La quinta stagione del secondogenito di Kurt Sutter, creatore di quel capolavoro che è "The Shield", per chi ancora non lo conoscesse, si è da poco conclusa. Le premesse non erano delle migliori, se si considera il finale alquanto debole della quarta, in cui si ha la chiara sensazione che si sia trovato un
escomotage di bassa lega per poter portare avanti una storia che sembrava essere giunta al suo climax. Quella sensazione resta in questi ultimi 13 episodi, tuttavia c'è anche dell'altro. C'è che Sutter con la sua solita maestria è riuscito comunque a metter su un'altra parentesi di tutto rispetto, in cui i personaggi evolvono ulteriormente. Ora non starò qui a scrivere di pro e contro, di se e quanto la quinta stagione sia valida, del fatto che siano state ordinate addirittura altre 2 stagioni, ma vorrei più che altro fare un paio di considerazioni su un aspetto che accomuna "The Shield" E "SOA", su un aspetto che si può quindi attribuire in generale allo stile di Kurt Sutter. Mi riferisco, nello specifico, alla capacità di tirar fuori il marcio dai suoi personaggi, o meglio alla capacità di tirarlo fuori dall'inizio ma di farne sentire il tanfo solo più tardi. Nelle varie stagioni di "The Shield" si tifa per Vic, non si discute. E' il protagonista, lo si vuole veder vincere, lo si vuol far sopravvivere, ci si sofferma solo sugli aspetti più umani che lo rendono degno di comprensione, sparsi intelligentemente qua e là all'interno della sceneggiatura. Verso la fine però succede qualcosa, si alza di colpo un'atmosfera maleodorante, Vic resta il bastardo che è, ma sembra quasi che adesso lo spettatore non si limiti più a prenderne atto, ma ad avvertirne il cattivo odore. Ci si rende conto di non parteggiare più per lui, ma di provare per lui la stessa compassione che si prova per un miserabile che si avvicina giustamente alla fossa che si è scavato. Più in generale anche la storia passa dall'essere avvincente e adrenalinica all'assomigliare più ad una tragedia, senza speranza, a tratti opprimente (la scena di Shane,a tal proposito, resta uno dei punti più alti mai raggiunti dal mezzo televisivo). Anche in questo caso lo si sapeva già da prima, ma solo più tardi, quando lo decide Sutter, lo spettatore comincia ad accusare l'aspetto più nero della storia. Questo è l'elemento in assoluto, parere di chi scrive, più riuscito dell'ultima stagione, che è a sua volta, guarda caso, strepitosa.
Nella quarta stagione di "SOA" Sutter fa la stessa cosa. Comincia a tirar giù le maschere, a spogliare i suoi personaggi, a privarli di quel loro apparire, nonostante tutto, ed è il caso di sottolineare “nonostante tutto”, accattivante. Ogni singolo carattere comincia a mostrare i suoi limiti, a far arrivare dall'altra parte una sensazione non più gradevole come prima. Nella quinta stagione Sutter mette in questo senso la quinta, frantuma la superficie sulla quale si muovono i suoi protagonisti, li lascia lì in caduta libera. Anche l'ombra di una qualche salvezza inizia a svanire. E così quell'odore nauseabondo di cui sopra comincia ad avvertirsi chiaramente anche qui, è lo stesso, Sutter sembra adorarlo, e non si può fare a meno di subirne il fascino, perché usato alla perfezione. L'intera stagione è una discesa inesorabile, un crollo continuo di castelli di carta, di volti che non riescono più a guardarsi allo specchio, che si mostrano con una certa difficoltà sapendo che la loro parte più penosa è ormai all'esterno e sotto gli occhi di tutti. Anche gli atteggiamenti in apparenza altruistici non sembrano più tali, sembra che nessuno faccia più niente se non per sé (stupenda la scena di Tig/Jax/Pope nelle ultime puntate). La solitudine la si respira chiaramente, la si respira ovunque, che sia in una stanza vuota o al tavolo circondato dai membri di SAMCRO.
In questo Sutter sembra infallibile. Riesce come pochi a trasformare la consapevolezza in sensazione, riscrivendola e rendendola realmente tale. Arriva un punto durante i suoi racconti in cui sembra si sia riusciti finalmente ad aprire gli occhi e a guardare il vero volto di ciò che si è avuto davanti per varie stagioni, e non più semplicemente a sapere che è lì. Ovviamente, non poteva Sutter perdere l'occasione di chiudere la stagione con un inno a quanto scritto fino a questo momento: si serve di una versione meravigliosa di “
Sympathy for the Devil” dei Jane's Addiction, di un testo che più adatto non poteva essere e mette su una scena conclusiva che, come al solito, difficilmente sarebbe migliorabile.
"
So if you meet me
Have some courtesy
Have some sympathy, and some taste
Use all your well-learned politesse
Or I'll lay your soul to waste"
Generalmente guardando storie di questo tipo capita di fantasticare un po'. Anche con SOA. Moto, fughe, andrenalina. Al termine della quinta no, non più. "
It ain't fun anymore".
Era difficile riprendere da un finale debole come quello della quarta. Sutter c'è riuscito.