Voto Visitatori: | 6,50 / 10 (2 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,00 / 10 | ||
Il film, uscito nel 1963, è il secondo con i fratelli Taviani dietro la macchina da presa, al fianco di Valentino Orsini.
Pellicola graffiante a metà tra denuncia sociale e satira, come andava di moda nei primi anni '60, "I fuorilegge del matrimonio" si ispira a una proposta di legge sul "piccolo divorzio", cioè la dichiarazione di scioglimento del matrimonio in caso di gravi motivazioni.
Partendo da casi reali, si analizzano differenti storie girate con tono e stile diversi alla stregua dei film ad episodi popolarissimi all'epoca.
Il prologo, con una bravissima e giovanissima Marina Malfatti, narra di una povera donna che ha perso il ben dell'intelletto; vive in manicomio e non riconosce suo marito che però sarà costretto a restarle legato a vita.
Seguono i cinque episodi ognuno di taglio diverso: il primo, uno dei più lunghi, interpretato da Didi Perego, narra di un'operaia sposatasi giovanissima a un soldato statunitense che, tornato nel suo paese, ottiene il divorzio e mette su felicemente una nuova famiglia allietata da prole.
Alla poverina la Sacra Rota nega l'annullamento. Le scene del processo sono grottesche , a metà tra il futuro Fellini di "Roma" e il Tinto Brass de "Il disco volante", a tratti noiose, un po' sopra le righe, ma calzanti.
Nel secondo episodio di natura boccaccesca ( e qualche scena di nudo a cui l'italica platea era decisamente poco avvezza) la consorte fedifraga di un ergastolo è abbandonata nei panni di Eva su un terrazzo a patire il gelo e il cocente sole: storia ironica, buoni i comprimari.
Minori gli episodi successivi: un uomo che ha tentato di uccidere la moglie esce di galera e ritrova la consorte accasata con due bambini. Al giorno d'oggi sarebbe stato colpevole di stalking, all'epoca perseguita e sconvolge i piccoli. L'episodio è il più noioso, i bambini poco credibili, gli adulti sfuggenti.
Decisamente di stampo teatrale il penultimo episodio interpretato da Romolo Valli e Annie Girardot, tutti e due con un matrimonio alle spalle, alle prese con i mille dubbi di una scelta difficile. L'episodio si regge, più che sulla narrazione degli eventi, sui monologhi (anzi sugli interior monologues, per usare un termine caro al mondo della narrativa) dei due protagonisti.
Buffonesco l'ultimo episodio con mattatore a tutto tondo Ugo Tognazzi, reduce dall'Africa e in procinto di convolare a giuste nozze che scopre che la prima moglie, da lui creduta defunta, è in realtà chiusa in un convento di clausura.
Al giorno d'oggi, con una legge sul divorzio pienamente attiva da quasi quarant'anni, i casi umani presentati dal film fanno decisamente sorridere, ma all'epoca del film l'intento di registi e sceneggiatori era di smuovere le coscienze ottuse della popolazione prigioniera del pregiudizio.
Un esempio di cinematografia sociale girata con un piglio da commedia, proprio per seguire l'intento a questa consono ossia "castigare ridendo mores".
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 10/05/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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