse di Giovanni a sostenere la struttura del film, come dire che tutto si gioca sempre sul senso di colpa che anima il Nuovo Testamento, ciò conferma le origini cristiane dell'occidente (oltre che greche) che pensa la morte e la sofferenza oltre che viverla, le nostre origini greche sembrano emergere più nella vita cosciente e normale del quotidiano. Ma quando si tratta di pensare nel pianto, nella sofferenza, nell'imminenza della morte la nostra componente cristiana, indipendentemente dal credere o meno nel soprannaturale cristiano, si fa sentire e come. Bravo Bergman che fa sempre film ignorando i pruriti del botteghino.