tomboy (2011) regia di Céline Sciamma Francia 2011
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tomboy (2011)

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locandina del film TOMBOY (2011)

Titolo Originale: TOMBOY

RegiaCéline Sciamma

InterpretiZoé Héran, Malonn Lévana, Jeanne Disson, Sophie Cattani, Mathieu Demy

Durata: h 1.24
NazionalitàFrancia 2011
Generedrammatico
Al cinema nell'Ottobre 2011

•  Altri film di Céline Sciamma

Trama del film Tomboy (2011)

Laure si trasferisce con i suoi genitori e sua sorella minore in una cittadina in cui non conosce nessuno. Quando incontra Lisa, una ragazzina della sua stessa età, si fa passare per un maschio e così Laure diventa Mickaël e inizia sperimentare e a condividere il gioco con gli altri ragazzi.

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Voto Visitatori:   7,30 / 10 (45 voti)7,30Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
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Voti e commenti su Tomboy (2011), 45 opinioni inserite

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Burdie  @  12/02/2012 22:54:13
   6½ / 10
...giustamente....un film francese

1 risposta al commento
Ultima risposta 12/02/2012 23.58.47
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Gruppo COLLABORATORI martina74  @  31/10/2011 10:38:56
   8 / 10
Davvero un piccolo miracolo.
Delicatissimo tratteggio di quel difficile mestiere che è crescere, con la voglia di essere accettati, la difficoltà di riconoscere la propria identità, il desiderio di far parte di un gruppo, l'ansia di non essere mai al posto giusto.
Lo splendido visino di Zoé Héran interpreta tutte le tonalità di una bambina che si sente altro e che ha voglia di essere accettata per come è, pur con la spada di Damocle di un appuntamento cruciale come l'inizio della scuola, in cui il castello di carte cadrà. Le espressioni meravigliose e meravigliate della protagonista e lo sguardo neutro eppure tenerissimo della regista ci trasportano letteralmente dentro il film, in un'empatia totale con i palpiti di quel cuore giovane, entusiasta e spaventato.
Tomboy è un film che mi ha profondamente commossa, "piccolo" eppure sconvolgente, uno sguardo sull'infanzia difficile da dimenticare.

3 risposte al commento
Ultima risposta 31/10/2011 10.57.17
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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  18/10/2011 16:45:58
   9 / 10
Meraviglioso. Non concordo con chi l'ha paragonato alla poetica di Truffaut; io trovo che in comune abbiano solo il fatto di essere francesi. Certo la paternità artistica di un gigante d'oltralpe quale il regista de I 400 Colpi è sicuramente sentita da chiunque in area francese si cimenti con la macchina da presa, tuttavia la Sciamma ha fuor di dubbio stile e tematiche fortemente personali, le quali lo allontanano da un qualsiasi legame con il grande tirato in causa. La storia di Tomboy è infatti aliena dalla verginea levità poetica delle favole di Truffaut, il quale certo si cimentò nella narrativa d'infanzia, ma con intenti del tutto diversi: I 400 Colpi fu una critica al sistema sociale, che partiva dalla visione straniante dell'Infante per appunto farne risaltare l'incongruenza, l'ipocrisia e la meschinità di fondo. Questo fu un trenta e lode del Maestro, il quale ritentò la genialata con il brutto e inutile omaggio alla genuinità del mondo infantile che fu Gli Anni in Tasca. Non c'era profondità, non c'era tensione nel film. Ingredienti ineludibili al contrario del poetico dramma propostoci da Celine Sciamma, nel quale i bambini sono già incredibilmente adulti (su tutti la piccolissima Jeanne, protagonista di uno dei più angoscianti fotogrammi della storia del Cinema, mi riferisco a lei seduta e triste mentre la sorella/fratello è a giocare con Lisa), nonostante conservino la propria caratteristica spontaneità. Visivamente straordinario, questo piccolo e coraggioso capolavoro del cinema indipendente francese ci restituisce una visione disincantata e profonda della sessualità pre-adolescenziale. Ma tutto ciò è raggiunto con un livello artistico di chiara grandezza: la macchina da presa, la fotografia e il montaggio, nonché l'imprescindibile anche se rarefatta colonna sonora, sono veri e propri reagenti di un'opera che si carica sempre di più di significati artistici ed esistenziali, fino a una climax di grandissima violenza psicologica (ma gli equilibri sono mantenuti con grande sapienza, al punto che è davvero arduo giudicare ogni singolo personaggio, a partire dalla madre) che poi, e qui è la grandezza del film e del Cinema in generale, si stempera in un finale dall'alto valore poetico e contenutistico. A mio parere, la forza della sceneggiatura sta proprio nella scelta delle sequenze narrative: non si eccede nella dimensione morbosamente sociale del dramma sessuale della protagonista, né in quello più specificamente psico-biologico, non vi si riscontra manierismo di sorta nel dipingere una complessa situazione esistenziale, ma si dà grande risalto alle relazioni famigliari e amicali. Questo è un film pacato e giudizioso, che afferma ciò che ha capito della vita senza presunte superiorità ideologiche, che accenna a tematiche molto scottanti con incredibili tatto e sapienza visivo-narrativa. Un film che diverte, che fa pensare, che non stanca dall'inizio alla fine. Un film carico di emozioni, sentimento e riflessività. Film così dovrebbero essere fatti più spesso.

3 risposte al commento
Ultima risposta 19/08/2012 12.02.28
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  15/10/2011 03:10:17
   8½ / 10
Quando si vive una preadolescenza travagliata capita che a distanza di anni ci si arrovelli sulle ragioni, ci si smarrisca nella reminiscenza, nella ricerca del trauma perduto. Questo fino a constatare, nella maggior parte dei casi, che quel trauma di fatto non esiste. Che un certo sentimento consegua sempre ad un certo fatto è una concezione sbagliata, o per lo meno inverosimile. Siamo dotati di un'impronta congenita, l'indole, che comporta evoluzioni caratteriali a sé stanti, indeterminate ed incausate. Convincersene è necessario, al di là della verità, o il dolore, lo straniamento della crescita, vissuti talvolta con un eccesso di sentimento, sarebbero incomprensibili, o meglio intollerabili nella loro forma di ricordo.
Alla luce di questo, "Tomboy" è un piccolo miracolo. E' la dimostrazione che il cinema può raccontare senza spiegare, restituire la complessità della maturazione senza tentare introspezioni psicologiche pretenziose, oltre che inevitabilmente false e sommarie (il mio calco personale infatti comporta la mia crescita, uguale a nessun'altra).

Laure si comporta da maschiaccio. Si tratta di una "posa" ovviamente, anche se consapevole e tutt'altro che ludica. Quando non si ha ancora un'identità ci si identifica con l'altro, più precisamente con qualcuno cui istintivamente ci si sente affini. Laure non ha per forza di logica un'omosessualità latente (sarebbe fin troppo semplicistico trarre questa conclusione), conserva altresì una particolare femminilità, una grazia speciale che Lisa sembra intuire, fino ad esserne inconsciamente attratta.
Notevole è la sensibilità nell'inscenare l'atteggiamento dei genitori, sebbene il rischio di aderire agli stereotipi sia dietro l'angolo. Il padre sembra quasi compiacersi della mascolinità della figlia, ciò non di meno lo vediamo abbracciarla con autentico affetto. La madre è assorbita dalla gravidanza, ma ritaglia momenti di ascolto e carezze per la bambina. E' quella di Laure una famiglia imperfetta, ma in fin dei conti sana. Quando la situazione precipita, le reazioni sono magari inadeguate, ma assolutamente credibili e comunque non biasimabili (è proprio vero che "per capire qualcuno bisogna mettersi nelle sue scarpe e provare a camminarci"). La figura più debole si dimostra quella del padre: non sa cosa fare, è impotente ed inetto di fronte al dramma della piccola. La madre invece non smentisce il senso pratico femminile: agisce. Risulta sgradevole, antipatica, ma attua un aiuto concreto. Il suo errore non sta tanto nel gesto, brutale ma inevitabile, quanto nelle parole che l'accompagnano: "Non mi da' fastidio che giochi a fare il ragazzo. E non mi fa neanche pena ". Se l'ultima frase è di una delicatezza sorprendente, quel "giochi" sottolinea una lontananza incolmabile fra l'adulto e la bambina. Fare il ragazzo per lei non è un gioco, non nell'accezione spensierata che gli si da' comunemente. Nelle scene che ritraggono gli incontri di Laure con i compagni c'è di fatti un'ansietà palpabile, un senso d'angoscia sfiancante. Lo spettatore sa e l'immedesimazione con il personaggio è totale, quasi insopportabile.
Pur non ricercando cause, pur non avendo la presunzione di attribuire colpe, Céline Sciamma non manca di affermare, indignandosene, la solitudine dell'infanzia.

2 risposte al commento
Ultima risposta 15/10/2011 21.07.36
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