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Un potente connubio tra lo sperimentalismo pittorico di Derek Jarman e le lacerazioni dell'operetta lirica di Benjamin Britten che dà il titolo al film. Le regole della narrazione cinematografica tradizionale vengono abbattute, e s'infonde un potentissimo sentimento pacifista all'alternanza senza giunture di curatissimi tableau vivants e reali, inquietantissimi filmati di guerra. Il piano-sequenza di cinque minuti in cui Tilda Swinton si intreccia i capelli, convogliando tutte le più contraddittorie emozioni umane, vale da solo la visione; i frammenti in cui ella condivide la scena con un visibilmente malato Lawrence Olivier (alla sua ultima interpretazione) hanno tutto l'acre sapore di un toccante passaggio di consegne tra generazioni di attori.
Bisogna essere, ad una certa, pragmatici: un film così non può mai influenzare il musical ed è un'occasione sprecata. Derek Jarman, influenzato dalla recente partecipazione ad un musical collettivo, si inebria lavorando in questo WAR REQUIEM, sperimentando i simbolismi, le inquadrature fisse e portando avanti il lavoro sul collage cinematografico, con immagini documentaristiche. A prevalere è però l'idea del musical teatrale, che spezza un po' (tanto) i toni e appiattisce tutto, uscendo ferito e sconfitto dal frullato di idee visive diverse che l'autore elabora.