Recensione la citta' proibita regia di Zhang Yimou Hong Kong, Cina 2006
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Recensione la citta' proibita (2006)

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locandina del film LA CITTA' PROIBITA

Immagine tratta dal film LA CITTA' PROIBITA

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Immagine tratta dal film LA CITTA' PROIBITA

Immagine tratta dal film LA CITTA' PROIBITA
 

Costruita a partire dal 1406, la Città Proibita è stata per cinque secoli la reggia degli imperatori cinesi, da Yong Le, della dinastia Ming, fino a PuYi, l'ultimo imperatore, deposto nel 1911 a seguito di una rivolta popolare.
Complesso architettonico grandioso, la Città Proibita è una città nella città, con i suoi 720.000 mq di superficie ed un numero straordinario di stanze, corridoi, cortili, al cui interno, l'Imperatore-Dio viveva protetto da alte mura color rosso sangue, circondato da opere d'arte, marmi, stucchi, statue bronzee da favola, che riflettevano il potere assoluto e il ruolo cosmico del "figlio del cielo".

E' in questo complesso di opulenza e segreti che Zangh Yimou ambienta il suo ultimo film, che conclude idealmente la trilogia d'amore e avventura iniziata nel 2003 con "Hero" e proseguita l'anno successivo con "La foresta dei pugnali volanti", e che esplicita inconfutabilmente la nostalgia del regista per una Cina dal passato millenario, nobilitato da una civiltà raffinatissima e crudele che la rivoluzione maoista, prima, e l'economia pseudo-capitalista, poi, hanno distrutto e cancellato.

Basato su un'opera teatrale dello Shakespeare d'oriente, Cao Yu, e ambientato nella Cina medioevale del X secolo, durante il tardo dominio della dinastia Tang, il film narra la storia crudele e torbida di un dramma (o faida) celato dietro una facciata di perbenismo opulento e sfarzoso, che dilania la decadente famiglia dell'Imperatore.

Tutto ha inizio la vigilia delle festività del "Chong Yang" (la festa dei crisantemi, comunemente chiamati in Cina "fiori dorati"), indette per celebrare con onore il ritorno dai campi di battaglia del Principe Jai, il figlio prediletto dell'imperatore.
L'atmosfera a corte è greve e pesante, i rapporti tra l'Imperatore e la sua sposa sono tesi e rancorosi. Il sovrano ha scoperto la relazione sentimentale clandestina che da anni intercorre tra l'Imperatrice ed il figliastro, principe Wang, figlio di primo letto dell'Imperatore stesso (che, a sua volta, ha un amore segreto con la figlia del medico imperiale) e, approfittando della malattia della donna, sta tentando di farla impazzire facendole bere, progressivamente, un veleno fatale. Ma anche l'Imperatrice sta tramando oscure macchinazioni contro l'Imperatore, organizzando, con l'aiuto dell'amante, un colpo di stato per sbarazzarsi dell'odiato marito.
Tra i due coniugi, a far da collaboratore e spia, c'è l'ambigua figura di Jiang, il medico imperiale.
La resa dei conti avviene la notte che precede i festeggiamenti, quando un esercito ribelle viola la città proibita, verso la battaglia finale, summa ideologica di vuxia e di ombre cinesi, orda monocromatica che avanza e calpesta brutalmente la distesa di crisantemi gialli che orna il cortile, e che inesorabilmente si macchia di rosso sangue.
La schiacciante superiorità militare dell'Imperatore, che ha facile gioco dei ribelli, sembra ricordarci che il potere, più che sulla ragione, si regge sulla forza ma anche sul tradimento e le passioni, sull'ambizione e la crudeltà.

Anche se i personaggi imperiali non sono da rapportare a reali personaggi storici, storica è l'ambientazione e le caratteristiche dell'epoca, segnate da lotte intestine, intrighi di corte, segrete macchinazioni, corruzione e inganni.

Ciò che colpisce ad una prima visione del film è lo straordinario spettacolo visivo, sontuoso e sfavillante, un vero tripudio di colori sui quali dominano, incontrastati, il giallo e l'oro: il giallo dei crisantemi, l'oro dei broccati e delle sete, ma anche l'oro sulle palpebre, sulle labbra, sui capelli di Gong Li, quasi a sottolineare lo sfarzo e l'opulenza barocca della vita di corte.
Ma è anche la ricchezza e la magnificenza dei costumi (vestiti pesantissimi costati ore e ore di lavorazione) e degli ambienti, abilmente e perfettamente ricostruiti (senza l'ausilio della grafica computerizzata) per sbalordire e incantare.
Ma ciò che veramente lascia senza fiato sono le spettacolari scene di massa, epiche, crudeli, concentrate soprattutto nella parte finale del film, che esprimono tutta la forza e la violenza delle classiche scene d'azione in un profluvio di kung-fu ed effetti speciali.

Il film, un perfetto intreccio di vuxia e melodramma, contiene tutti gli ingredienti dei classici del genere, mescolando inestricabilmente sequenze di arti marziali con storie di passioni e risentimenti, desiderio di vendetta con bramosia di morte, e probabilmente non soddisferà completamente gli amanti né dell'uno né dell'altro genere, forse perché il regista ha volutamente privilegiato l'aspetto visivo a scapito di un maggior approfondimento degli aspetti caratteriali dei personaggi; si nota inoltre una certa prevedibilità negli sviluppi della trama, anche se gli ingredienti del melò ci sono tutti e funzionano alla perfezione: e in ciò, forse, risiedono i limiti e i pregi del film.

Anche se negli ultimi anni ha preso a privilegiare il kolossal d'avventura (con il breve intermezzo dell'intimistico "Lontano un miglio"), Zangh Yimou si conferma il più grande regista cinese degli ultimi anni, e il più apprezzato sulla scena internazionale; ritrova qui, dopo undici anni, la musa ispiratrice dei suoi primi film e sua compagna di vita per molto tempo, Gong Li.
L'attrice sa conferire al ruolo della sventurata regina tutta la passionalità sanguigna di donna istintiva, ma anche la compostezza dolente di sovrana piegata alla ragione di stato.
Un altro gradito ritorno in patria, dopo la "fuga" a Hollywood, è quello del divo di Hong Kong Chow Yun-Fat, che sa dare alla figura dello spietato imperatore quella furente diabolicità che lo fa assurgere al ruolo di eroe a tinte fosche, tipico di tanta cinematografia orientale.

Ma il vero punto di forza del film, oltre agli splendidi e costosissimi costumi, un vero e proprio tripudio di sete e broccati trapuntati d'oro, risiede nella scenografia, che risulta ancora più spettacolare se si pensa che la Città Proibita è stata completamente ricostruita, fin nei minimi dettagli negli immensi studi cinematografici di Pechino, da quando (dopo "L'Ultimo Imperatore" di Bernardo Bertolucci, che fu l'ultimo regista ad avere, vent'anni fa, il privilegio di girare nella vera Città Proibita) l'imponente complesso è diventato patrimonio dell'umanità UNESCO.

Un film da vedere per appagare l'occhio e lo spirito, un film capace di appassionare come sa appassionare uno spettacolo dell'opera di Pechino, che sa creare suspense come un film d'azione, che sa commuovere come un melodramma d'amore, che sa emozionare come un film d'avventura.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 31/05/2007

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