Recensione cosimo e nicole regia di Francesco Amato Italia 2012
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Recensione cosimo e nicole (2012)

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locandina del film COSIMO E NICOLE

Immagine tratta dal film COSIMO E NICOLE

Immagine tratta dal film COSIMO E NICOLE

Immagine tratta dal film COSIMO E NICOLE

Immagine tratta dal film COSIMO E NICOLE

Immagine tratta dal film COSIMO E NICOLE
 

"Cosimo e Nicole" sono una coppia priva, come tante, di altri legami: due ragazzi indipendenti, precari anche per scelta, "incasinati e un po' incoscienti" (come li definisce il regista). Lui italiano (interpretato da Riccardo Scamarcio), lei francese (Clara Ponsot). Si sono conosciuti a Genova durante il G8, nel 2001. Lì decidono di vivere insieme. Rinchiusi in una dimensione privata che esclude tutto il resto: complici, innamorati, appassionati, il loro rapporto è descritto senza sdolcinatezze romantiche, in modo epidermico. Sembra che la vita gli basti: vivono, e sopravvivono, lavorando precariamente per un indebitato allestitore di concerti (interpretato dal caratterista Paolo Sassanelli, in una prova un po' stridente).
Il film è contrappuntato da godibilissimi anche se indulgenti spezzoni di concerti delle principali band italiane di rock - come si dice? "alternativo"?: Marlene Kuntz, Afterhours, Verdena. La colonna sonora è funzionale ai caratteri dei personaggi, insieme liberi e tormentati.

Un grave incidente sul lavoro, che coinvolge un immigrato clandestino della Guinea, arriva come il destino a frapporsi fra Cosimo e Nicole. Le reazioni alle conseguenze di quanto è capitato sono molto diverse, per i due protagonisti. Di lì il film si trasforma in un autentico percorso di formazione a due, che prima li allontana, poi li riavvicina, in una vicenda che - con un occhio ai primi Dardenne de "La promessa" (1996) - ricorda l'impossibilità di scampare alle conseguenze morali delle proprie azioni (come insegna Dostoevski con "Delitto e Castigo"). Cosimo e Nicole, in un finale notevole, che vale tutta la pellicola, scontano la loro colpa: che non è quella che la legge attribuisce loro, e nemmeno in fondo quella per la quale non sono mai stati puniti. La loro responsabilità è di essersi asfitticamente chiusi nel privato, pretendendo - con la stessa naturale arroganza della nostra società - di fare della propria vita e delle proprie esigenze l'unico orizzonte, l'unica dimensione del mondo.

Cosimo e Nicole sono - a ben vedere - il ritratto convincente, sotto particolare forma, di un'attitudine comune a una generazione, a una società, a un'epoca. Siamo tutti troppo ripiegati su come portare avanti noi stessi e le vite di chi ci sta vicino. La società si è disgregata ma questo non ci rende più felici, anzi più nervosi, deboli e precari. Non resistono, spesso, neppure grandi progetti: è franata la speranza in un futuro migliore anche per noi stessi. Come Cosimo e Nicole, ci basta sopravvivere. Vivendo alla giornata: con intensità, possibilmente. E' significativo che l'autore chieda e ottenga dallo spettatore l'identificazione con i due protagonisti.
Non hanno la colpa di cercare l'autenticità nelle loro vite e nel loro rapporto: anzi questo è un pregio, di Cosimo e Nicole, che forse non in tanti abbiamo. Però loro sono, come siamo diventati tutti, incapaci di scorgere la possibilità di un'armonia - e, sì, la capacità di essere felici - che solo nel finale, entro una diversa cultura, scoprono. E che li riavvicina.

E' significativo che il film sia segnato dall'intrusione del personaggio di Alioune (Souleymane Sow), che prima semplicemente è "oggetto" che pone un problema, poi genera implicazioni diverse nell'animo dei due, mettendoli in crisi: quindi, da estraneo, nel finale, diventa opportunità di un obiettivo, e strumento di riconciliazione. Infine, diventa una meta, che forse è finalmente un approdo, in una non più sofferta e "sopravvivente" dimensione di vita. A sottolineare questa possibilità, i ritmi insistiti della musica africana, l'inquadratura prolungata di un abbraccio e di una danza. I ritmi tribali di un ballo che appartiene a una tradizione altra, diversa, che abbiamo sotto gli occhi e fra di noi quotidianamente, ma che, pigri, ci rifiutiamo di conoscere, sono in profonda antitesi con il frastuono rock delle nostre esistenze, e si fanno simbolo di una dimensione più armoniosa di vivere ed esistere, in cui solidarietà e felicità non sono elementi in contrasto fra loro, ma si accompagnano e si sostengono.

Il film risente di un'impostazione romanzesca, che forse è il suo limite. La pellicola - che ha vinto la sezione "Prospettive Italia" al Festival del cinema di Roma 2012 - ha una chiara e legittima vocazione commerciale (gli auguriamo successo; lo merita). Vocazione che è evidente nella scelta di un attore di richiamo come Scamarcio (dalle oneste capacità recitative), e che si ravvisa anche nell'intreccio, avvincente e ricco di colpi di scena, che conferisce alla narrazione un andamento picaresco, il quale ben si attaglia ai due caratteri randagi. A onore del regista, va detto che in nessuno dei passaggi chiave del film il suo sguardo sembra perdere di vista l'evoluzione interiore dei personaggi, la presa che gli accadimenti hanno su di loro.
Lo stile di Amato è vivido e nervoso, serrato e con la macchina a mano; risente piacevolmente di una tendenza contemporanea del cinema, probabilmente irreversibile, in cui è frequente e sempre più diffusa l'adozione di un registro naturalistico che conduce lo spettatore sulla scena quasi a essere presente insieme ai personaggi. E' il registro prescelto già da una ventina d'anni da parte di molto cinema francofono (i Dardenne e Audiard, ad esempio), lo stesso che trovò nel famigerato Dogma di Von Trier una furbesca teorizzazione, e che si è da qualche anno esteso anche al terreno dei blockbuster made in USA (pensiamo a Greengrass).

Il film inizia, ed è inframmezzato, da interviste in flash-forward che incuriosiscono e si chiariranno nel finale, che inscrivono il racconto nella dimensione del riesame da parte dei protagonisti di un passato con cui fare i conti. A parte questi brevi flash-forward, "Cosimo e Nicole" dà la netta impressione di crescere di livello qualitativo man mano che il racconto progredisce. Se - come sembra - è stato girato nel rispetto dell'ordine cronologico degli eventi, è come se le capacità del regista si fosse affinata man mano che ci lavorava, assieme all'individuazione del proprio personaggio da parte dei due interpreti.

Francesco Amato - che ha alle spalle diversi documentari - è al suo secondo lungometraggio di finzione, dopo un film del 2006 ("Ma che ci faccio qui!") che lo aveva diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
In "Cosimo e Nicole", l'unica vera debolezza drammaturgica appare la scelta di far vivere, per un periodo, i due personaggi in una catapecchia in riva al mare. Anche un incendio melodrammatico appare scelta romanzesca facile e sopra le righe. Ma a parte questi dettagli, man mano che si procede la direzione degli attori si fa più convincente, e nella parte finale si riducono notevolmente anche alcuni dialoghi un po' irrisoluti e i passaggi a vuoto, che restano come scorie in una pellicola per il resto molto attenta a far emergere la veracità della vita - anche attraverso un processo di riscrittura quotidiana della sceneggiatura, sul set insieme agli interpreti. Con il risultato di dar vita a un'opera vivida come i suoi protagonisti, complessivamente matura, e che si fregia di un'ultima parte asciutta e compatta.

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Recensione a cura di Stefano Santoli - aggiornata al 26/11/2012 11.56.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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