la quinta stagione regia di Jessica Woodworth, Peter Brosens Belgio, Olanda, Francia 2012
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la quinta stagione (2012)

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locandina del film LA QUINTA STAGIONE

Titolo Originale: LA CINQUIÈME SAISON

RegiaJessica Woodworth, Peter Brosens

InterpretiAurélia Poirier, Django Schrevens, Sam Louwyck, Gill Vancompernolle

Durata: h 1.33
NazionalitàBelgio, Olanda, Francia 2012
Generedrammatico
Al cinema nel Giugno 2013

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•  Altri film di Peter Brosens

Trama del film La quinta stagione

Una misteriosa calamità colpisce un remoto villaggio belga nelle Ardenne: la primavera si rifiuta di arrivare, gli alberi cominciano a cadere, la terra diventa arida, le provviste scarseggiano. Il ciclo della natura è sconvolto. La natura prende il sopravvento provocando l’implosione della piccola comunità. Due adolescenti, Alice e Thomas, lottano per dare un senso alla loro vita in un mondo che sta crollando intorno a loro.

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Voto Visitatori:   6,60 / 10 (10 voti)6,60Grafico
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Voti e commenti su La quinta stagione, 10 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  16/11/2016 22:41:21
   6½ / 10
Al festival di Venezia dove fu proposto, andai via dopo nemmeno 40 minuti. Tuttavia alla luce del positivo King of belgian ho deciso di recuperare la Quinta stagione. Il film è alquanto bizzarro e particolare. Un'apocalisse surreale in cui le quattro stagioni vengono annullate. Sullo schermo e sulla composizione della scena, fortemente pittorica, ogni stagione è indistinguibile dall'altra, la terra diventa arida, le api scompaiono, il fuoco non si attizza e le mucche non danno più latte. La natura tramite questo sconvolgimento riprende il controllo nei confronti dell'uomo, il quale subisce anche un inaridimento morale. Nel piccolo villaggio belga l'unica cosa cui fare fronte comune è soltanto quella di trovare un capro espiatorio per tali accadimenti ed a cadere è sempre il forestiero, colui che non appartiene alla comunità. Nella sua freddezza d'impianto risalta l'impossibilità di un riscatto morale che simbolicamente possa fermare o invertire il corso degli eventi. Non sono dispiaciuto di averlo recuperato, il film è interessante e se si entra in sintonia con esso, regala spunti di riflessione, magari non nuovi, ma sempre attuali.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Freddy Krueger  @  21/11/2013 23:48:36
   7 / 10
La Natura sfida l'uomo, uno scontro senza pietà, un rapporto messo alle strette.
Di questo film mi sono piaciute molte cose: anzitutto i paesaggi, mi sono innamorato di quei luoghi imponenti e freddi. Ci sono anche primi piani di animali da oscar e carrellate oniriche bellissime, tutto contornato da una musica dark ambient.
Poi ho visto qualche rimando a Herzog e (forse non voluto) al film "The Wicker Man".
Un film affascinante che ha diviso le opinioni.

paride_86  @  15/11/2013 00:44:15
   6 / 10
"La quinta stagione" è un film sui rapporti umani e sulla società rurale che, in caso di mali estremi, ritorna agli estremi rimedi del Medioevo.
Fotografia affascinante, ma la noia regna sovrana. Si poteva fare di meglio.

Badu D. Lynch  @  30/10/2013 10:53:04
   9 / 10
Inverno, primavera, estate, autunno... e ancora Inverno.

Apocalisse stagionale.
L'Inverno non se ne va, non vuole bruciare perché questa fredda stagione è prima di tutto dentro l'animo umano : sono gli abitanti la vera cinquième saison che manda tutto in stallo, che blocca il corso della natura. Non c'è più armonia tra l'uomo e la terra, essi non parlano più tra di loro, hanno smesso di capirsi. In una delle prime sequenze, i ragazzi - Alice e Thomas - comunicano tramite suoni animaleschi, come urla primitive ancora incontaminate, un tutt'uno con la Natura, simbolo di armonia tra i vari elementi, di unione. Ora non c'è più intesa. Le api smettono di esistere, le mucche si rifiutano di produrre latte, la terra smette di dare i propri frutti. Scacco matto. Thomas e Alice si allontanano sempre di più, come due estranei : l'ululato del ragazzo non viene accolto da lei, non riceve risposta, ciò che rimane è solo un debolissimo e impercettibile eco. I primi distacchi, non c'è più simbiosi. Per combattere la fame, per allontanare la maledizione, per sconfiggere lo Zio Inverno, bisogna per forza trovare una soluzione, bisogna decidere e agire. Il primo passo verso l'involuzione : quando non si sa come risolvere un problema, si da necessariamente la colpa a qualcuno, si cerca per forza un colpevole, una figura su cui scaraventare sopra la debolezza collettiva, quella della massa. I presagi, i sintomi, le prime tracce di una catastrofe imminente sono tanti : "Quando le api scompaiono, anche tutto il resto scompare", parole profetiche quelle di Pol ; una citazione simile viene attribuita erroneamente ad Albert Einstein : "Se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbero che quattro anni di vita." - ; la fine incombe, gli indizi sono innumerevoli. Nel film gli abitanti del villaggio cercano drastici rimedi per fronteggiare questo incombente cataclisma : precludono la razionalità, sono pieni di preconcetti, impauriti dalle idee innovative, dalla ricerca della verità, dallo studio ; infatti Pol - il filosofo - dichiara : "Preferisco essere un uomo paradossale piuttosto che un uomo di pregiudizi" ; perché accusare ingiustamente una determinata persona senza prima provare a cercare la verità, trovare un ragionato rimedio - cercare di scongiurare l'inevitabile - che non sia per forza una soluzione atavica, brutale, inumana? Infatti anche Jean Jacques Rousseau diceva "(...)Ed io preferisco essere un uomo di paradossi, che un uomo di pregiudizi." : notevole è la componente filosofica, ostentata appositamente per evidenziare la pericolosità dell'ignoranza, della superficialità unanime, comune, corale. Tutto potrebbe venire fuori dal paradosso, dalla ricerca razionale, invece che tuffarsi nel mito, nel vecchio, nel Medioevo. E' arrivato l'inesorabile e prevedibile momento di incolparsi a vicenda. Ecco che una voce pura canta, allontanandosi dagli uomini, dal mondo, dalla malvagità, quasi come se trascendesse tutto ciò che è terreno, banale ; una dolce filastrocca che momentaneamente zittisce tutti, ipnotizzati : certo, lui è Octave, l'ultimo bagliore di luce genuina rimasta in quest'oscurità inquinata, in questa fredda umanità ; Octave è, come dice il padre : "il mio angelo, il giudice" - colui che appunto non ha pregiudizi, è vergine, candido, incorrotto. Tutto sta precipitando. Lontani i tempi in cui si faceva l'amore, ora l'istinto brutale ha divorato la dolcezza dell'amplesso. Dov'è finita l'humanité? Forse è proprio questa la vera e glaciale umanità. Bestie. La calma si disintegra, la ragionevolezza si congela, il mondo si sfalda : nell'incipit si presagiva già questa fine, ma l'uomo provava ancora a legarsi con la natura, rappresentata da una gallina, pur diventando egli l'animale, assumendo caratteristiche e emettendo suoni animaleschi ; ecco poi che a metà film, quello stesso uomo - l'Uomo - non riesce più a comunicare, perde la pazienza, trova soluzioni perentorie per ciò che concerne l'incomunicabilità tra i due mondi : è affamato, diventa cannibale, vorace. Ora la gallina dovrebbe essere mangiata, divorata. La voracità delle persone : "Spezzatino di Fred, Fred al salto, Fred farcito, Fred al vino.". Infine, gli ultimi pezzi di lucidità si disintegrano, ecco che quello stesso uomo, il protagonista dell'incipit, decide di ammazzare barbaramente l'animale : egli ha perso definitivamente la sua umanità, il suo aspetto, il suo volto non è più riconoscibile ; è inespressivo, ora indossa una maschera - è annullato. In tre sequenze è stato rappresentato il disfacimento della razionalità, il voler dominare e conquistare ad ogni costo la natura, senza compromessi. Voracità. Alice, in tutto ciò, in tutto questo processo grottesco, cerca di distaccarsi dal villaggio, dalla popolazione, da questa realtà bestializzata. Emblematica è la frase della madre : "dimmi un po', chi ti credi di essere tu?", quasi come non riconoscere più la figlia come tale, quasi sentirla distante dai meccanismi ostici degli abitanti del villaggio. Auspicare è inutile, o meglio, è inverosimile : l'illusione di una vita migliore è raffigurata attraverso dei fiori finti, di plastica. La realtà è priva di speranza ; l'aspettativa di un futuro migliore è fasulla, posticcia. La pace si sta sgretolando. Avviene la perdita definitiva del buon senso, non si ha più la forza di credere, di sperare : mercificazione del proprio corpo ; Alice non sogna più, ha smesso di vivere. "Bisogna avere il caos dentro di se per dare vita ad una stella danzante" : seguire il caos, la strada, verso un nuovo mondo, per (ri)trovare il giusto percorso, il proprio cammino. Pol, Nietzsche. L'unica possibilità di salvezza : scappare. Gli abitanti non permetteranno tutto questo ; se l'inverno non va via, cercheranno in ogni modo di scacciare la presunta causa di questa sciagura, di tutto questo : il filosofo, quel Nietzsche ambulante. Ecco tutti gli uomini senza volto, mostruosi, non più umani. Ecco la quinta stagione che avanza, che prende forma attraverso dei riti sacrificali. Il Male. L'Inverno non vuole bruciare, questi paradossali culti rituali non danno il risultato sperato. Il freddo è dentro piuttosto che fuori. La colpa non è del singolo, non è del filosofo, la colpa è di tutti : di chi vuole conquistare, di chi cerca di dominare l'indomabile. Herzog docet. Si sta precipitando verso la dannazione, di conseguenza rimane solo un assurdo aggrapparsi alla vecchia favola del sacrificio umano. L'inutilità del mito. Omicidi. Ecco che brucia tutto, prendono fuoco pure le sagome gigantesche : brucia l'humanité in ogni sua forma. Si odono le ultime urla disperate, di dolore : la comunicazione pura, primordiale, animalesca, quella tra Octave e Alice. Il saluto finale, prima dell'abbandono di entrambi. La ragazza non tornerà più indietro, si lascia andare definitivamente, si lascia morire con la natura, insieme ad essa, come gli alberi, crolla insieme a loro - tutto è ribaltato, lei è capovolta, come se levitasse : c'è poesia trascendentale in quest'immagine, c'è Malick. La popolazione del villaggio ha perso la propria umanità, il suo aspetto umano : sono diventati animali, struzzi ; essi rappresentano la voracità - come già indicato precedentemente -, infatti lo struzzo ingerisce qualsiasi cosa, anche il ferro. Un'altra ipotesi è che la scena finale potrebbe raffigurare un invito a riflettere, visto che quest'animale è anche simbolo di giustizia ; l'apocalisse è giunta, la meritata punizione è arrivata : un nuovo inizio, un nuovo mondo in cui l'uomo non ha più alcun potere, non ha più spazio, cessa di esistere ; ed è proprio la natura, che ormai ha il dominio su tutto, che ha castigato l'uomo per la sua eccessiva perseveranza, per la voglia di conquistare, dominare le stagioni. Ora la speranza non appartiene più all'essere umano - la sentenza definitiva, ultima, è piombata sulla testa di tutti : la natura che si ribella all'essere umano. Un animalesco giudizio universale. Octave e Thomas, nella desolazione più assoluta, proveranno ad andare avanti, alla ricerca dell'umanità sepolta. Unici superstiti, morti dentro, vittime.
Ecco una piccola parte di un documento trovato sul web : "L'iconologo spiegherà la presenza dello struzzo fondendo il simbolo della piuma egizia con altre nozioni tratte dai bestiari medievali. Diffuse sono le credenze sugli struzzi che si legano alla figura della Giustizia, molte delle quali descritte la Plinio il vecchio nel suo Naturalis Historia. Si pensava che fosse in grado di digerire tutto, anche il ferro, che indica la capacità di meditare prima di giudicare. Allo stesso tempo sempre Ripa pone lo struzzo come attributo della Gola, per questa stessa capacità. Da qui deriva anche il detto "avere uno stomaco di struzzo"."
L'animale potrebbe anche esprimere semplicemente l'ineluttabile vittoria della follia rispetto alla razionalità : ricordiamo gli struzzi di My Son, My Son, What Have Ye Done. Non ci sono risposte. Finalmente lo spettatore è stimolato, è portato a riflettere, a porsi delle domande.

La Cinquième Saison è un'opera destabilizzante e galvanizzante, con delle trovate visive straordinarie ; il film è pieno di sequenze ipnotiche, inquietanti, che hanno un'inspiegabile potenza atavica. La pellicola della coppia belga - Brosens e Woodworth - ha una fortissima componente simbolica, che comunica attraverso archetipi laceranti, accompagnata quasi sempre da degli affascinanti e apocalittici suoni extradiegetici. C'è un po' di Von Trier, un po' di Kaurismaki, un po' di Bergman.

Inverno, primavera, estate, autunno... e di nuovo Inverno.

Spera  @  25/10/2013 14:51:35
   4 / 10
Percarità qualcosa di buono c'è ma...non vedevo l'ora che finisse.
Oggi sono "noioso" (;

gianni1969  @  19/08/2013 17:43:39
   8 / 10
Un piccolo grande gioiello, pieno di vita e metafore, per fortuna che qualche sorpresa inaspettata. Consigliato

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR oh dae-soo  @  05/08/2013 00:04:30
   7½ / 10
Probabilmente un film per spiriti elevati, troppo elevati.
Attenzione, qui i film complessi non solo sono i benvenuti ma quelli più apprezzati.
Solo per dare un dato il miglior film nel blog del 2011 è stato Dogtooth, del 2012 Synecdoche New York, film paradossalmente molto più complessi di questo ottimo La Quinta Stagione.
Con questi film i diversi gradimenti dipendono tutto da se e come si riesce a trarre interpretazioni personali di tutte le metafore,allegorie e simbolismi dei quali sono pervasi.
Io qui ho faticato, e tanto. E siccome a rischio di non scriver nulla non leggo mai niente altrove prima di mettere nero su bianco qualche mia impressione, posso solo parlare di quello che penso.
Un passo indietro.
E' davvero affascinante e curioso come ogni volta che il cinema parla delle piccole comunità, specie quelle contadine o di montagna, l'elemento principale che viene usato per svolgere la trama, e sconvolgere la vita ferma e millenaria degli abitanti, è l'arrivo del Forestiero. Penso a capolavori come Dogville e la bellissima Grace, penso a Il vento fa il suo giro e al pastore francese, penso all'assurdo Calvaire e al cantante di piano bar e, perchè no,si potrebbe andare anche allo straordinario Cane di paglia e al professorino di matematica. Sarebbe bello analizzare per ogni singolo film la diversa valenza e il diverso impatto che il forestiero dà alla comunità ma tutto questo meriterebbe un post a parte.
Qua il forestiero è molto simile agli altri abitanti che quasi lo si confonde. Però è l'ultimo arrivato ed è un filosofo. Ed ha un figlio handicappato.
Fatto sta che in un remoto paesino belga all'inverno non segue la primavera. L'inverno va avanti e avanti.
Sapete chi mi ricorda un soggetto così? L'immenso Saramago. In ogni suo libro avvengono cose assurde e insensate senza alcun perchè e il lettore (e qui lo spettatore) le prende solo come dato di fatto. La cecità improvvisa, la gente che smette di morire, il Portogallo che si stacca dalla Spagna e cose così. Sì, La quinta stagione avrebbe potuto scriverlo lui.
(mamma mia quanto vado lungo, ancora non ho detto nulla del film...)
La pellicola ha una forza atavica impressionante perchè interamente incentrato sul millenario corso della Natura e dei riti e delle tradizioni umane. Mi riferisco infatti non solo ai fenomeni naturali che di punto in bianco, senza l'arrivo della primavera, sono sconvolti con le api che muoiono, le mucche che non danno latte, la terra che non germoglia ma anche a dinamiche molto più umane.Su tutte il rito paesano di cacciata dell'Inverno con quel mucchio di legna che non prende fuoco e il presagio di qualcosa di terribile che potrebbe accadere. Ma penso anche alle bellissime sequenze dei due ragazzi che si richiamano con i fischi, un richiamo d'amore animale che si perde nella notte dei tempi. Tutto nel film ha qualcosa di atavico.
Però la situazione adesso è nuova, il paese sempre in inverno va in rovina, comincia a mancare il cibo, la gente, piano piano, impazzisce.
Probabilmente la Natura fermando il suo corso ha voluto punire un'umanità gretta e meschina. E quest'umanità gretta e meschina che vede la propria vita completamente modificata può trovare un solo colpevole, il forestiero, perchè unico ingranaggio nuovo in una macchina che da millanta anni funziona perfettamente.
Film d'immagini di infartuante bellezza (già l'incipit con quella carrellata lentissima sul tavolo è strepitosa), tanti quadri in movimento da fermarli là dove sono e guardarli e rimirarli, una regia di classe immensa.
Però la narrazione, molto frammentaria, lascia a desiderare e le minivicende al suo interno, il rapporto paese-filosofo o l'amore tra i due ragazzi arrivano a degli epiloghi con la sensazione che manchi qualcosa nel mezzo. Gli strepitosi 10 minuti finali, preannunciati da quell'uomo con la maschera e la gallina morta nel tavolo, roba da restarci secchi per bellezza, arrivano a mio parere in un modo non del tutto convincente, leggermente esagerato per quello che avevamo visto finora. E ho notato un eccesso di simbolismo che ho faticato a decifrare.
Le maschere,gli struzzi, il bambino handicappato che risponde al richiamo, le mega marionette che bruciano, tutto che brucia a dir la verità, la bambina che fluttua nell'albero.
Troppi simboli.
Forse però quegli struzzi rappresentano un nuovo inizio, la primavera.
E allora, molto strano, pare quasi che davvero quel forestiero avesse causato tutto.
Perchè, ricordiamolo, il falò non era bruciato nemmeno questa volta.
Posso tentare molte interpretazioni a tutto ma faccio fatica.
La sensazione di eccessiva autorialità non riesce a togliermisi di dosso.
Meglio godere della visione e non tentare la comprensione assoluta.

TheLegend  @  02/08/2013 04:54:07
   5½ / 10
Visivamente pregevole e ricercato ma incapace di trasmettere emozioni.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  16/07/2013 19:06:24
   7½ / 10
Si affida un po' troppo alla metafora questo film, costruito su certe traiettorie nordiche à la Von Trier/Bergman, per non dire di Haneke, ma ciò non toglie che sia un lavoro molto molto affascinante. Una fotografia letteralmente strepitosa e un climax cupo che diventa l'alienante senso dello spazio e della stagione, codifica un tema classico: la follia dell'uomo (quasi) comune in un ambiente sempre più ostile.

Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  27/06/2013 22:49:03
   5 / 10
Contento di sacrificarmi per il popolo filmscoopiano ed essere il primo (e spero l'ultimo) a vedere e commentare questo film.

Purtroppo c'è in giro un sacco di gente che si è emozionata a vedere i film di Haneke (ma potrei citare anche Von Trier e Kaurismaki) e non si sa come riesce a ottenere i fondi di ennemila enti, stati, fondazioni per realizzare robetta sulla falsariga dei cineasti europei più illustri, specialmente il già citato Haneke.
Il film parte bene, una bella storia, qualche immagine suggestiva, una perfezione tecnica (o un perfezionismo?) ammirabile, ma poi scema quando introduce il tema del film: che poi non esiste. Le Fiandre di Bruegel fanno da sfondo a una inutile e fastidiosa e noiosa storia di dolore naturalistico che, comprensibilmente e prevedibilmente, alla fine sfocia in una espiazione collettiva ai danni del solito emarginato con tanto di figlio paraplegico a carico. Non sa di Nastro Bianco, sa di già visto. Sono uscito infastidito. E per la prima volta non solo a causa della maleducazione imperante dei cinema odierni.

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