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Parlare di memoria è quanto di più difficile un artista moderno - qualunque sia l'arte in cui si esprime - possa decidere di fare, senza temere di essere banale o superficiale.
Quando si tratta di cinema, il discorso si fa persino più complicato: la settima arte racchiude, il più delle volte, il meglio delle altre arti, ma non sempre riesce a liberarsi dei loro difetti. Il mondo dell'animazione, ancora di più, può incorrere nel problema della facile comunicabilità, facendo inciampare l'artista e spingendolo, rovinosamente e inesorabilmente, a terra.
Kunio Kato, animatore giapponese, ha scelto forse la strada meno semplice ma più efficace: parlare di memoria attraverso l'uso di musiche e immagini, senza ricorrere a inutili parole.
Il risultato è "Tsumiki no ie", corto d'animazione del 2008, vincitore dell'Oscar come Miglior cortometraggio animato nel 2009.
Un vecchio, in una città sommersa dalle acque, costruisce sempre nuovi piani della propria casa man mano che il livello dell'acqua sale. Un giorno però, per errore, la pipa gli cade nei piani inferiori ormai allagati. Il vecchio decide di spingersi nei recessi della sua "maison" per cercare di recuperarla, in un viaggio che si rivelerà un vero e proprio viaggio nei recessi della memoria.
Caratterizzato da un disegno "aquarelloso", morbido nonostante l'effetto stilizzato, esaltato da colori caldi e tenui, "La maison en petits cubes" è un raro esempio di opera in grado di dire il più possibile con il meno possibile. Essenziale, prosciugato da qualsiasi eccesso, a partire dalla durata (appena 12 minuti), riesce a suscitare un parco di emozioni inestimabile, non rinunciando però ad una storia articolata che non ha bisogno di parole per essere raccontata.
La storia del vecchio protagonista di "Tsumiki no ie" è un racconto di solitudine e perseveranza: arrivato ad un'età in cui ci sarebbe più da raccontare che da vivere, questo omino dalla pipa sempre in bocca continua insistente nel difficile compito di "esistere" raccogliendo, strato dopo strato, il proprio mondo in stanze sempre più piccole, come fossero ricordi.
Perché si sa la memoria, con il passare del tempo, peggiora.
Vive in un mondo sommerso, il vecchio. Non ci è dato sapere il perché o il come, ci viene solo fatto capire che il mondo, come lo conosciamo noi, non esiste più.
Specchiarsi nelle acque che lo circondano è un po' come guardare nei recessi della propria mente: le immagini che si ottengono sono distorte, tra riflessi di luce e buio. Arrivare in profondità senza abbandonare la superficie è, quindi, impossibile.
E' un evento particolare, però, a far cominciare il viaggio del protagonista, fulcro dell'anime: la sua pipa, perennemente tra le labbra, cade in acqua mentre egli è intento a salvare i propri beni da una stanza ormai allagata. Il fatto scatena in lui un primo ricordo: sua moglie, con tutta probabilità morta, raccoglie la stessa pipa da terra e gliela porge. Da qui la decisione di non comprarne una nuova ma di affittare una muta e una bombola d'ossigeno per andare a recuperare quella vecchia.
L'inizio del viaggio a ritroso nel tempo, però, non è istantaneo, ma una vera e propria valanga, una reazione a catena. Lo scandagliare le profondità della propria casa allagata porta il vecchio a scendere sempre di più, a continuare il viaggio fino in fondo, fino alle fondamenta. Una vita percorsa al contrario che diventa, in fondo, una riflessione sulla famiglia, sull'amore ma, soprattutto, sulla solitudine: dimenticare il proprio passato è dimenticare quello che si è, col rischio poi di divenire soli e vuoti.
Ovviamente Kato procede per simbolismi: se le acque rappresentano il tempo che, scorrendo, tutto ricopre e tutto sommerge, i diversi piani della "casa a forma di cubi" (e quindi i diversi cubi) sono la memoria e i diversi oggetti in essa contenuti, i ricordi. La pipa è l'essenza del protagonista, il viaggio intrapreso, il percorso per ritrovar se stesso. Questo percorso lo porterà a ritrovare l'essenza stessa della propria esistenza: l'amore. Quello per le persone che ha sempre amato, per la compagna della sua vita e per l'origine della sua stessa famiglia. Il tutto rappresentato fino al pian terreno della casa, il primo tassello del puzzle, il punto da cui tutto è iniziato, in un altro tempo e, ormai, in un altro luogo. Sarà proprio lì che il vecchio troverà il vecchio bicchiere di sua moglie, l'oggetto che risveglierà in lui il ricordo finale: quella della propria felicità passata.
Accompagnate da una musica meravigliosa e da pochi effetti sonori, le immagini di questo meraviglioso corto accompagnano a loro volta lo spettatore per dodici minuti in cui è racchiusa un'intera vita, facendolo riflettere, commuovere ed emozionare. Ma è la semplicità dell'opera, soprattutto, a conquistare. Perché non servono parole o effetti speciali per esprimere il senso segreto delle cose.
E alla fine anche noi ci ritroviamo con il vecchio, a tavola, mentre brinda nell'ultima scena dell'anime con il bicchiere vuoto di sua moglie: un'immagine struggente e malinconica ma non per questo triste, perché "il tempo non porta via niente e non lascia nulla", ma quel che viviamo ci rende quel che siamo, basta non dimenticarsene mai.
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Recensione a cura di Zero00 - aggiornata al 23/02/2011 10.29.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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