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Dopo la morte di Juan Domingo Peron, avvenuta il 1° luglio del 1974, alla presidenza del governo argentino lo sostituisce la vedova, Maria Estella Martinez detta Isabel, la terza moglie, un'ex ballerina di non eccelse qualità e priva di qualsiasi esperienza politica.
La grossa crisi economica e sociale che da tempo attanaglia il Paese, e l'inconsistenza del governo di Isabelita favoriscono le mire golpiste di un gruppo di militari (Massera per la marina, Agosti per l'aeronautica e Videla per l'esercito, che sarà il presidente di fatto), che, il 24 marzo 1976, rovesciano il governo e assumono il potere in Argentina.
Con il pretesto di effettuare il Processo di Riorganizzazione Nazionale e di combattere il "terrorismo di sinistra", la Junta Militar instaura, a sua volta, una campagna di terrorismo di Stato, che diffonde molto più terrore di quanto ne avrebbe dovuto eliminare, costituendo il più grande genocidio della storia argentina: quello dei "desaparecidos", consumatosi senza che si diffondesse la coscienza di tale annientamento.
Salita al potere, la giunta militare dichiara lo stato di assedio, abroga i diritti costituzionali, proibisce i giornali non schierati, abolisce le organizzazioni sindacali e studentesche, chiude il Congresso ed emana la legge marziale.
Con l'obiettivo di neutralizzare i gruppi di opposizione, si utilizza la tortura come mezzo per estorcere informazioni, si applica il metodo della sparizione di massa per creare paura e diffondere il terrore, si creano centri clandestini per incarcerare detenuti illegali e si realizza un perverso sistema che consentiva il furto dei neonati delle detenute in stato di gravidanza.
Tra il 1976 e il 1983 migliaia di persone, molte delle quali semplici dissidenti o innocenti cittadini che non avevano alcun legame con il terrorismo, furono sequestrati da gruppi non identificati, caricati su vetture senza targa, torturati e poi fatti scomparire senza lasciare traccia di sé, gettati in mare dagli elicotteri in volo.
Oltre cinquecento neonati furono sottratti alle detenute e adottati dal personale militare o da famiglie vicine al regime e considerate affidabili dal punto di vista ideologico, che li registrarono come figli naturali partoriti a domicilio, per impedire alle famiglie originarie di rintracciarli. Il furto aveva lo scopo di eliminare la memoria storica dei loro genitori e la loro stessa identità.
Buenos Aires - 1977:
Claudio Tamburini è un giovane di origini italiane, studente universitario di filosofia e portiere dell'Almagro, squadra di calcio militante nella serie B argentina. Interessato all'acquisto di un ciclostile, il giovane portiere viene sospettato di far parte di un gruppo terroristico e accusato di cospirazione contro lo Stato.
Prelevato, un giorno di dicembre del 1977, su delazione di qualcuno che ha fatto il suo nome, viene rinchiuso illegalmente, per quattro mesi, nella Mansion Seré, una villa fatiscente alla periferia di Buenos Aires, dove scopre, sulla propria pelle, gli orrori della macchina repressiva della dittatura militare fascista argentina.
Basato sul libro autobiografico "Pase Libre - La fuga de la Mansion Seré", scritto da Claudio Tamburini (che, dopo essere fuggito dagli orrori di quella Argentina, oggi vive in Svezia, dove ha ottenuto asilo politico e dove insegna filosofia all'Università di Stoccolma), il film, amaro e nervoso, del regista Israel Adrian Caetano, ci porta a ripercorrere un periodo storico tra i più bui del recente passato, visto attraverso gli occhi di un vero sopravvissuto che ha sperimentato l'abominio della dignità violata e della degradazione umana.
E non ci consola il fatto che il protagonista alla fine si salva, perché, se è vero che da un lato, la fuga di un innocente provoca un confortante senso di allentamento della tensione, dall'altro, probabilmente, questo fatto non permette di comprendere fino in fondo la portata e la gravità degli avvenimenti e l'infamia delle dittature, che troppe volte e in troppi paesi abbiamo lasciato che si sviluppassero e prosperassero.
Le prime immagini del film ci mostrano la cattura di Claudio e la sua traduzione in uno dei centri clandestini di detenzione (la famigerata villa alle porte della capitale argentina) appositamente creati. Qui, insieme ad altri tre disgraziati ragazzi (Guillermo, Gallego e Vasco) subisce l'onta della tortura e delle sevizie fisiche e psicologiche, in attesa che si decida a fare il nome di qualche "affiliato", alimentando così il perverso meccanismo della delazione, che ha macchiato di sangue innocente la storia argentina.
Questa è la cronaca di quei 120 giorni della cattività di Claudio, vissuti inizialmente con l'ingenua speranza di vedere riconosciuta la sua estraneità.
Ben presto, però, il ragazzo prende coscienza che la sua sorte è segnata e che la condanna a morte, senza processo, è solo questione di giorni, forse di ore, che non si esce vivi da quell'inferno. E allora si fa chiara nella sua mente un'idea: che l'unica via di salvezza è la fuga; fuga che sembra un miraggio irraggiungibile, specie durante le lunghe notti insonni passate legati alle brande, nudi, con gli occhi sbarrati, tremanti di paura.
Finché la notte del 24 marzo del 1978, mentre gli agenti sono impegnati a festeggiare il secondo anniversario della presa del potere, i quattro ragazzi compiono un gesto disperato: durante un temporale forzano una finestra e, con le classiche lenzuola annodate, completamente nudi, si calano nel giardino della villa e da lì, scavalcando un cancello, terrorizzati ed esitanti, si dileguano nel buio della notte di Buenos Aires, verso un futuro incerto ma sicuramente verso la libertà e la riconquista della propria dignità di uomini.
Il film di Caetano, girato con il patrocinio di Amnesty International e presentato in concorso a Cannes 2006, che possiamo idealmente ascrivere al recente filone politico-carcerario, da "Salvador - 26 anni contro" a "Le vite degli altri", da "Il colore della libertà" a "Gli innocenti", è un film duro e inquietante, un film che scuote e fa male, claustrofobico e drammatico, originale anche, per il suo modo di raccontare senza retorica e senza morbosità.
Gli aguzzini sono gente comune, uomini come noi, uomini che mangiano, bevono, amano, vivono, tifano (per i gol di quell'Argentina che da lì a poco avrebbe vinto il suo mondiale) e torturano, come se svolgessero un normale lavoro di routine (appreso in specializzate scuole statunitensi).
I detenuti sono sempre bendati (quasi a simboleggiare il non sapere, l'essere all'oscuro di tutto), non conoscono i loro torturatori, la violenza non la vedono, come non la vediamo noi, sanno che è lì, pronta a ricominciare, la intuiscono, come la intuiamo noi dai segni sempre più marcati sui corpi dei ragazzi.
Funziona da monito perché sanno (e sappiamo) che può ricominciare, perversa, terribile, che annienta ogni parvenza di umanità, che è quello l'orrore di cui aver paura.
Il lento scorrere del tempo debilita, esaspera, diventa insopportabile, il malessere si fa palpabile, serpeggia tra gli spettatori, increduli che qualcuno possa aver vissuto quell'inferno, che qualcuno possa averlo subito.
Il film di Caetano, intenso, carico di drammaticità, dalle insopportabili atmosfere claustrofobiche, è un film difficile, che coinvolge, commuove e denuncia, per ricordare e non dimenticare: "mai più - nunca mas".
Perché non c'è perdono senza giustizia, come hanno continuato a gridare le mamme di Plaza de Mayo, per tenere viva l'attenzione, per sapere, per capire come sia potuto accadere; perché sino ad oggi, per quei 30.000 desaparecidos, sono state condannate solo due persone: due poliziotti.
Il giovane regista (classe 1973), argentino di origini uruguayani (nato a Montevideo), sceglie di fare un film di emozioni piuttosto che un film documento, sottolineato dal movimento nervoso della macchina da presa portata a spalla, che esplora, che riesce a cogliere tutto lo stranimento di quei volti, i dialoghi muti di quegli sguardi, resi più drammatici dal montaggio rapidissimo, dalla fotografia livida e sgranata, dalla colonna sonora che sottolinea tutta la drammaticità delle situazioni e crea un'atmosfera carica di tensione, come nei vecchi, classici thriller.
Di grande forza espressiva la recitazione del bravo e poco noto Rodrigo de la Serna, che interpreta Tamburini e che abbiamo già visto a fianco di Gael Garcia Bernal ne "I diari della motocicletta".
La distribuzione italiana (solo venti le copie distribuite nelle sale) ha impedito una visibilità più adeguata al valore del film, che è stato vietato ai minori di 14 anni, quasi che la violenza psicologica sia più perniciosa delle tante scene di violenza fisica che quasi quotidianamente passano sugli schermi e sui teleschermi.
Un modo per impedire di conoscere un'opera di valore che, invece, dovrebbe essere oggetto di divulgazione didattica.
Peccato, un'altra occasione sprecata.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 04/07/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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