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Capita a volte, come nel caso di "Ladybird ladybird", che il cinema sociale di Ken Loach possa sembrare ricattatorio e costrittivo, tanto è duro e arrabbiato, desolato e cattivo. Ma è solo una falsa sensazione, perchè il cinema di Loach è soprattutto cinema militante; militante e proletario, al cui centro c'è sempre l'uomo e la sua realtà.
Ken Loach è militante, uno dei pochi militanti rimasti in un mondo che non vuole più idee da discutere, ma solo modelli comportamentali da seguire.
Tutti i suoi film, che possono essere letti come paradigma della sua visione del mondo, raccontano (soprattutto quelli girati negli anni '80 - '90 e ambientati nella sua Gran Bretagna, quella Gran Bretagna tatcheriana di cui spesso e volentieri traccia un ritratto amaro e impietoso, nel quale i deboli e gli emarginati sono vittime delle ragioni della politica) la cruda realtà sociale vista dall'interno e, senza essere radicati nella lotta politica, sono opere dalle trame profonde e funzionali alle storie che raccontano. Storie che scandagliano con sguardo lucido e clinico il disagio delle persone in tutte le sue forme: politica, economica ed esistenziale.
Cinema ruvido e senza ipocrisie quello di Ken Loach, ma di ampio respiro, segnato da vite comuni con problemi comuni, e legato alla realtà socio-politica nella quale quelle vite operano e agiscono: lo sfruttamento operaio, l'immigrazione, l'ingiustizia sociale, i pregiudizi, l'emarginazione, l'indigenza, la disoccupazione. Il suo descrivere la realtà non è mai retorico o ideologicamente di parte, poiché l'interesse primario di Loach è costituito dalla gente, non dall'ideologia.
In realtà con "Ladybird ladybird", Ken Loach abbandona, almeno apparentemente, l'obiettivo politico per raccontare l'odissea allucinante e dolorosa di una madre perseguitata dall'ottusità dei servizi sociali.
Protagonista della storia è Maggie, una donna ai margini della società, senza lavoro e con quattro figli avuti da quattro uomini diversi. Una condotta discutibile la sua, quanto meno irresponsabile, aggravata da una società che nega il diritto alla normalità a quegli individui gravati da squilibri comportamentali, che essa stessa ha contribuito a creare.
Eppure Maggie, nella sua singolarità, ama i suoi figli, anche se spesso li lascia soli in casa per andare nei pub dove si canta il karaoke. In uno di questi locali una sera Maggie conosce un uomo, Jorge, che la invita al suo tavolo per bere insieme una birra e passare qualche ora in compagnia.
Jorge è diverso da tutti gli altri uomini, non ha l'aria di coloro che di solito frequentano quei locali: è simpatico, gentile, educato e dice di essere un poeta e un rifugiato politico.
In realtà è un immigrato clandestino, viene dal Paraguay e forse ha anche una moglie nel suo paese.
E intanto, mentre sono lì intenti a discutere,cominciamo a conoscere i primi dettagli della vita, difficile e dura, di Maggie: un passato di violenza alle spalle, un'esistenza trascorsa sempre al limite della morale comune, una rabbia repressa che viene da lontano, da quando bambina era stata violentata dal padre, da quando, da adulta, era stata vittima delle violenze degli uomini che passavano per il suo letto.
Jorge fin da subito si dimostra l'uomo giusto per lei, scovato dopo una serie innumerevole di uomini sbagliati: è comprensivo, calmo, riflessivo e riesce a mitigare il carattere di lei, impetuoso, instabile, violento e insofferente nel seguire i dettami della legge e delle autorità precostituite. Il rapporto sentimentale che instaura con Jorge si rivela indovinato, ora finalmente Maggie può sentirsi appagata, tranquilla e serena, può soprattutto sentirsi sicura e protetta.
Ma una sera, mentre è fuori a cantare il karaoke, in casa scoppia un incendio che rischia di uccidere i suoi figli. Si salvano miracolosamente, ma il maggiore rimane gravemente ustionato.
Da questo momento i servizi sociali cominciano ad interessarsi di lei, fino a quando un giudice, ritenendola una madre irresponsabile e inaffidabile, non le toglie la patria potestà e dispone che i bambini vengano ospitati in un istituto, in attesa di essere dati in affidamento.
Stessa sorte toccherà successivamente ai due figli che nasceranno dalla sua relazione con l'immigrato sudamericano, distruggendo così per sempre il suo ancora fragile equilibrio di donna stremata dalla vita.
Comincia così l'odissea di Maggie, tra avvocati, giudici e aule di tribunale dove, consumata dalla separazione dai suoi figli, ha modo di sfogare tutta la sua rabbia e gridare tutto il suo rancore verso la società e verso il mondo intero. E quando le sue mani si stringono a quelle di Jeorge, prima della dissolvenza finale, è come se quelle mani stringessero i cuori degli spettatori, per condividere con loro la rabbia, l'impotenza, la disperazione che lei sente in quel momento. Perchè Maggie è legatissima ai suoi figli, li ama di un amore viscerale e profondo e farebbe qualsiasi cosa, anche cambiare la sua vita, pur di averli con sè.
Dopo "Riff Raff" e "Piovono pietre", "Ladybird ladibird" conclude idealmente quella che viene definita la trilogia dell'Inghilterra tatcheriana, ed anche se la "Lady di ferro" non viene mai nominata, il film è severamente critico nei confronti della politica sociale attuata dal suo governo.
Infatti in "Ladybird ladybird" Ken Loach, anche se non si schiera apertamente a favore della donna, non è assolutamente tenero con i servizi sociali che la perseguitano, anche quando sembra che non ci siano più i motivi; figuriamoci con la politica conservatrice del governo britannico, che prima contribuisce a creare individui afflitti da disfunzioni comportamentali, poi ne aggrava la condizione negando loro i più elementari diritti per vivere una vita quanto più possibile normale.
Tocca allo spettatore giudicare dove comincia il dovere delle istituzione di tutelare l'integrità fisica e psicologica dei minori e dove finisce il diritto invalicabile di un genitore di affermare la propria autonomia educativa.
Per quanto sia legittimo e doveroso per lo Stato preoccuparsi della tutela dell'integrità dei bambini per assicurare loro un futuro dignitoso, resta da chiedersi qual è il criterio in base al quale si stabilisce che una donna, anche se nel passato ha commesso tutta una serie di errori, non possa più cambiare e far meglio nella vita, come sentenzia un giudice, in uno dei momenti più pregnanti del film.
La storia che Loach ci racconta in "Ladybird ladybird" (titolo ripreso da una vecchia filastrocca inglese) sconcerta e indigna perche una scritta all'inizio del film ci informa che si tratta di una storia vera e non c'è nulla di più crudele che assistere all'accanimento delle autorità nei confronti di una madre alla quale si cerca di togliere un figlio.
È vero, Maggie è una donna spigolosa, eccessiva, fortemente problematica, con molti difetti caratteriali e con un passato di violenze alle spalle, ma non per questo le istituzioni hanno il diritto di trattarla come un essere incosciente, né di decidere dall'alto come deve essere la sua vita, tanto più che si rivela una madre legatissima ai suoi figli.
Il ritratto femminile che Ken Loach traccia è tutt'altro che positivo, e lui non fa nulla per rendercelo più gradevole; nonostante ciò non si può restare indifferenti di fronte all'odissea di questa donna, perseguitata dai servizi sociali e dal razzismo verso il suo ultimo compagno.
Sullo sfondo del dramma di Maggie, le macerie lasciate dal tatcherismo nell'Inghilterra sottoproletaria degli anni '80: periferie grigie e desolate, quartieri fatiscenti, abitazioni squallide, pub fumosi e trascurati; leggi inflessibili e persecutorie, uomini degradati dall'alcol e dal lavoro, donne sfatte dall'indigenza e dalle gravidanze. Fortemente pessimista e intriso di una profonda sfiducia nei confronti delle istituzioni, il film di Loach si prefigge di filmare la realtà, senza cercare di edulcorarla né di nascondere nulla della miopia fredda e burocratica delle leggi e delle norme, che si dimostrano rigide e inflessibili rispetto ai numerosi e molteplici casi umani cui devono essere applicate.
E così, senza ricattare nessuno, l'obiettivo di Loach di denunciare la brutalità delle istituzioni, è pienamente raggiunto. Una scelta forse meditata, sicuramente un espediente per mostrare le ipocrisie di una società immutabile e spietata contro i deboli, in un mondo dominato dal disagio sociale.
Ken Loach si dimostra così un regista necessario. Necessario perché le istanze sociali contenute nei suoi lavori arrivano direttamente al cuore senza passare per il cervello. Sono uno shock emotivo che invita a riflettere.
Il suo descrivere la realtà non è mai retorico o ideologicamente di parte. Perché l'interesse primario di Loach è costituito dalla gente, non dall'ideologia. I suoi film raccontano le realtà sociali dall'interno, senza essere filtrate dall'ideologia politica, anche se sono film politici. Un uomo schivo, ma caparbio ed ostinato nella pretesa di un modello di vita democratico e ugualitario.
La storia di Maggie commuove perchè è una storia che potrebbe succedere ovunque e a chiunque, perchè è resa sullo schermo dalla vis drammatica di una strepitosa Crissy Rock (curiosamente scoperta da Ken Loach proprio in un locale di karaoke), cabarettista comica prestata al cinema di impegno in un ruolo che non si dimentica facilmente.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 03/08/2012 17.28.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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