Voto Visitatori: | 4,97 / 10 (152 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 4,00 / 10 | ||
Babylon Babies è un romanzo di Maurice Dantec, classificato come un thriller futuristico. La storia avvincente, ambientata in un futuro non troppo distante, si candida spontaneamente ad essere bersaglio di corteggiamenti cinematografici. Invalidato più volte sotto il giudizio di inadattabile, ha tenuto per un po' testa alle "grinfie" di produttori e registi, finché l'impavido Mathieu Kassovitz non rompe la tregua e decide di raccogliere la sfida, cimentandosi nella trasposizione cinematografica.
L'inadattabilità dello scritto pare risolversi nei progetti di Kassovitz con semplicità sbrigativa. Egli stesso dichiara infatti: Ogni persona che legge un libro lo legge in modo diverso. Leggiamo le stesse parole, ma il nostro cervello funziona in maniera diversa. Quando guardiamo un film, invece, vediamo tutti le stesse cose. Il mio compito era quello di imporre la mia visone del libro, e la sfida era riuscire a condensare 600 pagine in 90 minuti di film. Partiamo da questo presupposto e procediamo con ordine.
In un futuro prossimo, il mercenario Toorop accetta dalla mafia russa l'incarico di portare una ragazza fino a New York in sei giorni. La ragazza si trova in un convento in Mongolia, dal quale verrà prelevata con la sua tutrice; gradualmente il soldato conoscerà la situazione e capirà che la missione è più complicata del previsto, non potendo prevedere cosa sia giusto o no: consegnare la ragazza o lasciarla fuggire.
A primo acchito, per chi il libro non l'ha letto, la vicenda sembra potersi reggere sul genere d'azione con ingredienti interessanti per riuscire in pieno. Per coloro che invece hanno affrontato la lettura di Babylon Babies appare qualcosa di diverso e confuso. Kassovitz mette da subito le mani avanti parlando di libera ispirazione al romanzo e, a cose fatte, sarà il primo a lamentarsi della riuscita del film, incolpando la Fox di non aver rispettato le sue volontà di regista e di aver stravolto il progetto, sia sul montaggio che sul finale.
A prescindere dalle presunte o fondate affermazione del regista, che sembra più aver lacrime da coccodrillo che non valide prove di scavalcamento decisionale, è indubbio lo sconvolgimento attuato sulla trama. Il fulcro di tutta la storia è la ragazza, misterioso elemento che va protetto fino all'arrivo a destinazione. La Marie Zorn del libro diventa magicamente Aurora, e, da ragazza che porta con sé qualcosa di prezioso e pericoloso per tutti, diviene un'incantevole prodotto biotecnologico che soffre di schizofrenia ad uno stato avanzato. La destinazione, che era Montreal, cambia in New York: perché mai perdere l'occasione di americanizzare ogni storia, sponsorizzando così un già sfacciato USA-centrismo? La vicenda, completamente snaturata, potrebbe prendere una via sua e divenire un progetto a se stante, ma è troppo debole per arrivare ad un simile traguardo.
In un susseguirsi frenetico di scene d'azione, con inseguimenti ben costruiti e combattimenti appena accennati, s'intravedono sporadicamente barlumi di trama che affannosamente emergono nel marasma generale. Il mercenario Toorop, un Vin Diesel in versione di uomo-che-non-deve-chiedere-mai, recepisce informazioni di diverse origini e credibili quanto le lamentele del regista: la fonte è la suddetta tutrice di Aurora, tale suor Rebecca, interpretata da Michelle Yeoh, tristemente chiamata in causa per apportare un buon feedback ai combattimenti. I due attori destreggiano con dignità le falle della sceneggiatura, cercando di rendere convincente una realtà campata completamente per aria. I dialoghi non riescono a giungere mai ad una conclusione sensata, se non quella di provare ad attendere un esito finale in cui si possa sperare una spiegazione logica.
Affermazioni senza capo né coda corrono noncuranti tra le battute dei due, causando maggior confusione nella testa dello spettatore. Ogni tanto una finta battuta "ad effetto" fa capolino dalle labbra di Vin Diesel, senza trovarne conferma nei fatti. L'angelica Aurora, interpretata dalla bellissima Melanie Thierry, è una stramba combinazione di figure topiche: la martire-santa religiosa, che ha compassione per le vite che soffrono e che vede passare davanti ai suoi occhi, il prodotto scientifico di perfezione cerebrale, la donna fragile che vuole una vita normale, la schizofrenica con allucinazioni incontrollabili. Gli sceneggiatori non avevano deciso esattamente che connotazione dare al personaggio e hanno pensato bene di infilarci ogni elemento che più stuzzicava la loro fantasia. Tra i personaggi secondari i genitori-creatori di Aurora appaiono inutilmente ai nostri occhi: un padre studioso (Lambert Wilson), dalla levatura morale di un foglio di carta, scienziato pazzo mal riuscito, lucido e per questo poco geniale; una madre robotica (Charlotte Rampling) a capo di una setta religiosa che punta alla prolificazione dei fedeli, senza riuscire ad impressionare nemmeno un muro tanto poca è la convinzione della sua malvagia determinazione. Kassovitz si pregia anche della partecipazione di Gérard Depardieu nel ruolo del boss russo Gorsky, anche lui inutilmente chiamato in causa.
La storia voleva, su un'impostazione da action movie ben equipaggiato, ambire ad alti significati. L'idea della manipolazione genetica attraverso la biotecnologia era uno spunto adatto su cui infarcire un'ambientazione futuristica, così come le armi virali, minaccia sempre all'erta. La poca convinzione e la conseguente inappropriatezza nell'affrontare tematiche soltanto accennate è da reputarsi peggiore in vista dell'altro aspetto su cui si voleva premere: la questione apocalittica e religiosa. Il film s'intitola Babylon A.D. (il regista dice di averlo cambiato rispetto al romanzo per rendere più evidente la connotazione babelica del mondo), suggerendo un richiamo a quella Babilonia biblica distruttiva e meretrice. L'idea ha funzionato più nel trailer di presentazione, in cui si è attirati da una tale proclamazione, che non dagli avvenimenti rappresentati: di tragicamente apocalittico non si vede granché, al contrario la caratteristica biblica che voleva la storica città in preda alla confusione (almeno questa) c'è tutta, ma è probabile che sia involontaria.
Sono estremamente evidenti i richiami a film di maggiore spessore e motivazione: Luc Besson appare vergognosamente imitato ne Il quinto elemento con la figura della ragazza e del bullo al seguito, Mila Jovovich e Bruce Willis, come anche la sua Giovanna D'Arco, sempre la Jovovich, ripresa goffamente nei deliri di Aurora. Inoltre si può accostare l'energico End of Days con Arnold Schwarzenegger, in cui una ragazza deve essere protetta dall'avvento di una profezia apocalittica; in Babylon A.D. si accenna a connotazioni finto-bibliche utilizzate con meno decoro del suddetto film.
Mathieu Kassovitz è quello che più di tutti ne esce indebolito. L'enfant prodige del cinema francese, meravigliosamente esordito con il capolavoro L'odio, incespica in un volo icarico. Questa non può che essere definita come una caduta di stile senza mezzi termini. Altri lavori prima non ebbero il fascino e lo spessore del suo primo film, tra cui I Fiumi di porpora e il suo primo lavoro hollywoodiano, cosiddetto di rodaggio, Gothika, ma i risultati furono decisamente più dignitosi. Kassovitz in un'intervista rivela fieramente di aver avuto carta bianca dall'autore del romanzo, che pare essersi fidato ciecamente del suo estro e delle sue doti di regista. Viene lecito supporre che il fiducioso Dantec sia stato poco lungimirante e abbia cambiato idea in merito.
A strappare l'ultimo brandello di decenza al film c'è l'invadente presenza di una multinazionale. La Coca-Cola troneggia impunemente in numerose inquadrature, senza che si possa credere che voglia subliminalmente indurre al suo consumo. E' scandaloso e imbarazzante per una qualsiasi opera cinematografica piegarsi così servilmente agli sponsor. Ormai appaiono spesso quelle che blandamente vengono definite pubblicità occulte, ma in questo caso siamo di fronte all'appropriazione soverchiante di uno spazio artistico (almeno in teoria) che diviene misero mezzo commerciale. Inutili le giustificazioni sulla convenienza di far combaciare un fine economico con la volontà di rappresentare la presenza di un prodotto nella società come dato di fatto: eticamente nobile sarebbe stato inventare un brand posticcio per l'occasione.
Riassumendo, Babylon A.D. è un prodotto completamente artificiale, freddo e demotivato, capace di attirare fugacemente l'attenzione del pubblico grazie ad una buona scansione ritmica di scene d'azione. Il resto è vago e incerto, debole nelle intenzioni, passivo nella realizzazione.
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Recensione a cura di ele*noir - aggiornata al 21/07/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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