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"Io odio questo cazzo di paese: puliamo le loro case, gli facciamo trovare tutto pronto, cresciamo i loro figli e per loro è come se fossimo invisibili".
"We want bread and roses, too" è lo slogan vecchio di quasi cento anni, che ha accompagnato le lotte sindacali delle operaie del settore tessile di Lawrence (USA) del 1912.
Con questo slogan, successivamente ripreso negli scioperi sindacali dei lavoratori, le operaie di Lawrence oltre a condizioni di lavoro migliori (il pane) chiedevano anche condizioni di vita più dignitose (le rose).
Le manifestazioni delle donne di Lawrence, che marciavano cantando e con striscioni con su scritto lo slogan che le rese famose nel mondo, rappresentano uno dei momenti più importanti del movimento operaio americano.
Lawrence, nel Massachusetts, era un centro tessile molto importante e meta di un incessante flusso migratorio proveniente dal Nord Europa (soprattutto irlandesi, tedeschi e scozzesi) e successivamente, a partire dai primi anni '90 del XIX secolo, anche dal Sud e in particolare dall'Italia.
A Lawrence le paghe degli operai erano diversificate secondo la componente etnica di appartenenza, per cui agli italiani del Sud erano riservate le paghe più basse e le condizioni di vita peggiori.
Il grande sciopero del 1912 colpì molto l'opinione pubblica americana, diventando l'emblema delle lotte operaie e rappresentò l'inizio di un percorso che portò al riconoscimento di piena dignità e parità agli italiani, fino ad allora considerati servi dei padroni e crumiri.
Nel 2000 Ken Loach ha realizzato un bel film, che nel titolo prende in prestito quello slogan, per raccontarci un'altra battaglia: quella combattuta dal movimento "Justice for Janitors", ovvero dagli addetti alle pulizie di un grande grattacielo di Los Angeles di proprietà del più importante studio di avvocati dei divi di Hollywood e sede di rilevanti uffici finanziari.
Le pulizie dei locali erano state appaltate ad un'impresa che aveva l'abitudine di pagare ai suoi dipendenti (quasi tutti immigrati clandestini) uno stipendio di fame, non concedendo loro diritti sindacali, né ferie retribuite e assistenza sanitaria.
Loach ci ha abituati da anni ad una serie di ritratti i cui personaggi, quasi tutti appartenenti alla "working class", sono spesso emarginati, senza lavoro, sfruttati dalle imprese e dal capitalismo industriale.
Con "Bread and Roses" Ken Loach per la prima volta si trasferisce al di là dell'oceano per raccontarci l'altra faccia del "miracolo americano"; quella che di solito il cinema hollywoodiano non ci mostra, fatta di condizioni di lavoro precarie, di licenziamenti facili, di attivisti sindacali vessati, di salari che non aumentano da anni, di milioni di persone che vivono senza contratti, senza contributi, senza assistenza sanitaria e senza alcun tipo di assicurazione.
Ken Loach ci mostra questa gente e il brutale sfruttamento cui sono sottoposti sul posto di lavoro, a cui si aggiunge la crudele usurpazione dei loro diritti e la persecuzione da parte dell'apparato statale dei lavoratori senza permesso di soggiorno.
In questo film Ken Loach ci racconta questa verità, in un'America di immigrati che non è più l'America del "grande sogno americano".
E immigrati sono la maggior parte degli addetti alle pulizie: un esercito silenzioso, che la notte invade i grattacieli per pulire gli uffici che di giorno i "colletti bianchi" hanno sporcato, e che ora manifestano per le strade di Los Angeles chiedendo "Justice for Janitors", per ottenere un salario più remunerativo e condizioni di lavoro più dignitose.
"Vogliamo il pane e anche le rose" è il loro slogan.
Oggi come tanti anni fa.
E le rose sono la loro dignità, spesso barattata con il bisogno, il silenzio mercanteggiato con il ricatto, perché è facile essere rimpiazzati quando i disperati che si accontentano del pane sono tanti, mentre le rose sono per pochi e non sono certo irregolari.
Come Maya, giovane messicana che arriva clandestinamente in California e ancora prima di entrare sperimenta le gioie del capitalismo, rischiando di essere stuprata dai "coyote" che le hanno fatto passare il confine (il muro di Tijuana) e più tardi quando è costretta a lasciare la prima busta paga al datore di lavoro per ottenere i documenti che le permettono di non essere espulsa.
Ma Maya, che è una ragazza energica e determinata, capace di badare a se stessa e fronteggiare le situazioni più incresciose, dopo aver superato lo scoglio iniziale, riesce ad entrare negli Stati Uniti, dove raggiunge la sorella maggiore Rosa, che ha trovato lavoro a Los Angeles come donna delle pulizie in un grande grattacielo della città.
Rosa vive nella "città degli angeli" da anni, è sposata con figli, ma il marito, che è malato di diabete ed ha perso il lavoro e la copertura assicurativa, ha bisogno di cure costose che si portano via la maggior parte dello scarso salario che la ditta le corrisponde.
Nonostante ciò, Rosa riesce a far assumere la sorella minore presso la stessa impresa per la quale lei lavora, alle stesse condizioni capestro imposte dal responsabile dei dipendenti, un uomo esoso ed inflessibile che tratta i lavoratori con durezza e rigidità, imponendo loro orari notturni assurdi e paghe ridotte al minimo.
Nessuno protesta per paura di essere licenziato, ed anche Maya, a malincuore, sembra accettare la situazione.
Ma quando negli uffici conosce il sindacalista Sam, che si è introdotto clandestinamente per cercare l'elenco dei lavoratori addetti alle pulizie, attratta anche fisicamente da lui, capisce che lo deve seguire nel suo progetto.
Sam è un giovane anarcoide e idealista, impegnato nella lotta contro le imprese di pulizia che sfruttano i lavoratori clandestini e non rispettano gli accordi sindacali.
Sam cerca di coinvolgere gli altri lavoratori nella battaglia di rivendicazione del loro diritti, ma le reazioni di questi sono contrastanti: se alcuni si mostrano interessati a seguirlo, tanti altri, per paura di perdere il posto di lavoro, si mostrano riluttanti, preferendo il poco al nulla.
Tra questi c'è anche Rosa, che racchiude in sé tutti i drammi e le tragedie degli emigranti.
Decisa a difendere quel niente che è riuscita a strappare, caccia di casa Sam che nel frattempo si è innamorato di Maya.
Tra le sorelle i rapporti si fanno sempre più critici, fino a sfiorare la rottura quando si scopre che era stata proprio Rosa a denunciare alcuni lavoratori, licenziati dal responsabile dei dipendenti.
Poco dopo Maya ruba dei soldi in un negozio, che servono per pagare gli studi universitari a Ruben, un giovane compagno di lavoro innamorato di lei. Intanto Sam continua la sua opera di proselitismo tra i lavoratori e organizza un corteo di protesta davanti alla sede degli uffici chiedendo appunto "bread and roses".
All'arrivo della polizia si scopre che su Maya pende l'accusa di furto e pertanto, in qualità di clandestina, viene espulsa dal paese e accompagnata alla frontiera.
Dal pulmino che la porterà oltre confine saluta i compagni di lotta e la sorella, con la quale ha avuto modo di riconciliarsi dopo un drammatico colloquio, durante il quale Rosa le ha brutalmente raccontato la sua odissea e confessato l'umiliante segreto a cui, per necessità, si è dovuta sottomettere.
Maya ha perso, ma la battaglia proletaria ha vinto, il movimento "Justice for Janitors" è riuscito a strappare l'accordo con i proprietari dei palazzi per il rispetto dei diritti dei lavoratori.
Quando si tratta di esaminare un film di Ken Loach, dobbiamo sempre tenere presente che non è possibile giudicare i suoi lavori secondo i canoni classici della cinematografia, perché l'essenza del suo cinema non è la ricerca del bello; le sue opere non sono solo finzione ma un valido strumento per l'attuazione di esplicite denunce a livello sociale e politico, un mezzo per scoprire la realtà e la vita vera o ciò che più le somiglia.
Loach non ci lascia il tempo di considerare il montaggio, la perfezione delle inquadrature, la compiutezza della sceneggiatura o l'uso sapiente della macchina da presa, perché da subito ci catapulta dentro l'anima della sua opera, facendo primeggiare il messaggio che vuole lanciare o la realtà che vuole farci conoscere, senza scendere mai a compromessi con il suo modo di fare cinema o con la sua impostazione ideologica. Anche in tempi in cui sembra che le ideologie non siano più di moda o, peggio, non siano più necessarie.
Con "Bread and Roses" il regista britannico aggiunge un nuovo capitolo alla sua filmografia: una filmografia di impegno civile e politico, decisamente volta a sinistra, i cui protagonisti sono la varia umanità sfruttata dal capitalismo o dall'insensatezza del potere politico (dagli edili di "Riff Raff" ai ferrovieri di "Paul, Mick e gli altri").
Gli ultimi, i diseredati del mondo, stavolta sono un gruppo di clandestini sfruttati dalla più "grande democrazia del pianeta". Gente abusata, sottopagata, angariata, vessata dai datori di lavoro e dallo sciacallaggio liberista, che lotta quotidianamente per la sopravvivenza e per il riconoscimento dei propri diritti.
Loach si identifica (e ci fa identificare) con questa gente in questo suo film, in cui per la prima volta affronta il problema dell'immigrazione messicana negli Stati Uniti, analizzando le condizioni di brutale sfruttamento a cui questa gente è sottoposta sui posti di lavoro.
Bread and Roses al forte e vigoroso impegno programmatico affianca una drammaturgia ben strutturata e un linguaggio registico emotivamente efficace, semplice, diretto e mai demagogico. Inoltre, per la prima volta si nota nella sua filmografia il tentativo di comprendere anche le ragioni "degli altri", di coloro che fanno la scelta di non combattere, di chi, pur tra mille contraddizioni, si adatta, o non se la sente di rinunciare a quel niente che è riuscito a strappare.
Emblematica a questo riguardo è la figura di Rosa, la sorella maggiore, che riassume in sé tutti i drammi dell'emigrante: eroina mai totalmente positiva ma neppure completamente negativa, soggetta a infiniti compromessi eppure autentica e combattiva, tanto nel male quanto nel bene; come quando denuncia sei compagne di lavoro, oppure quando confessa a Maya di essersi prostituita per sfamare tutta la famiglia, o infine quando assai poco convinta del ruolo del sindacato, invita Sam a non dire mai "noi" quando parla di lavoratori ("quando mai hai fatto il pulitore tu e il tuo sindacato di bianchi?").
Il film vive di facce, di emozioni, di caratteri, di momenti significativi: l'attraversamento ansiogeno del confine da parte di Maya, il suo stratagemma per salvarsi dallo stupro dei mercanti di uomini, l'irruzione di Sam negli uffici dei manager, i suoi stratagemmi per disturbare quelli che contano, la feroce invettiva di Maya contro gli USA, la corsa di Rosa dietro il pulmino che sta riportando la sorella oltre il confine, il rapporto di Maya con Ruben e Sam, i due uomini innamorati di lei.
Una costante del cinema di Loach risiede nel saper trovare il momento in cui stemperare le situazioni drammatiche, condendole con una dose di ironia o con le note di alcune melodie, come in questo caso alcune canzoni spagnole, forse altra passione del regista.
Adrien Brody (l'unico artista di successo dell'intero film) è bravo, ha una bella faccia e possiede il phisique du rôle per interpretare il ruolo del giovane intellettuale travagliato dal suo essere garantito di fronte all'incerto futuro dei suoi protetti, una massa di "invisibili" costretti a lottare quotidianamente per sopravvivere o a vendere il proprio corpo e la propria dignità.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 18/10/2011 15.42.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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