Voto Visitatori: | 8,29 / 10 (34 voti) | Grafico | |
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"Detour" è un capolavoro assoluto, uno di quei film che ha completamente rivoluzionato l'intera storia del cinema e la cui visione dovrebbe essere obbligatoria, a prescindere dai gusti di ciascun appassionato cinefilo.
Il film di Ulmer è impostato sui canoni del cinema noir, genere molto in voga negli anni '40, presentando ogni peculiarità che questo filone richiede e introducendo degli aspetti che verranno poi riutilizzati da moltissimi maestri americani e non solo (come non pensare a "Mulholland Drive" di Lynch?).
Le caratteristiche del noir sono palesi: a partire dalla narrazione con la voce "fuori campo". A dirla tutta, però, chi narra non lo fa in terza persona: è infatti il protagonista stesso che interviene nella vicenda che ha vissuto in prima persona distribuendo considerazioni e consigli al pubblico e facendo intuire la sua metamorfosi che in realtà è più che altro un'involuzione. Come in ogni noir, sono anche presenti altre figure come quelle femminili della dark lady o della femme fatale. Da ricordare anche che tutta la vicenda narrata, altro non è che un flash-back.
I personaggi sono quattro: Al (incomprensibilmente tradotto Albert nel DVD), Vera, il signor Haskell e Sue (anch'ella ridenominata in Susy). Ogni figura completa l'altra e viene curata in maniera assolutamente geniale dal regista.
A partire da Al, modello perfetto dall'anti-eroe e/o reincarnazione vivente del fallito per antonomasia. Il processo di caratterizzazione attuato da Ulmer per raffigurarci il suo protagonista è assolutamente avveniristico: come già scritto, noi ci troviamo di fronte a un inetto, difficilmente paragonabile agli eroi americani o perfino al terribile (ma simpatico) Caponte di "Scarface". Questa figura presenta una sorta di critica nei confronti del sistema statunitense, indicandoci proprio il tipico americano fallito. La maggioranza del pubblico (ma anche parte della critica) d'oltreoceano, però, non ha mai visto di buon occhio i film che presentano dei falliti come protagonisti e, di conseguenza questo film non ha goduto di grande successo negli States.
Ancora "peggiore" è il personaggio affidato a Edmund MacDonald (che interpreta mr. Haskell), impersonificazione naturale dell'uomo d'affari sporco e scorretto e rappresentato in toni quantomai detestabili. Se in un primo momento il signor Haskell si presenta come un personaggio simpatico e "alla mano", si verrà poi a scoprire che in realtà, dietro a un guscio di falso perbenismo, si nasconde un essere mediocre e senza scrupoli pronto a ingannare perfino il padre per ovviare ai suoi problemi finanziari.
Senza scrupoli è anche la dark lady di "Detour", Vera (interpretata da una seducente Ann Savage) la cui natura non viene mai nascosta da Ulmer: ella è una figura aspra e dura, che sarebbe pronta a tutto pur di arricchirsi.
Infine, in questo turbinio di personaggi quasi "indecenti" ci viene presentata Sue, una bella ragazza tanto dolce quanto ingenua. Convinta di poter trarre giovamento da un suo trasferimento a Los Angeles distruggerà, seppur in modo indiretto, la sua vita e quella di Al.
Ogni personaggio conduce al fallimento il suo compare e il film si trascina in un "terribile" finale che dopotutto è il giusto coronamento dei comportamenti dei protagonisti.
In una pellicola così atipica e ben più attuale di tanti altri film molto più recenti, risuona chiarissimo il pensiero di Ulmer, che è assolutamente pessimistico e che ha ben poco di "hollywoodiano". In effetti, proprio nell'epilogo da poco citato, è il regista stesso che sembra voler far intuire allo spettatore che non si è al cinema e che la vita reale non è quella splendida illusione che il grande schermo ci vuol far sognare.
Oltretutto, la sua non è una critica abulica o qualunquista: egli è invece piuttosto improntato a far emergere l'America delle persone "sciocche", quella piena di incongruenze e assurdità. Ulmer si cimenta anche in sprezzanti attacchi al potere dei soldi, facendo quindi intuire che i nostri (anti) eroi sono dei mediocri anche (e soprattutto) perché sono quantomai dipendenti del potere del dollaro. Più che un "Autostrada per l'Inferno" (sottotitolo del film), "Detour" è piuttosto un "viaggio nell'inferno": l'America è infatti "l'apocalittico" scenario di quattro stolte anime condotte da un destino crudele (ma giusto).
E' fondamentale sottolineare che tutto il film si basa su delle assurdità che, se prese singolarmente, possono quasi sembrare banali, ma che poi risultano essere la colonna portante di "Detour". E' proprio grazie a queste incongruenze che Ulmer lancia le sue frecciate contro il sistema.
Va dunque sottolineato il fatto che questa produzione altro non è che un b-movie: l'inverosimiglianza, in questo genere di pellicole, è il pane quotidiano. Avendo a disposizione un budget irrisorio (di circa 30.000 dollari), Ulmer si nutre di tutti i punti deboli presenti in questo tipo di cinema, trasformandoli poi in veri e propri punti di forza. Gli attori stessi, che mai si sono affermati nel palcoscenico mondiale, forniscono interpretazioni davvero convincenti richiamando quasi all'espressionismo tedesco degli anni '20. In particolar modo, Tom Neal (nei panni del protagonista Al) è davvero "in parte" e l'intera recitazione dell'attore si basa in realtà sulla sua espressività. Le battute che deve recitare sono davvero poche e ciò che più importa è proprio l'intensità del suo sguardo e dei suoi gesti. Anche le altre interpretazione risultano più che efficaci anche se quella di Neal risulta, a parere dell'estensore, la migliore.
Anche sul piano di vista tecnico, l'abilità di Edgar è indiscutibile: ottime certe sequenze, prima tra tutte, il piano sequenza susseguente al secondo omicidio (che oltretutto è anche piuttosto lungo, durando circa tre minuti).
Il rimpianto maggiore di chi scrive è il fatto che un capolavoro come "Detour" sia una pellicola ai più sconosciuta, nonostante si tratti di una pietra miliare del cinema americano. Chi scrive si augura che tramite questo modestissimo lavoro, chi legge si invogli a guardare detta pellicola, recando giovamento alla propria cultura cinematografica.
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Recensione a cura di Harpo - aggiornata al 19/01/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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