Due studentesse rumene, Otilia e Gabita, dividono la stessa stanza in un dormitorio per studenti universitari, durante gli ultimi anni di comunismo in Romania. Un giorno Gabita scopre di essere incinta...
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Il "grigiore brezneviano" della Romania degli anni '80 è, in questo film, lo sfondo scenografico e morale nel quale si muovono le due protagoniste. Si tratta di un grigiore avvolgente, che penetra nei corpi e nelle menti della gente e li annienta, li tramortisce. Nebbia, sporco, miseria. Funzionalità esistenziale per il regime: è la repressione che sembra annidarsi in quello stesso grigiore immobile, anche se in giro non si vede nemmeno un poliziotto, un soldato, un simbolo di partito. Non c'è traccia del regime perché esso è dappertutto, persino nell'aria fredda che si appiattisce su quel microcosmo come una cappa insovvertibile. Ciò che la regia mostra è un'azione svolta esclusivamente in periferia, tra edilizia sovietica popolare, decadenza a profusione, vecchi tram e auto tutte uguali (la mitica Dacia!). In ogni caso, il senso di privazione e costrizione è reso magistralmente senza l'aggiunta di altri elementi narrativi e scenografici. La denuncia storico-politica è tutta nel volto di Otilia e nella disperazione di Gabita, nella pacata tracotanza dell'infermiere (medico?) e nell'espressione spaesata del fidanzato di Otilia. Nel sordido collegio in cui le due amiche vivono si traffica in beni di ogni genere, tutti dall'ambiguo appeal occidentale. Ogni ragazza ha le proprie esigenze riguardo ai prodotti e il mercato nero e la vendita clandestina cercano di soddisfare i desideri che alle loro coetanee d'oltre cortina è semplice scelta sugli scaffali dei supermarket o delle farmacie. La regia predilige gli ambienti chiusi, sicuramente per ragioni oggettive di difficoltà nella ricostruzione storica degli scenari (nell'immobilismo rumeno qualcosa in 20 anni sarà pur cambiata), ma anche per dare maggiore credibilità e forza al concetto di chiusura e di oppressione che permea tutta la vicenda. Se si escludono brevissimi frammenti di esterni, tra i palazzoni di periferia - che in ogni parte del mondo sono sempre gli ultimi posti a recepire i cambiamenti migliorativi -, il film si svolge in interni sempre piuttosto asfittici: il collegio, i tram affollati (dove si corre il rischio di essere multati), le stanze e le hall degli alberghi (anch'essi sordidi e decadenti), la casa del fidanzato di Otilia. Le scene sono spesso lunghe, in pianosequenza, come quello strepitoso (che vale davvero la Palma d'Oro a Cannes) della cena a casa dei genitori del fidanzato: una camera fissa, frontale sul volto di Otilia, riprende i dialoghi tra tutti gli invitati raccolti attorno a un piccolo tavolo e disposti quasi a semicerchio. Un'ultima cena angosciante, per la protagonista, completamente estranea al contesto, per il pesante "segreto" che l'affligge e la spocchiosa futilità dei discorsi che i convitati allestiscono prendendo spunto dalla presenza dei due ragazzi. Otilia occupa una posizione centrale, i dialoghi sono rivolti a lei che è la nuova arrivata, ma alla ragazza tutto sembra scorrere davanti senza traccia di ricezione. Nell'accumulo di disagio, lo squillo del telefono, atteso da Otilia, è un ulteriore elemento di distacco dalla realtà; Otilia non può muoversi, è appena arrivata in quella casa e sarebbe alquanto fuori luogo che un'ospite appena conosciuta si alzi per rispondere al telefono. Eppure Otilia d'istinto ha un accenno di reazione, di volontà che la fa quasi scattare per andare al telefono, già sicura che dall'altra parte ci sia l'amica che ha bisogno di lei. Ci ripensa, in attesa speranzosa che qualcuno della casa si alzi per rispondere. Niente, nessuno si muove, il telefono continua a squillare, ma tutti sono presi dai loro discorsi. "In Romania tutto è fermo, in Romania tutto è immobile", tanto per parafrasare gli Offlaga Disco Pax. Otilia e Gabita sono due amiche che condividono la stessa stanza in un collegio per studenti a Bucarest. Di loro sappiamo che provengono dalla provincia. Durante la cena Otilia dice di provenire da Galati, città sul Mar Nero, e di essere figlia di un istruttore militare. Una famiglia modesta, rispetto a quella colta del suo fidanzato: nonostante il principio di uguaglianza rappresentato e perseguito dal regime, nella società rumena di fine anni '80 la laurea e il ceto d'appartenenza scandiscono ancora una sostanziale (sospirata?) differenza di classe. Otilia e Gabita non sono bellissime, ma semplici ragazze come tante. Gabita è incinta e un figlio proprio non può permetterselo. E' disperata e vuole abortire ad ogni costo. Ma in Romania l'aborto è vietato [sarei curioso di sapere com'è l'attuale legislazione rumena al riguardo... nda], così come la contraccezione: è la politica delle nascite attuata dal regime secondo un famoso decreto emanato negli anni '60; non resta che rivolgersi a un medico e operare clandestinamente. Ma l'aborto ha un prezzo troppo alto. La disperazione di Gabita è pari solo alla determinazione e generosità dell'amica, Otilia: sua è la repentina, inimmaginabile e precipitosa discesa agli inferi. Il ricatto dell'infermiere (ma non è dato sapere cosa faccia realmente nella vita quest'uomo, che pur si dichiara "limpido" e pulito, senza nulla da nascondere), che alza il cachet sulla base del rischio, nel suo esplicitarsi sordido e arrogante, non è meno devastante di quello subdolo ed egoistico di Gabita. Della "colpa" di Gabita non resterà più traccia; ma si può dire la stessa cosa per l'umiliazione dell'amica Otilia? "Non parliamone più": con questa sentenza/preghiera la protagonista tenta di seppellire tutta la dolorosa vicenda. Girato con stile asciutto che ricorda in alcuni frangenti il cinema dei Dardenne, il film di Cristian Mungiu di certo non risparmia crudezze. Intelligentemente, non si ferma a una facile denuncia degli orrori del regime di Ceausescu, ma scandaglia oltre nelle buie viscere della società rumena abbrutita da quel regime.