Nel 1945, a guerra finita, quattro militari sono invitati a bere in casa da uno sconosciuto che poi viene trovato ucciso. Che cosa ha spinto l'assassino?
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Bellissimo film di Dmytryk, un poliziesco che usa l'intreccio come pretesto per una forte critica sociale mostrando l'odio come movente per un omicidio da parte di un soldato da poco tornato dalla guerra, il film mostra fin da subito il reale assassino allo spettatore, mostrando anche i depistaggi che vengono attuati fin da subito, col coinvolgimento delle forze dell'ordine e di un capro espiatorio dato dal personaggio di Mitchell, che viene immediatamente considerato come il sospettato numero uno per gli eventi della sera precedente che lo hanno portato in casa dell'uomo assassinato, ma ben presto grazie alla collaborazione del fedele Keeley - interpretato dal grande Robert Mitchum - riuscirà ad essere scagionato.
Il film prende la classica struttura del poliziesco, fatto anche di flashback che mostrano gli avvenimenti della sera dell'omicidio tramite il punto di vista dei vari personaggi interrogati, ma ben presto la realtà si fa evidente e diventa progressivamente più chiara, col personaggio di Montgomery, uomo meschino e pieno d'odio, ma sopratutto antisemita, che mostra presto il suo risentimento nei confronti della vittima, di origini ebraiche, arrivando anche a uccidere il suo complice per paura possa parlare.
Pieno di sequenze al cardiopalma, mi viene in mente la sequenza di Leroy mandato dalla polizia per incastrare Montgomery e il furbo stratagemma per provare la sua colpevolezza che tiene lo spettatore col cuore in gola per come è ben gestito nei tempi e per come viene introdotto Montgomery, nel suo essere senza scrupoli.
Molto bello visivamente, parecchio aderente ai noir del periodo con queste ombre definite e spesso allungate, tra interni cupi come possono essere quelli del cinema dove si è rifugiato Mitchell o le scale dell'appartamento di Bowers, fino agli esterni tipici delle metropoli in penombra, creando una splendida atmosfera, ma probabilmente il punto di maggiore forza del film è il suo descrivere la personalità dell'antagonista, il suo odio viscerale che acceca e porta a far del male per le motivazioni più banali, nel contesto di una guerra appena lasciata alle spalle e probabilmente propone uno dei primi accenni alla sindrome post traumatica dei soldati, anche se in maniera molto vaga, ma i tempi non erano ancora maturi, in ogni caso, grandissimo film.
Odio implacabile è uno dei migliori film di Edward Dmytryk. Con un cast spettacolare e ben assemblato nei ruoli e nella definizione dei personaggi, si avverte in maniera tangibile la sensazione di straniamento del dopoguerra, di ricominciare ad avere o recuperare la vita prima di essa. Dall'altro lato la guerra era servita per incanalare l'odio verso un preciso nemico da combattere ed una volta finita, il nemico è diventato di nuovo quello che si odiava per ignoranza preconcetti prima del conflitto. Un film che il bianco e nero esalta i contrasti ed evidenzia i lati oscuri dei personaggi coinvolti.
Più che mai attuale visto gli eventi recenti negli USA. Palesemente impercettibile pure un certo sentore omosessuale. Un film bellico che diventa il più classico dei Noir, con la figura più progressista (Young il poliziotto) esposta a testimone delle idee del regista. Credo che Dmytryk fosse ebreo e in seguito ha avuto Seri problemi con la commissione McCarthy, forse a cominciare da questo film. Ottimi attori ma anche bravi comprimari, si segnala la conturbante Gloria Grahame, ancora poco nota al pubblico. I dialoghi sono ancora oggi magnifici e questo film dice più cose sul razzismo di qualsiasi altro. Fa riflettere, e sono trascorsi circa 80 anni. Da vedere assolutamente
Attualissimo noir/poliziesco atipico, che tocca tematiche difficili col pretesto della trama poliziesca. Bellissimi i tagli d'ombra, soprattutto nel meraviglioso incipit e nella misteriosa scena del "marito" di Ginny. splendido poi il monologo sull'odio del commissario. Una piccola e misconosciuta perla di quel fantastico decennio cinematografico che sono stati gli anni '40.
Più che il tema delicato del reinserimento sociale dei soldati di ritorno dalla guerra in questo film mi hanno colpito i dialoghi ad effetto e l'atmosfera malsana che si respira a pieni polmoni, merito di alcuni personaggi tanto ambigui quanto affascinanti. Non parlo dei protagonisti Ryan e Mitchum, abbastanza scolastici nelle proprie performance, quanto della Ginny della Grahame, entreneuse arrabbiata col mondo ma dal cuore gentile, il suo debole ed assillante marito ( credo ) e soprattutto all'insolito capitano di polizia tratteggiato da Young, un fine psicologo che quando interroga i sospetti non chiede neanche le generalità. I flashback soggettivi apportano alla vicenda punti di vista differenti con l'effetto però di intorbidire ancora di più i fatti. Anche se la mano del regista è sicura forse si poteva fare qualcosa di meglio. Resta una pellicola discreta.
Un noir travestito da giallo girato in bianco e nero. Tra tutti questi colori, il film è una chiara denuncia sul razzismo, l'antisemitismo di soldati tornati dal fronte e psicologicamente provati dalla guerra. Il regista trae spunto da un romanzo di Richard Brooks imbastendo una storia cupa e tragica, forse però troppo poco articolata anche se discretamente interpretata e diretta. Cast abbastanza convincente, ritmo senza cedimenti, linearità accettabile anche se forse il finale sembra essere troppo sbrigativo. Comunque una discreta visione che certamente non annoia e riesce ad attirare l'attenzione di chi guarda.