Recensione calvaire regia di Fabrice Du Welz Belgio 2004
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Recensione calvaire (2004)

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locandina del film CALVAIRE

Immagine tratta dal film CALVAIRE

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Immagine tratta dal film CALVAIRE

Immagine tratta dal film CALVAIRE

Immagine tratta dal film CALVAIRE
 

Marc Stevens per mantenersi fa il cantante/animatore negli ospizi. Durante un viaggio sul suo furgoncino, diretto al suo prossimo ingaggio, sarà costretto a fermarsi per il cattivo tempo che ha causato problemi al suo mezzo di trasporto.
Fatta la casuale conoscenza di un uomo alla disperata ricerca del suo cane, verrà condotto da questi in un albergo gestito da un vecchio artista ormai in pensione, che si rivelerà essere un uomo folle che vive nel disperato ricordo della moglie che l'ha lasciato.

Un horror decisamente particolare questo "Calvaire", che riesce nell'intento di angosciare, disturbare e creare un malessere consistente nello spettatore sempre più risucchiato nella spirale di follia e perversità degli abitanti dello strano villaggio in cui il povero protagonista si imbatte.
Un viaggio allucinante nei meandri più nascosti e shockanti della follia umana, un ritratto bestiale e malato di una comunità costituita da menti completamente avulse dalla realtà e governate quindi dallo squilibrio.

Tutto questo è "Calvaire", e riesce ad esserlo in maniera autoriale senza strafare con effettacci o con soluzioni esageratamente gore, dato che la violenza subita dal protagonista e percepita con estrema partecipazione dallo spettatore, è più che altro psicologica, anche se non mancheranno terribili violenze fisiche che giustificano l'indicatissimo titolo della pellicola, tant'è che ad un certo punto il cantante viene addirittura crocefisso, oltre che sodomizzato, picchiato e maltrattato nelle più terribili maniere.

Suddivisa in due tronconi principali - all'inizio ci è dato modo di conoscere il carattere un po' cinico ed egoista del protagonista, che sembra trattare tutti con sufficienza e sentirsi superiore solo perché artista, poi ci è dato modo di osservare la gentilezza e la bontà d'animo di quelli che in realtà sono i "cattivi" della pellicola, coloro che in qualche modo puniranno il protagonista per le caratteristiche negative succitate - la pellicola è attraversata da diversi temi, primo su tutti la già citata follia umana e ciò che essa può portare a fare se lasciata completamente libera di esprimersi, ma è anche una sorta di ritratto poco lucido e molto esagerato di una comunità senza donne, della mancanza dell'amore femminile e delle terribili conseguenze a cui questa mancanza può portare.
Esplicativa al riguardo l'imperdibile e tanto discussa sequenza del bar in cui tutti gli abitanti del villaggio si esibiscono in una danza sconnessa, macabra e grottesca, sulle note di una musica delirante suonata al pianoforte da uno di loro.
Ecco che l'albergatore, ma anche tutti gli altri abitanti del villaggio, vivono nell'ossessionante ricordo di questa Gloria, moglie del primo e apparentemente amante di un altro uomo, donna che li ha abbandonati lasciandoli privi di qualsiasi essere di sesso femminile.

Non ci sono donne in "Calvaire" se non nell'incipit in cui ce ne vengono mostrati degli esemplari disperati e quasi meritevoli di compassione (come l'anziana signora che tenta di sedurre il cantante o l'infermiera un po' troppo spinta), ed è questa assenza che porterà gli abitanti del villaggio (tra cui uno strambo personaggio alla perenne e disperata ricerca del suo cane, guarda caso di sesso femminile) a confondere pazzescamente Marc con Gloria e a trascinarlo nella delirante spirale della loro insanità mentale e del loro completo estraniamento dalla realtà.
Il povero Marc - ed è proprio il caso di dirlo visto che, al di là delle torture che subisce, sembra essere un uomo debole e poco incline al combattimento, che si lascia maltrattare senza dare il minimo segno di ribellione - subirà un vero e proprio calvario in cui soccomberà mentalmente e fisicamente.
Per la serie che anche lui come uomo non ci fa una bella figura, anche se la sua passività è sicuramente segno dell'incapacità di una mente sana di reagire ai contorti meccanismi di una mente malata, dello spiazzamento fisico ed emotivo di un uomo che si ritrova nel bel mezzo di una serie di eventi grotteschi e pazzeschi (come dimostrano numerose sequenze shock come la scena di sesso orale con un abitante del villaggio e un animale o l'assalto finale all'abitazione dell'albergatore in puro stile "Cane di paglia", con delle bellissime riprese dall'alto che ci mostrano tutta la violenza di questi uomini fuori dal mondo).
Ma i riferimenti e gli omaggi presenti in "Calvaire" non sono pochi, a partire dalla lampante ispirazione a "Non aprite quella porta", visto che anche qui si tratta di una "famiglia di pazzi" completamente immersi nella più degradante e insana follia (del resto la pellicola di Tobe Hooper è palesemente citata in una particolare sequenza), fino ad arrivare ad altri horror come "Le colline hanno gli occhi" o "Misery non deve morire".

Il cinema horror francese dimostra ancora una volta, dopo il bellissimo "Alta tensione", che è possibile fare delle pellicole di genere con qualità e professionalità, come dimostra questo film caratterizzato da una stupenda e funzionalissima fotografia, da un'ambientazione agghiacciante e decisamente spaventosa: non solo l'albergo teatro del calvario di Marc, ma anche il bosco in cui il protagonista cerca di trovare più volte una via di fuga venendo risucchiato invece nei meandri della fitta vegetazione, che nasconde anche trappole micidiali a dimostrazione dell'inesistenza di uno spiraglio di salvezza nemmeno tra le mani di madre-natura.
Interessante anche la regia, che gioca con le angolazioni e le riprese inusuali e decisamente apprezzabile il livello recitativo complessivo, anche se spicca su tutti Jackie Berroyer nel ruolo dell'albergatore folle.

Rimane decisamente impresso il finale in cui Marc fugge da una folla inferocita di inseguitori, tra cui il probabile ex-amante di Gloria, e quando questo viene inghiottito dalle sabbie mobili gli si avvicina rispondendo assurdamente e incomprensibilmente in maniera affermativa alla sua domanda: "Mi hai mai amato?", segno questo della caduta di Marc nella stessa insanità mentale dei suoi persecutori o semplice arrendevolezza dovuta alla stanchezza dopo giorni di torture e soprusi? La questione rimane irrisolta, soprattutto se consideriamo ciò che si sente al termine dei silenziosissimi titoli di coda.
Si consiglia caldamente di aspettare, dunque, perché quell'istante contribuisce ad accrescere l'alone di incertezza e di estrema inquietudine che accompagnerà lo spettatore anche a distanza di tempo dalla visione.

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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 19/10/2009

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